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almen dello stile e del colore dello spar• tito di Weber. Non dirò che il sig. Meyer■jA beer ne copiasse le note ed il tempo; ei Ùj non attinse che quella specie di mattutino profumo esalante dal detto spartito, quel fiore che la ricopre come un bel frutto; codesta musica olezza Eurianta. come l’abito d’una fanciulla che si è assisa in un prato, sa di viole e di timo. Quanto alla frase principale del duetto ira Margherita e Raoul, mi fa maraviglia che la ricorresse al pensiero del signor Meyerbeer, e che egli non rigettasse una cabaletta cosi sdolcinata, altra virtù non avente luor quella di piacere assaissimo agli uomini di gusto corrotto. Nè a un musico pari al signor Meyerbeer, declinando dalla sua dignità, si conviene grattare gli orecchi ai dilettanti di simili frascherie. La stretta del finale, sebben difettiva di sviluppo e respiro, è robusta e molto efìeltiva. Havvi negli Ugonotti, un paggetto visibìle ne due primi atti e scomparso nel terzo, senza che nessuno vi badi. Ala fa appunto codesto paggio ciò stesso clic hanno fatto prima di lui tutti i paggi d’opera; è invaghito della sua padrona, trema e arrossisce ogni volta che le favella, e dietro a’ salici si nasconde per vederla entrare nel bagno. Del resto nessuna melodia, nessun tratto lo distingue da tutti coloro che Khan preceduto, e probabilmente da tutti anche coloro che gli verranno dappoi. Ora, trattandosi di un’opera del sig. Meyerbeer, non so passare sotto silenzio l’inopportunità di cosi fatto carattere, il quale potrei bensì comportare a un mediocre compositore. Come mai il sig. Meyerbeer s’assoggettava a rifare ciocché tant’altri avevano fatto prima di lui? Perchè non istudiarsi in iscambio di dare una fisonomia originale al suo paggio, cugino de’ paggi tutti di commedia, salvo il Cherubino di Mozart?! Le masse corali costituiscono la massima parte del terz’alto. 1 protestanti cantano e bevono; sopravvenuti i cattolici si vilipendono e sfidano. Dal (piale urto dei cattolici co’ protestanti derivano molti cori condotti dal musico con maravigliosa destrezza. Tutte le quali cose si eseguiscono per mala sorte a spese della melodia, e senza il bel duetto fra Valentina e Marcello, che par ivi posto perchè possa appunto Io spirito ricrearsi un istante e prenj dee lena in mezzo a tante laboriose combinazioni; senza quel vago duetto, non sarebbe quest’atto da capo a fondo che un vasto coro quando svolto con magnificenza, quando imbrogliato in istrana maniera, quasi sempre concitato e fragoroso. Possono siffatti espedienti conseguire un grand’esito i primi giorni, ma sembrano a noi fuori adatto del dominio dell’arte. Certamente che tutto codesto apparato è bellissimo, ma non è cosa, occorre di dirlo, musicale: nulla ha a che fare la musica cou que’ chiassi da mercato, con quelle ignobili querele di genti avvinazzate, che a pugni si contendon le pinte. Se gli vien fatto di aggruppare talvolta insieme tutte codeste voci, la non è che fantasia da sua parte. Chi voglia prolungare un coro oltremodo, difetta non solamente d’industria, ma di senso comune. Ditemi che cosa è adunque egli un coro, se non se un sentimento unanime espresso da cento voci? Ma non può l’espressione d un sentimento sopravvivere a sentimento stesso e se interviene per caso a cent* uomini radunati di essere dello stesso avviso, figuratevi se tale stato può durare gran pezza. Il coro di Weber nell1 Eurianta e Freyschùtz, di Beethoven nel Fidelio è unanime, vale a dire che tutte le voci cantano i medesimi voti, i desiderj medesimi, la medesima volontà. Un sentimento comune a tutti, compresso gran tempo nel cuore sprigionasi nelle voci e diffonde possenti armonie. Il coro di Beethoven e Weber è un inno, o di gioja o di dolore non servo;. Quanto a’que’cori di controversie e querele, la elaborazione dè’quali costa al musico sudori di sangue per vincere, non con altro che con mezzi artificiali, la discordanza morale, e far poco men dissi cantare le voci intuonate quando stuonano i sentimenti, sono pezzi che potrà gongolare in udirli il Conservatorio, e buon prò gli faccia. La musica vive di trasparenza e chiarezza; le abbisognano passioni sublimi e semplici, grandi arie in cui 1 anima sfoghi i suoi più nobili pensieri; melodiosi e facili cori. Il coro insomma è un1 aria cantata da un popolo che come un sol nomo ha senso, moto e favella. Eccovi per esempio, la scena d*Tdomeneo: non è ella una grandiosa musica e di magico effetto? eppure che semplicità, che moderazione! non v* ha nulla nell’arte dei Greci, nulla in Omero, nè in Sofocle, nè in Platone, che sia più puro, più maestoso epiù bello della detta musica divina di Mozart. Un intiero popolo è immerso nello stesso pensiero, piange e querelasi; sgorgano spontanee te lagrime, i lamenti salgono al cielo concordi. Osserva questa magnifica scena di tristezza: il re Idomeneo, in mezzo la piazza, in piè rassegnato; gli