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Arvino udendo i sacrileghi vaneggia^ menti della figlia trae un pugnale per felli rirla: ma l’Eremita il trattiene dicendogli: ÌSJ die, fai? la misera. - duolo ha si forlc ® Che, ben lo vedi, - ragion smarrì! e qui ha fine l’atto. Tutta cotesla scena è così gagliardamente inspirata, ed è eseguita dalla Frezzolini in modo sì energico e passionalo, che riesce d’un effetto maraviglioso e lutto il teatro non ha che un senso per inebbriarsi nei trasporli della bella musica e per applaudire i prodigi della brava attrice. All’atto terzo nuova transazione discena. Non più. in Lombardia, non più in Antiochia, 11011 più sulle rupi dell’uomo della caverna: ora siam nella valle di Giosal’at in vista del colle degli ulivi e della santa oiltà di Gerusalemme. Una schiera di cavalieri crociati, donne e pellegrini, facendo cammino in processione, innalza un inno di gloria alla santa città. E una musica d’indole tutta tranquilla, pacata e religiosa che spira una dolce melanconia nell’animo e riesce quindi assaissimo appropriata alla circostanza, e pare a noi di molto pregio. Mentre i pellegrini s’allontanano perla valle ha luogo un incontro di Giselda in abito monastico e di Oronte in lombardo costume, i quali, felici di rivedersi e beati dell’amor loro, promeltonsi eterna fede, ed al prorompere d’interne voci che gridano all’armi meltonsi a fuggire. La Frezzolini e Guasco cantano qui alternativamente un allegro in mi bemolle che è tutto di modi leggiadri, sebbene le frasi melodiche non sian del tutto nuove. La breve cabaletta poi clic cantano in fine in tempo più concitato riescirebbe migliore se meglio fossero innestate le interruzioni dei cori. I tempi finali non amano troppo di esser interrotti. Altro mutamento di scena. Il corretto/delle lombarde squadre,- Aivin da Rò, solo nella sua tenda, si pente d’aver generata la figlia sua, intanto che alcuni cavalieri accorrono ad avvertirlo che più d’uno ha veduto Pagano - Discorrer le tende - del campo crocialo. Al colmo dell’ira egli si propone emendare l’errore del Cielo che non lo punisce, e figurandosi già di colpirlo parte in traccia di lui. La scena si muta ancora per rappresentarci l’interna parte di una grotta in riva del Giordano. Dopo un assolo di violino, che forse avrebbe potuto avere un carat1 tere più analogo all’azione patetica a cui I serve di preludio. Giselda vien sostenendo Oronte ferito e moriente e lo adagia sopra d’un masso. Bello è l’accompagnamento di un breve canto che vien dopo alcune frasi di recitativo, e bellissimo è un terzetto che ha luogo subito dopo al! comparire dell’Eremita che giunge a benedire la conversione e la morte di Oronte. E la scena più tenera del dramma e le voci del soprano e del tenore sono sì bene intrecciate a formare una specie di crescendo in tuono di la maggiore accompagnato dall’arpa, che l’ascoltatore è trasportato all’entusiasmo. Il maestro Verdi merita gran lode per questo squarcio che mostra com’egli sia profondo conoscitore dell’arte. L atto quarto s’apre in allre vicinanze,3. di Gerusalemme. Giselda dormiente in una caverna sogna di vedere in paradiso il suo ~ perduto Oroute festeggiato da un coro di ^ beati. Il coro è bello, sebbene non inteWt ramenle di nuovo stampo; ma non sappiam concepire come il compositore abbia fatto accompagnare questa scena con voci di trombe miste al tocco delle arpe. Forse potrebbe anche risultar più drammatico quel tratto in cui Giselda parla e cammina sognando se fosse detto più sommessamente come sogliono fare i sonnamboli.: Brillantissimo poi e pieno di tutta vivaj cità è l’allegro in fa maggiore posto sulle i parole Non fu sogno!.... che chiude { questo pezzo; ed anche qui la Frezzolini! spiega tanta sicurezza e magistero di canto | che veramente può dirsi sorprendente, i Nuovo mutamento di scena, che ci porta I tra le tende lombarde presso il sepolcro di Bachele. Un coro di crociati, pellegrini e donne, ripensando alle frese’aure volanti sui ruscelletti de’ prati lombardi, ai purissimi laghi, ai vigneti indorati dal sole, alza preghiera al Signore acciocché i suoi fidi guerrieri non siano ludibrio alle genti tra le sabbie d’un arido suolo. E un lavoro tutta leggiadria: bello il canto, bella l’istru— mentazione, che move all’orgasmo il pub! blico per modo da non rimaner soddisfatto; all’udirlo una sola volta. È uno de’ più; liei tratti dell’opera che potrebbe essere! superiore ad ogni censura se quel pigolio: continuato dei flauti che sorge ad accompagnare il canto all’idea delle fresc’aure volanti, non prestasse, al gusto di qualcuno, un colore troppo giocondo ad una invocazione dolorosa di chi ricorda e sospira il tetto natio. Rimembrando il poeta che nessun maggior dolore die ricordarsi del tempo felice Nella miseria, fa dire al suo coro che il rammenlare le dolcezze della pàtria è dono infausto che fa più dura e cocente l’arena d’un arso terreno; e dice che crudele è là mente che le piuge troppo vere agli sguardi. Quei suoni dei flauti non corrispondono per vero a questa crudeltà della mente, e mentre sono di sì grato effetto