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- 495 i violini, mentre i venti contrabbassi non producevano che un indistinto mormorio; e se uno dei pezzi o? del programma avesse contenuto qualche passo marcato o grave confidato a questi islrumenti soli sarebbe stalo pressoché perduto. D’altronde non basta sentire, ed anche sentir bene; bisogna, per ottenere il grande effetto musicale (così raro, che la novanlanovesima parte degli spettatori che fre«picnlano i nostri teatri lirici non hanno conosciuto giammai), bisogna, diceva, che il suono possa produrre direttamente sul sistema nervoso dell uditore quella commozione nella quale risiede il principio stesso della sua azione. Ora, il mezzo che io addito richiederebbe necessariamente (all’Opera) la soppressione di una parte, dei posti destinati al pubblico, c questo sarebbe un sacrificio al quale sarà sempre «Ufficile il rassegnarsi. L’Oratorio della (’.reazione fu composto nel 1799 da Haydn sopra un libretto destinalo, dicesi, a llandel. Si può anche mettere in dubbio che 1 autore del Messia avesse potuto ornare questo soggetto di melodie così felici ed abbondanti; in ogni caso, egli non avrebbe prodotta l’orchestra di Haydn. Quest’arte d’islrumentare, che ha fallo ancora da venticinque anni cosi grandi progressi, era pressoché sconosciuta ai tempi di llandel,%«! i suoi oratori! non perderebbero quasi niente sc fossero eseguili con un solo accompagnamento d’Organo. L’orchestra di Haydn, al contrario, senza essere agitata, agile, terribile e poetica come l’orchestra moderna, ha però della grazia e della franchezza, sc non una gran forza: essa è tessuta con un’arte immensa; ogni strumento vi è sobriamente e convenientemente impiegalo; essa accompagna bene, sostenendo cd ajulando le voci, senza essere a «piestc servilmente soggetta, fra le melodie, che si rinvengono «piasi in ogni pagina di «piesta celebre partizione, molte hanno senza dubbio invecchialo; ma citò non sarebbe per avventura avvenuto per essere state mollo imilate e frequentemente riprodotte da pili di quarant’anni in una moltitudine di produzioni mediocri di ogni scuola? - L introduzione, il Laos, è un capo «I opera; vi si trovano delle ardite armonie, giustificate non solamente dal soggetto, ma ancora dall’effetto originale ch’esse producono, indipendentemente da ogni merito di espressione. Il primo coro, annuneiante la creazione della luce, è ben modulato pcr condurre una splendida irradiazione del tono di do maggiore, ma bisogna pur confessare che le, «piatirò misure d’orchestra, succedenti alle parole» E Dio disse: Luce si faccia, e si fè luce» sono infinitamente al dissotlo di «pianto si spera. Si ha trovato ciò meschino, miserabile, senza immaginazione, nullo insomma: e mi pare che si abbia avuto ragione ( I ). Questo sole non è che un fuoco fatuo. Perchè, difatti, l’autore, che ha testé consacrate molte pagine alla dipintura «Ielle tenebre, non ha voluto dare alla luce che sole quattro misure? Se uno dei due soggetti sembra più attraente dell’altro, in ogni caso non potrebbe esistervi fra di loro una tale disproporzione d’interesse. L’aria in la» Al brillar degli al mi riti» non è forse pur essa abbastanza degna «lei suo soggetto; d’altronde è scritta troppo bassa per un tenore. L’autore si rialza ben presto nel coro fugato» Lo spavento, l’affanno, lo sdegno» di cui le prime misure, destramente modulate di «piiuta in quinta, di do minore, in sol minore, indi in re minore, e finalmente in la minore, arrecano la più felice rientrata nel tono primitivo di la maggiore, in quella esclamazione ammirativa» E un nuovo mondo aliarle L’effetto sempre così felice di questo passo è dovuto unicamente alla connessione delle modulazioni ed al passaggio subitaneo «lei forte al piano, non offrendo niente di rimarchevole nè il riimo, nè la melodia, nè l’armonia. Ma, che. sia l’imo o l’altro mezzo impiegato dall’artista per commuovere, citò che monta? Basta ch’egli