sono d’intorno i compagni; gli uni immobili al fianco suo, col capo chino e i capelli disciolti in atto di cordoglio; gemono gli altri appoggiati sopra una tomba; questi distesi sui marmi nel tempio di Minerva e concentrati nella loro afflizione; quelli girano intorno, cercando cogli occhi i proprj figliuoli che non si ardiscono di chiamare. Tutta questa immensa epopea è un coro, un semplice coro di Mozart. Ora metti che,in cambio di cosi fatta tragedia,il musico avesse a trattare una scena di studenti e di popolazzo, la varietà del soggetto trascinerebbelo pur suo malgrado, oltre i confini dell’arte. Fra tanti sentimenti diversi che si premono e si combattono, come può egli sceglierne un solo per isvolgere? Nè trovar potendo gli effetti d una schietta e franca espressione d’uno stesso pensiero, cercherà nelle combinazioni d’orchestra degli strani ripieghi; chiamerà in suo soccorso le campane e altri istromenti di musica, ai quali nè Mozart nè Gluck avevano mai posto mente. MUSICA E POESIA {Continuazione, Vedi il N. 14). Articolo II. Della musica e poesia si può istituire quel ragguaglio che è tra la poesia e la prosa. Ma premettiamo questo processo: l’uomo prima balbetta, poi parla, quindi favella, dopo declama, e finalmente canta. Non dico che nella natura sia quest’ordine cronologico; ma osservo che il canto, cioè i versi cantati suppongono lo sviluppo dei termini antecedenti. Certo il gorgheggiare, e canterellare debbono essere antichi; ma il metter parola sotto nota, cantar davvero è cosa più recente. Ora torniamo al pro: posto ragguaglio. Quale è la somiglianza, M quale la dissomiglianza che passa tra poesia e prosa? Quanto all’anzianità se trattasi di scrittura più antica sembra la poesia. ma se guardasi al parlar naturale la prosa precede. Questo linguaggio dalla natura datoci pei bisogni nostri allorché o maraviglia. o passione, od entusiasmo invadono la mente ed il cuore, piglia tale forza, tal colore, tale struttura, che di esso si avvera assai più quello che Cicerone notava, i poeti, cioè, parlare una lingua diversa dagli oratori. Il linguaggio affettuoso ridotto a questi termini non manca che d’uri elemento per diventar poesia, del metro; e quando ciò abbia ottenuto, la trasformazione è compiuta, la prosa è poesia. Se questo è un fatto, noi possiamo compatire le vane fatiche di coloro che sudarono a trovare la differenza tra la poesia e la prosa, onde meglio definire 1" una e l’altra. Coloro che la videro nel metro non poterono passare per poetiche certe composizioni didascaliche, certe filosofie dettate in versi; quelli che la trovarono ne sentimenti. nell’entusiasmo, nella fantasia e nello stile, non poterono negare avervi prose ridondanti di siffatti pregi. Il Telemaco p. e. fu sempre riputato poema, mentre VItalia del Trissino chiusa in versi non ha fior di poesia Anche alcuni drammi moderni non verseggiati abbondano di virtù poetiche, mentre certe tragedie nulla bau di poetico che lendecasillabo. D’altra parte un divario tra l una e l’altra si sente; un sublime prosatore come Platone e Livio ha un non so che di dissimile da un Omero, da un Virgilio; ma definire in che consista è fatica perduta. La prosa adunque a cui, oltre l’affetto sopraggiunga il metro,mutasi in poesia; ma non c’ingannino i nomi. Poesia, vocabolo a noi venuto da Greci, non è molto antico; che anzi antichissimo è quello di canzone siccome Omero ed Esiodo la chiamano, d onde essi toglievano il titolo di Aedi o cantori, trovatori, o menestrelli di quel medio evo greco. Perciò la favella prosastica dell entusiasmo non poteva assumere movimento poetico che col canto, cioè la necessità del carattere introduceva naturalmente il verso. - Ora come troveremo noi il divario tra la poesia e la musica che fu l’antico e semplice canto sostenuto dalla lira o cetra? È da proporre un premio a chi la trova, si veramente che non riduca la musica al puro fenomeno dell’aria percossa, nè la poesia alla misura delle sillabe, od all’artifizio della simmetria. Con questa condizione si lasci cercare. Ma se uno dicesse: la differenza tra la poesia e la musica è che quella serves! delle parole, e questa degli.stromenti. che bisognerebbe rispondere? Primo ti» che il mento per il ajuto musica gorgozzule umano è pure uno slro, secondo, che quelle parole sono canto, il quale vuole avere in suo gli stromenti, e finalmente che la strumentale essendo solo una speeie non può assumersi per contrapporla alla poesia; ella è poi anche di tale natura che sempre suppone il canto, o vi supplisce con analogo stromento. E questa osservazione mi agevola vieppiù la strada a quanto voglio dire. Imperocché mettiamo per un momento che la strumentale sola esista, e la vocale sia come morta, e sepolta da molli anni, che direm noi udendo sinfonie, suonale, fantasie, ed altri ghiribizzi ad uno o più stromenti avere tale andamento nelle parti, ■

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