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- 106 i I I (lamento é più spiritoso e più vivo che i non soleva essere per il passato: donde spicca maggiormente il divario tra il recitativo e il canto propriamente dello. Le note però e gli ornamenti sono distribuiti con sobrietà in maniera, che senza toglier j niente alla vaghezza del motivo^ non rimane! questo sfigurato dal soverchio ingombro. Il Vinci, mirabile nella forza e vivacità delle; immagini, prese a perfezionare quella specie di composizione della volgarmente reci- j tativo obbligato, la quale per la situazione tragica che esprime, pel vigore che riceve dalla orchestra, e pel patetico di cui abbonda, è lavoro pregiatissimo della musica drammatica. L ultimo alto della Ut- | done abbandonala^ modulato in gran parte ] da lui a questo modo, è preferibile a quanto han di più fiero e più terribile nella pittura i quadri di Giulio Romano. Celebre parimente si rendette Giacomo Antonio bolognese, e più di lui Nicolò Porpora napoletano, che parecchi capolavori ci ha lasciati in codesto genere. Pergolese, il gran Pergolese divenne inimitabile per la semplicità accoppiata alla grandezza del suo । stile, per la verità dell’effetto, per la naturaralezza e vigore della espressione, per l’agginslatezza ed unità del disegno, onde! vien meritamente chiamalo il Raflaello e il Virgilio della musica. Simile al primo, egli non ebbe altra guida che la natura, né i altro scopo che di rappresentarla al vivo: L’arte. che tutto fanulla si scopre. Simile al secondo, ei maneggiò con felicità incomparabile i diversi stili, de quali si fa uso nella musica, mostrandosi grave, maestoso e sublime nello Slabat IHaterj vivo, impetuoso e tragico nell Olimpiade e neirO//èo, grazioso, vario e piccante, ma sempre elegante e regolato nella Serva Padrona, la quale ebbe il merito singolare, sentita che fu la prima volta a Parigi, di cagionare una inaspettata rivoluzione negli orecchi de’Francesi troppo restii a favorire la musica italiana. Ninno meglio di lui ha saputo ottenere Ì fini che dee proporsi un compositore: ninno ha fatto miglior uso del contrappunto, ove l’uopo lo; richiedeva: niuno ha dato più calore e più vita ai duetti, questa parte cosi interessante, della musica teatrale. Del che possono far fede l’inimitabile Addio di Megacle e di Aristea nell’Olimpiade, e il Lo conosco a quegli occhietti della Serva Padrona, modelli entrambi di gusto il più perfetto, cui si possa arrivare in codesto genere. Egli in somma portò la melodia teatrale al maggior grado di eccellenza a cui sia stata finora recata, e se non ci fosse stato da troppo immatura morte rapito (•), la quale gli tolse l’adito di potersi correggere di alcuni difetti proprii al genio, egli avrebbe forse fatto vedere, che se la musica moderna non produce i maravigliosi effetti dell’antica, ciò non proviene dalfesser (dia incapace di produrli, ma da mancanza delle nostre legislazioni, che non sanno convenevolmente applicarla. Scarlatti il giovane, Durante, Perez, Terradeglias, Lotti, Ziani, Gasparini, Lucchese, Sarro, Mancini ed alcuni altri lavorarono all’esempio loro con ottimo gusto, (1) Morì di trentatrè anni. Alcuni affermano esser egli morto di veleno propinatogli dai maeslri di cappella suoi rivali. Quantunque ciò non inorili ogni credenza, egli è tuttavia certo che Pergolese fu il bersaglio dell’invidia, c che sembra essersi avverata nella sua persona quella severa e. incomprensibil sentenza, che la natura in creando gli uomini singolari, ha, come dice un poeta francese, pronunziata contro di loro: Sois grand homme, sois malheureux. stili alquanto diversi, de quali! suoi Çapricçû ripieni di intricate stranezze benché con pero non formando classe da per sé. ma riducendosi a principj esposti di sopra, non occorre il fare individualmente menzione. Come al rattiepidirsi della stagione nella primavera, il calore che penetra nel centro della terra, va dilatandosi a poco a poco per tutti gli oggetti finché comprende e vivifica la intiera natura, cosi il buon gusto, comunicato sul principio ad un genere, si propagò ben tosto agli altri che concorrono alla perfezione del melodramma. Lo strumentale fu il primo a partecipare del benefico influsso. E opinione avverala dalla esperienza e confessata dagli oltramontani eziandio, che il ridente cielo del1 Italia comunichi agli slromenti una non so qual delicatezza, che non si ritrova sotto gli altri climi d’Europa. Forse ciò deriva dalla temperatura dolce e fervida insieme dell’aria, che domina generalmente in questo paese, la quale, rendendo più en colti, più aridi e conseguentemente più leggieri i legni, e più elastiche le corde, è la cagione altresì che pesino meno, e che più armoniosamente risuonino. Al che aggiungendosi l’accento vivo ed appassionato degl Italiani. che li dispone in partitola!’ maniera alla melodia e dolcezza di canto, non è da meravigliarsi se la musica strumentale, la quale non è che una imitazione più o meno vaga e generica della musica vocale. prende anche essa f indole (liticala e leggera del suo modello. Così si vede per prova che posta la stessa fabbrica degli stromenti lirici o pneumatici che siano, e la stessa abilità ne* maestri, si osserverà tuttavia dagli orecchi imparziali ed esercitati la soavità del suono italiano a preferenza degli altri. Se non che il miglioramento dell arte del suono in Italia non dee tutto ripetersi dalle accennate cagioni. ma dalle scuole eziandio, che incominciarono a fiorire dopo la metà del passato secolo. Le più celebri furono quelle del Gorelli. e non molto dopo quelle del Tarliui. La prima, che ebbe origine dal più grande armonista che mai ci sia stato di «pia dai monti, spiccava principalmente nell’artifizio e maestria delle imitazioni, india destrezza del modulare, nel contrasto delle parti diverse, ’ nella semplicità e vaghezza delf armonia. La superiorità nell arte sua, e la facilità di piegarsi a diversi gusti di entrambe nazioni, italiana e francese, procacciò al Gorelli un nome immortale in tutta Europa, quantunque un numero assai discreto di produzioni ci abbia egli lasciate, memore della massima di Zeuzi: Dipìngo adagio perchè dipingo pei’ tutti i secoli. Lo stesso Lulli si riconóbbe inferiore a lui, allorché, spinto da bassa e indegna gelosia si prevalse della grazia in cui si trovava presso alla Gorte di Francia per iscacciarnelo da quel regno. Fra i rinomati discepoli di questo grand’uomo la posterità annovera tuttora il Locateli! bergamasco, il Ge miniani e il Sdmis^). Il primo compositore, disuguale e fecondo, presenta agli amatori del bello musicale eccellenti esemplari d imitazione nei maestosi e patetici gravi lavorati in gran parte sull’esempio degli Adagi del suo maestro, nelle brillanti variazioni, e sopra tutto nelle sonate a solo, le quali sono la più pregievol raccolta che ci resta nella scuola Corelliana. Ma i (2) Questi nomi, celebri al tempo dell’Arteaga, ora sono appena conosciuti dai dotti bibliografi musicali. La II. e inventati soltanto per aver il vanto della difficoltà vinta. non dovranno servir di modello a chicchessia, se non se allora quando 1 indiava zzo got ico sarà preferibile alla greca semplicità. 11 Geminiani serberà chiara lungo tempo la sua memoria presso agl intelligenti a motivo della sua perizia nell imitar lo stile del suo maestro, e nella O esecuzione, come il SomÌs, per la flessibile leggerezza, uguaglianza, soavità e limpide! suo stile. dezza (Sarà continuato) «E PEU l.CU>E5Z< Di una delle cause per cui il progresso ritirarle musicale è rallentalo. Quando io veggo l’affettata indifferenza di certi professori di musica, segnatamente di quelli che si dedicano all’insegnamento, per i nuovi trovali, e per i perfezionamenti che tuttodì si fanno in opere di trattali, di metodi c di meccanismi alti ad accelerare il progresso degli studiosi, sarei vago di sapere la vera cagione per cui essi da ninna cosa sicno mossi ad abbandonar neaneo di un passo il sentiero battuto fin dal pi imo incominciare della loro carriera. A udirli, parrebbe che, siccome le buone disposizioni intellettuali c fisiche c lo squisito sentire degli studiosi per poco bastano a signoreggiar Tarte, così nulla, se non quanto assolutamente importa a dirigere tali facoltà, valga a cooperare alla pronta loro esplicazione, a rinvigorirne la fiacchezza, a sopperire per qualche lato alla loro mancanza; che i nostri sommi all’altezza in che li veggiamo, poterono pervenire senza il sussidio delle invenzioni falle dopo di essi; che per conseguente ogni innovazione è ciarlatanismo, dappoiché le basi di ogni ramo dell’arie musicale da lungo tempo sono pianiate, e il volersene rimuovere, o il volervi aggiungere riesce a inutilità o a detrimento. Con questi od altri poco dissimili sofistici argomenti vanno persuadendo il volgo musicale che la didascalica dell’arte nostra assai prima d’ora sia arrivata al colmo della perfezione, c che essi da questo punto precisamente siansi partili. Io sono ben lontano dal negare la straordinaria potenza di alcuni ingegni, i quali, senza attingere altronde che dalle comuni fonti i principi! da cui alla meritala celebrità furono guidali, seppero innalzarsi sojira tulli i loro contemporanei, lasciando di gran lunga indietro i loro predecessori. Ma è pur forza che altri meco convenga essere pochi gl’ingegni di sfinii tempra, e che, senza il sussidio delle cognizioni c degl’ingegnosi trovati già prima esistitili, a (aula altezza non sarebbero al certo pervenuti. L’uomo non progredisce se non in quanto arroge le sue alle cognizioni comunicategli o tramandategli da altrui. Chi sa se Paganini nel XVII secolo avrebbe pareggialo Gorelli? Chi sa se Clementi o G. Sebastiano Bach non supererebbero i nostri Liszt, Thalberg, Dohler, se posteriore fosse stata la loro venula? Mi paiono adunque mollo equivoche le ragioni che i maestri, di cui ho parlato sopra, addurrebbero per giustificarsi. Se non che nella maggior parte di costoro siffatte ragioni (se pur sono da tanto di saperle addurre) non servono che a velare una magagna assai piofonda. La quale, per dirla schiettamente, non è altro che. l’inerzia di coloro che professano un’arte per mestiere, c che, per non istillarsi il cervello a contribuire secondo lo proprie forze al progresso dcH’arle, trovano comodissimo Tespedienlc di condannar tutto, senza aver conosciuto nè tampoco esaminato nulla. A comprovare la verità della mia asserzione potrei citare di molli falli: ma per non dilungarmi soverchiamente dallo scopo principale di quest’articolo, a due soli mi ristringerò. Dieci anni fa un metodo per pianoforte in grande voga in Torino era quello di Colombo, ed era quasi J Tunico conosciuto. Sopravvenne quello di Kalkbrcnner SEGUE IL SUPPLEMENTO.