commuova; restando, ben inteso, nelle condizioni dell’arte sua. Quivi incomincia la parie scabrosa del mio ufficio, dal lato puerile e debole di questa vasta composizione; voglio dire dei piccoli ritornelli pretesi imitali vi, frammezzanti i versi chi; proclamano successivamente le creazioni della seconda giornata. Non si esigerà da me, io spero, che faccia quivi una esposizione della mia teoria sulla musica descrittiva; io mi limiterò solamente a dire che. Haydn ne lia fatta ima meschina applicazione. L’arte dei suoni può, senz’alcun dubbio, esprimere tutto ciò che cade sotto il dominio dei suoni; essa può ancora, e Rousseau ha avuto grande ragione di dirlo, esprimere perfettamente il silenzio; essa potrà meglio ancora ritrarre, col ritmo sonoro, ciò che nella natura viene dal ritmo mulo. Io non cito quivi, come si vede, che il lato materiale della sua azione, senza parlare delle idee e dei sentimenti ch’ella suscita per mezzo delle rimembranze dirette e (1) Notisi bene, che di alcune di queste critiche colle quali il sig. Berlioz attacca il grande lavoro di Haydn noi non ci assumiamo la menoma responsabilità. Noi non abbiamo riportato questo articolo se non perchè ne sembrarono interessanti le osservazioni che il dotto scrittore fa precedere e susscguitare all’esame critico della Creazione- La Red. © 0=^ delle, analogie; voglio dire della musica eco dei rumori c specchio dei movimenti. Ma oltreché esistono dei rumori grotteschi che non si potrebbero senza goffaggine ed anzi inconvenienza riprodurre in un’opera severa, la musica non può con nessun mezzo dare un’idea di certi fenomeni naturali, tali quali la formazione della neve, o quella della rugiada, oppure il movimento delle nubi leggiere: ora questo è appunto, che Haydn ha sventuratamente tentato. E quando le parole gli presentavano degli oggetti suscettibili di una riproduzione musicale degna e vera, si scorge ancora E eccessiva debolezza, la piccolezza de’ suoi schizzi scolorati e la puerilità dei suoi sforzi. I passiseguenli: Già stridati le furiose procelle E come paglia al vento Del del volati le nubi, Guizzando van le folgori di fuoco, E spaventoso rogge il tuono intorno; avrebbero potuto dar luogo a dei bellissimi effetti d’orchestra, a delle belle idee di ritmo e. d’armonia; Beethoven lo ha soprabbondanlcmente provato, io credo, nel suo immortale uragano della Sinfonia pastorale. Questi versi non hanno suggerito ad Haydn che alcune misure inutili, insufficienti e (pcr chiamare le cose col loro nome) ridicole. Era ciò colpa dell’arte o dell’artista? L’aria di soprano col coro» Sorpresi a sìgrand’oprelo è piacevole, ma poco caratterizzata. Quella che. vico dietro, pcr voce di basso» Rotolando i spumanti marosi» ha mollo più di colore; inoltre, essa è modulata con quella abilità di cui l’autore ha dato tante prove; cd il maggiore» Lento il ruscello ameno» d’un effetto delizioso, d‘un’espressione incantevole, lo chiude che meglio non si potrebbe, lo passerò rapidamente sopra un’aria graziosissima» Dell’occhio al diletto» e sopra la fuga brillante che le tien dietro, per arrivare al liliale magnifico della prima parte» Palesano i cieli Le glorie del Signore». Questo coro si annunzia piuttosto modestamente, ma l’interesse si viene sviluppando di mano in mano, s’ingrandisce, ad ogni misura, e la perorazione, in cui trovasi un basso cromatico ascendente il «piale è rimasto nuovo perchè non fu troppo sprecato, produce un effetto irresistibile, affascinante, degno di tutta l’ammirazione. Gli applausi di lutto il teatro accolsero questo capolavoro, di cui la sola conclusione potrebbe essere meno laconica e più distinta. Per fermo Haydn aveva ancora la testa ed il cuore di un giovane «piando a sessantanovc anni scrisse «piesto bel finale, e non meritava punto I’ epiteto irriverente di vccchierella, che gli applicò un giorno Beethoven in un accesso di cattivo umore. La seconda parte si.apre con un’aria deliziosa di cui il tema superbo c