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da coloro, che sono avvezzi a rimarcare una paglia nell’occhio del loro prossimo, e che sono inetti a vedere la trave nel proprio. Si, si ha l’aria d’essere disgustosamente colpiti da una vecchia cadenza, e non si vede che ciò che si canta e si suona dal mattino alla sera non è che una sola e medesima forinola. Del resto, se ciò che io dico dell’Oratorio di Baldassàre, risveglia la curiosità di qualche dilettante, egli potrà leggere lo spartito nella collezione d’Arnold, posseduta dal Conservatorio,di Parigi, oppure farà venire da Vienna quello {per pianoforte, aggiustalo da Mosel, e pubblicato recentemente da Schlessinger, sotto il titolo Belsazer oder: der Fall Babylons,ubersetz and bearbeitet von Mosel. All’indomani della prova ebbe luogo l’esecuzione di questo capolavoro, a cui aggiunsero effetto un immenso e brillante uditorio, delle eleganti toelef/es ed una splendida illuminazione. I soprani ed i contralti, tutti vestiti di bianco, colle bionde loro capigliature adornate da rose o da foglie di quercia, emblema della Germania, questo sciame di quattrocento giovani e belle teste sporgenti da un fondo di gaza e di leggera mussola, rassomigliavano a quei cori di cherubini, che tanti pittori hanno rappresentati frammezzo a bianche nuvole nell Assunzione della Vergine. L’uditorio era forse composto da diecimila persone: un fatto singolare attesterà che questo numero non è esagerato. Ciascuno spettatore, avendo fra le inani un esemplare delle parole dell’Oratorio, il foglio lu da lutti voltato nel. medesimo momento. Ebbene! il. fruscio della carta fece un rumore che somigliava perfettamente a quello d una pioggia dirotta che fosse caduta nella sala. Un mormorio di meraviglia manifestò la sorpresa cagionata da questo effetto singolare. Quando questa gran festa musicale fu terminata, un uditore montò’ sovra un banco, prese la parola e votò tre salve d’applausi ad onore dell’opera di Haendel e de’ suoi esecutori. All’istante la sala risuonò a tre riprese d’un rumore eccitato dal più vivo entusiasmo. Siccome in Francia le persone che amano la musica amano ancora più la danza, non bisogna lasciar sotto silenzio che all’indomani un gran ballo fu dato nel medesimo locale clalla città di Màgonza, e che questa festa danzante fu assolutamente degna della festa musicale: non vi erano come da noi, delle pompose toelettes, non si vedeano quasi che delle giovani e belle ragazze vestite di bianco, ma io credo che la gioventù e la bellezza valgano bene tutti gli adornamenti. Un’altra particolarità musicale sovra Magonza ^ ad ogni mattino si veniva risvegliati da un coro di tromboni, posti sulla parte più elevata del duomo, conosciuto dagli artisti come uno de’monumenti più beili delle rive del Reno. Questo coro aereo, e per così dire celeste, eseguiva il corale: ìVie fekoen leuchtet uns der Morgen. Cosi dappertutto la musica, e dappertutto impiegata con intelligenza. Addio. F. B. Laurens. STUDJ BIOGRAFICI AEESSI© PRATI Ogni città deve nel suo particolare ceI lebrare la- memoria de’benemeriti ch’ella ‘ produsse nella bell’arte musicale,,non già Ì come vanto di borioso onore municipale, ) ma bensì coinè una porzione di quel tanto, die ciascuna è obbligata a contribuire nell’associazione delle città tutte d’Italia. Le storie letterarie non passano al certo sotto dimenticanza i nomi di molli, che o pel canto, o per l’arte del suono, o per la composizione contribuirono distintamente all’onore della scena italiana. ÌNè Ferrara ha certamente da rimproverarsi di avere poco contribuito a generare e maturare la gloria musicale degl italiani. Ed abbenchè Guido fosse di patria aretino, fu però monaco nel convento di Pomposa, terra del ferrarese, ove, neM 022, diede esistenza alla musica col trovare l’espressione delle sei note sopra l’inno di Paolo Diacono «ut c/ueant laxis» e v’introdusse le terze maggiore e minore, lasciò sussistere l’ottava e la quarta, e rigettò la quinta siccome troppo dura. In Ferrara visse quell’Afranio pavese detto Ambrosio, canonico della Cattedrale, il quale inventò il fagotto, islrumento poscia così bene suonato da maestro Tommaso Bambasi ferrarese. In questa città gli Estensi fondarono una delle prime scuole di musica clic ebbe per.professori Josquino de Près, Adriano "Villvert, Cipriano de Rove. e gli altri fiamminghi di quell’epoca, de’quali Leonello ed i suoi successori -ebbero piena la corte. In Ferrara nacquero e furono rappresentati i primi drammi lirici, Y Egle dèi Giraldi con musica di Antonio dal Cornetto, il Sacrifizio del Beccari, l’A refusa di Alberto Lollio, lo Sfortunato dell’Argenti colle note di Alfonso dalla Viola, La Dafne e l’Euridice del Rinuccini, coi recitativi del Cacciiii. li Egle fu rappresentata nel 4545, il Sacrifizio colle altre, di Alfonso dalla Viola, dal 1354 al-1507, Y Euridice nel -1000. Sotto il regno di Alfonso II, e delle sue sorelle Anna