vibrato contrasta felicemente coi susseguenti sviluppi «li mezzo pieni «li grazia. La frase» E gcmoii d’amorev è ollremodo stupenda. Il terzetto c il coro che seguono, malgrado delle grandi qualità di fattura, non contengono de’passi marcali che li distinguano mollo dagli altri pezzi. E troppo il medesimo stile, sobrio e sapiente sì, ma sempre, lo stesso ] siile. E «piesta osservazione mi sembra applicabile, alia maggior parte delle arie che si trovano ancora in questa seconda parle. Il maestoso, di tre tempi, contiene, anche delle frasi veramente volgari e 1" espressione delle «piali manca di dignità. Nella terza parie lo stile si rialza, cd i duetti fra Adamo ed Èva respirano una felicità tranquilla, nella dipintura de la «piale tutto il talento del maestro non ha però potuto fargli evilare! un poco d’insipidezza. E duopo rimarcare in «piesta partizione la riservatezza estrema di Haydn nell’impiego delle masse vocali, c riconoscere che la mtig- | giure difficoltà da vincersi, difficoltà ch’egli ha, se, non intieramente sormontala, almeno schivata con destrezza, consisteva indio scrivere un numero tanto considcvole d’arie e di «luciti ammirativi senza diventare assolutamente insopportabile all’uditore assai tempo prima della fine. In «piai modo puossi evitare la monotonia ripetendo per tre ore» E hello! è grande! Dio è possente! il giorno è puro! io sono felice! noi siamo felici! essi sono felici! l’aura è fresca! i fiori si schiudono! quai dolci profumi! quai dolci mormorii! amiamo Dio! amiamo noi! ecc., ecc., ecce. Bisognava, per resistere, al torpore che un tale soggetto dovea necessaria intuite produrre sul pensiero del compositore, ch’egli avesse posseduto, con un cuore semplice, ed una toccante ingenuità, una speranza senza confini ed una fede capace di trasportare delle montagne. L’esecuzione di «piesto venerabile capolavoro fu degna di «pianto attendevasi da un tal concorso d’artisti, diretti da un sì abile capo. L’orchestra è al dissopra di ogni elogio, e la sua attenzione si è tanto bene sostenuta dal principio alla fine della seduta, che non si ebbe a notare nessuno di quegli accidenti che, nelle riunioni di musicisti così numerose, nascono ordinariamente dalla momentanea distrazione d’alcuno dei concertanti, c producono delle macchie leggere sulla nettezza dell’insieine.1 violini si addimostrarono anche questa volta, e. forse in un modo più splendido che al Conservatorio, i primi violini d’Europa per la sicurezza ed unità del metodo, per la giustezza, pcr la -=© vi hanno degli uomini i quali, dopo aver loro amici, abbraccierebbero ancora il lor capitasse nelle mani. Ciò non vuol bellezza del suono, per l’energia, per la finezza delle tinte e per quella incomparabile destrezza che li fa spegnersi, a proposilo per riprendere in seguito con una più fiera sicurezza l’impero che nessun alleo istrumento dell’orchestra pensa a disputar loro. La superiorità dei nostri giovani violoncelli è parimeli li evidente: in nessuna parte del mondo si troverebbero in nessuna parte del mondo si troverebbero in una sola citta dieiolto violoncellisti come rumiti questi componenti la maggiorità nel gruppo dei bassi riuniti in questo concerto. Vedeansi degli archetti agili «piando essi doveano correre, morbidi ed espressivi quando doveano cantari*! Anche, le viole, «piesta preziosa classe media deH’orchcslra. tanto disprezzala dagli antichi compositori, c che., per la sua inferiorità, ha troppo lungamente giustificaio il loro disprezzo, sono in generale, in Parigi, degne di una riabilitazione completa. 1 nostri suonatori di viola sanno oggigiorno realmente suonare la viola, e pochi anni prima ci sarebbe stalo facile il vedere, come si vede ancora nella maggior parte, delle città della Germania c dell’Italia, la loro turba formarsi di violinisti infermi od inabili, colle snervati ed indecisi, «die non suonavano in somma niente meglio la viola del violino. Non bisogna più eziandio vantar»* tanto la superiorità dei contrabbassisti stranieri (io lascio da parie quelli di Londra che. non ho ancora intesi). Essendo finalmente ammessi nelle nostre orchestre i contrabbassi di «piatirò corde accordati pcr quarte ed in numero pressoché eguale a quello dei vecchi islrmnenti di Ire corde accordati per quinte, ne deriva un incrocio, hiamcnlo di corife vuote tutte in vantaggio della sonorità; e molli de’nostri artisti, avendo finalmente scoperto che per ben suonare il contrabbasso era utile cosa di studiarne il meccanismo, si sono rassegnali ad esercitarsi, ed acquistarono di giorno in giorno maggior destrezza sul loro islrumento. Lo stesso movimento progressivo si fa rimarcare, fra le diverse famiglie degli strumenti da fiato; in «piasi tutte, si possono citare Ire o «piatirò virtuosi evidentemente superiori a quelli che potrebbero opporci i nostri rivali di Germania e d’Italia (I). I coristi hanno lasciato mollo a desiderare; i passi di agilità, che s’incontrano in alcuni brani della (’.reazione, furono resi in un modo del lutto confuso. In «piesta occasione si ebbe opportunità di rimarcare di nuovo «pianto i nostri cori si ino in generale al dissotto delle nostre orchestre, e. riconoscere i miserabili risultali del vecchio sistema, ammissibile, soltanto in Balia, e dietro il «piale si si ostina ad organizzare le masse, delle voci. Tulli gl’indiviilui che compongono un’orchestra sono, fatte pochissime eccezioni, veri virtuosi. Scegliete; all’azzardo un suonatore nel gruppo dei violini e dei violoncelli, c «pieliti che, voi indicherete potrà al bisogno suonarvi in modo soddisfacente un concerto di Viotti o di Romberg; i primi di ogni islrumento a fiato sono tulli artisti di una certa rinomanza, i «piali nei concerti eseguiscono dei soli. e si fanno applaudire. Provate, invece di estrarre dalla folla un corista e. di fargli cantare in pubblico un’aria, sia pur semplicissima, e vedrete, cosa ne. risulterà. La spiegazioni* dell’anomalia musicali; di cui io parlo è dunque facile. Le nostre orchestre sono buone perchè grislnmienlisli sono bene in possesso dei loro islrumenti; i nostri cori sono cattivi perchè i cantanti che li compongono non sanno cantare. Ma, dirassi: se essi fossero abili cantanti, non resterebbero coristi! Ecco precisamente dove il male sta riposto, da questo pregiudizio nacque la barbarie, lo non esigo che un corista sia un Rubini; ma se si danno dei Ilei cori, ben disegnali, bene scritti, espressivi, di un tessuto ricco e stretto, da cantare ai coristi, checché se ne dica o si faccia bisogna assolutamente ch’ossi sappiano cantare. Non è «pini il luogo d’indicare i mezzi da prendersi, li; istituzioni da fondarsi pcr giungervi; ma «picsle. istituzioni c. questi mezzi esistenti ora in Germania, e. che furono lungamente la vera gloria delle, scuole romana e veneziana nei tempi di Balestrimi e di Marcello, non è punto fuori di ragioni; se ora si desiderano per noi. Dopo l’oratorio di Haydn, veniva l’ouverture d’Obéron. Il coro rimase silenzioso, come il pubblico, per ascoltare con rispetto l’orchestra, sua sovrana, suo modello, sua maestra. Allora la giovine musica si è alzata bella, ardente, inspirala; Weber, il poeta, ha fallo comparire Oberon, il re delle fate; egli diede, libero corso alla sua passione romaniica, ai suoi bei sogni d’oro, e giammai mia più sorprendente esecuzione riprodusse un più raggiante capolavoro. Perciò, avanti I ultima misura il teatro ha risuonalo d’applausi che venivano dalle, loggic, dalla platea, dall’anfiteatro, c di quelle grida di vero entusiasmo che diffìcilmente vengono strappate; e. l’orchestra, sorridente della sua potenza, dovette ricominciare la sublime sinfonia. La serata si è terminata col canto di trionfo di Giuda Maccabeo, di llandel, «die la platea ha ridomandato egualmente. Era la continuazione dell’impulso «lato da Weber. Non altrimenti nelle grandi gioje. subitanee ed insperate abbracciali i portinaio sc (1) M î Zo Red.