e Lucrezia gentili cultrici della musica si radunarono in Ferrara i più celebrati maestri nell’arte, Alessandro Milleville, Ercole Pasquini. Luzzasco Luzzasclii. Girolamo Frescobaldi, Lodovico Agostini, Domenico Bastamonte. Giuslierto Bolduchi, Ippolito Fiorini. Cesare Ferfuzzi. Innocenzo Alberti. Francesco Arrigoni, Stefano Arrivieri, Giulio Giusberli, detto l’Eremita, Paolo Isnardi, Filippo Nicoletti, Ercole j Serraglio, Sulpizio Pombesi, Francesco ed! Alfonso della Viola, tutti ferraresi di grande i rinomanza in que’tempi, parte maestri di! Cappella, parte cantori e suonatori di stru- j menti, c parte scrittori di opere musicali.: Tra la sfera dei cantori di drammali- j che poesie fu Girolamo Frescobaldi orga- j nista di S. Pietro in Roma. il quale ac- 1 crebbe l’arte di nuovi modi che fu lo j stupore di tutte le città d’Italia nel prin-; cipio del XVII secolo, e datosi anche al; comporre, salì in tanta fama, che le opere j di lui formano tutt’ora l’ammirazione dei j dotti musicanti. Antonio Draghi, pure ferrarese, fu maestro di musica in corte del-; l’Imperatore Leopoldo-’ circa il 1652. Le i sue opere teatrali furono assai apprezzate dagl’intelligenti. Ed a somma gloria conta Ferrara fra j suoi concittadini Arcangelo Corelli nativo! della terra di Fusignano, grande suonatore e perfezionatore del violino, che per opera sua divenne re dell’orchestra, che primo pose movimento nel basso, e per tutta Europa‘è riconosciuto quale restauratore della musica, le cui opere saranno per sempre modelli della scienza annonica per la grandiosa semplicità, e per la maestà melodiosa degli accordi, allargando con tali mezzi i confini, che nessuno avanti di lui seppe cavarne tale profitto da mutare lutto il sistema dell’armonia, incominciando quella perfezione che oggi si vede. Lucrezia Agujari fu cantante celebratissima, e venne istrutta nella musica dal bravo maestro di cappella D. Brizzio Petrucci, e poscia, appresa che ebbe l’arte di regolare e perfezionare la natura, percorse i principali teatri d’Italia, di Francia e d’Inghilterra, che per la nitidezza e flessibilità di una voce estesissima, formò nella breve sua carriera della vita le meraviglie di tutti i teatri. E finalmente in Ferrara nel -1750, alli 19 di luglio, ebbe i natali il rinomato maestro Alessio Prati, che meritossi un rango fra i Cimarosa, i Sarti, i Paisiello ed i Guglielmi, e nella stessa finì di vivere il giorno 17 gennajo 1788. La musica teatrale cresciuta e fattasi bella nelle mani dello Slradella, del Carissimi, dello Scarlatti, del Porpora, del Vinci, del Leo, del Durante, del Pergolesi. del Galuppi, del Piccini, del Saccliini, giunse al grado di perfezione sotto il Jomelli, che fu il più celebre maestro che mai veduto avesse l’Europa. Tale era la condizione della musica drammatica, quando Prati entrava nell’arringo, favorevolissima in quanto agli ammaestramenti che da tanti sommi poteva ricavare. difficilissima a chi andasse in cerca di gloria per segnalarsi fra la schiera dei molti compositori. Studiò il Prati i primi elementi della musica in patria sotto il Marzolla maestro di cappella della Cattedrale che ne fece favorevolissimi pronostici. In età di diciotto anni passò a Napoli nel R. Conservatorio sotto valenti maestri, fra quali basta nominare il Piccini, e vi rimase sei anni studiando sempre con ardore, passati i quali terminò ì suoi studj. Sortito di Conservatorio si portò a Roma sotto la direzione dell’abate Speranza contrappuntista molto rinomato, onde apprendervi i misteri più nascosti della scienza, e l’arte di scrivere per la chiesa, di cui Roma fu sempre maestra. Ei fece grandissimo studio sulle pagine di questo illustre compositore, e rivestì di miglior colorito gli stessi disegni del suo maestro, che in capo a dieci mesi gli disse «or va, eli è lu sei proprio un maestro». il giovine Prati, bramoso di acquistar fama, nell’anno 4775, tornò in Napoli e colà imbarcossi per la Francia e giunse a Marsiglia sprovveduto di tutto, senza conoscenza o relazioni di sorta, ignorando perfino la lingua. Ma, poco dopo il suo arrivo, ebbe a congiuntura favorevole di mettersi in relazione con un italiano professore di contrabbasso, il quale conoscendo che il giovine Prati era maestro, gli proferì di scrivere un pezzo musicale da eseguirsi in una sacra accademia solila a tenersi ogni venerdì sera. Venne il giorno e la musica piacque fuor di misura, per cui con questo mezzo si procacciò l’amore dei Marsigliesi:, ed èssendo il Prati anche eccellente suonatore di cembalo e buon cantore, queste qualità gli divennero utili per dar lezioni di musica. Due anni stette in Marsiglia, passati i quali si recò a Parigi, dove in allora teneva il campo della mu- li sica il celebre Gluck. Anche colà si acco- <5 modò come maestro di cembalo e canto, m scrivendo piccole cose secondo se gliene offeriva occasione. L’indole dolce del Prati, Il tutta spirante una flebile melanconia, mal m