all’oreccliio non lo sono forse egualmente al criterio dell’arte. Sopravvengono Giselda, l’Eremita ed Arvino annuncianti che Buglione sta per assalire la santa città. S’intuona in coro un canto di guerra vivace e caratteristico e la scena finalmente si cangia per l’ultima volta. E la tenda d’Arvino. Dopo lungo romore di battaglia, pinto dalla musica maestrevolmente, sorretto da Giselda entra l’Eremita con Arvino. Egli è ferito a morte, ed è nel delirio dell’agonia. Al nome d’Arvino si svela per suo fratello Pagano, e con un canto molto ben lavorato, drammatico, e pieno della sublimità del momento, chiede l’estremo perdono. I fratelli s’abbracciano, e per secondare il desiderio di Pagano apresi la tenda, e dalle mura di Gesuralemme vedonsi sventolare le bandiere della Croce. Un ultimo inno di lode al Dio della vittoria termina maestosamente l’azione. Dalla narrazione che venimmo facendo il giudizioso lettore per sé medesimo ha veduto che non senza buon fondamento abbiamo asserito essere questo un parto degnissimo del bell’ingegno che lo ha concepito, dacché non v’ò parte che non corrisponda all’insieme; e per l’equa distribuzion della lode avrà del pari veduto che la musica non fu guari giovata dalla poesia, la quale, se di quando in quando effondesi in alcuni buoni versi, ha del rimanente tessuto il suo poema in modo sì poco ragionevole, che per vero non sapremmo come lodarlo. Malgrado ciò il bravo compositore ha sempre saputo sostenercela sua mente all’elevatezza del soggetto, e se l’azione drammatica non è sempre logica egli la rese tale per quanto il manto della musica poteva coprire le mende della poeCon questo non inlendiam dire per altro che lo spartito sia un modello di perfezione; e se lo studio e l’arte bari poche cose lascialo a desiderare, forse non potrebbe dirsi altrettanto dal lato dell’immaginazione, perchè il lavoro, che nel tutto stimiam meritevole di distinto elogio, è sparso qua e là di frasi, di germi d’immagini, che richiamano Bossini. Bellini, Meyerbeer, Donizelti: il che neutralizza quella vergine novità eli’è prima essenza del bello in fatto d’arti; poiché nelle arti tutto ciò che non è nuovo colpisce appena per metà. Talvolta, se osiam dire ogni nostro pensiero, l’istromentazione è alquanto romorosa, ed un po’più di parsimonia nell’uso della gran cassa recherebbe forse alle composizioni del maestro Verdi quell’augusta tranquillità che è l’atmosfera in cui ebbero vita tutte le vere grandi creazioni. Ma queste son forse più idee nostre che verità. L’opera sua è molto gradita al pubblico milanese che di sera in sera la va sempreppiù festeggiando. E noi chiudiamo le nostre parole facendogli un atto di cordiale congratulazione per la promessa clic novellamente ci ha dato d’essere uno de’ pochi sostegni della gloria musicale italiana. G. Vitali. BER. frevscmì;tk filiera in miosiea ili O. NI. Wiìbeii prodotta sulle scene ilei Teatro della Versola in ^Firenze la sera del A feltraio 1843. Asserire clic il capolavoro del maestro tedesco incontrasse nella sera e sulle scene sovraindicate il pubblico gradimento, sarebbe dir cosa non vera: non già clic la numerosissima udienza desse a conoscere la sua disapprovazione con incongrui e rumorosi modi, che i fiorentini frequentatori del teatro han troppo senno per ignorare quanto sarebbe stato ciò inutile c disdiceyolc, trattandosi in specie di opera famigerata di famigerato autore già morto da molto tempo, sul merito della quale quasi tutla Europa si è pronunziata favorevolmente, che da circa venticinque anni ha corso di trionfo in trionfo per mezzo mondo. Nè ignorava» del pari che se a stabilire la fama di essa c deH’nntorc pienamente inutile sarebbe stato per riescile il loro plauso, del pari inefficace a distruggerla sarebbe riuscita la loro disapprovazione. Ma del vero sopraeiiunciato piena riprova porgevano: la freddezza mostrata durante tutla la udizione, i particolari discorsi c i giudizj che dagli astanti Ira loro conversando si pronunziavano, e più di tutto la generale disattenzione che dal sccond’allo in poi si fece sempre maggiore. Certo è che i fiorentini, come chiunque altro, hanno facoltà di divertirsi a modo loro, c quando ascoltando questa musica, nè trovandovi diletto, si contentarono di non applaudire, furono nel loro diritto, nè alcuno ha autorità per fargliene rimprovero. Può esser per altro non inutile al progresso dell’arte cd all’avanzamento di una critica illuminata, occuparsi a rintracciare le ragioni per cui una produzione musicale delle qualità c delle condizioni del Freyschiitz, già favorevolmente ed inappellabilmente giudicata daU’opinione generale, abbia incontrato in Firenze un esito così difforme da quello che da molti se ne aspettava. Credo clic due ordini di cause vi abbiano influito: intrinseche alla composizione, le prime; estrinseche, le seconde. Incomincio dalle prime. Mi sia permesso osservare che la scuola musicale tedesca in sui primi tempi del corrente secolo cominciò essenzialmente a variare di carattere. Fino allora la musica gaja, spiritosa, nobile sotto la penna di Giuseppe Havdn, dolce, insinuante, appassionala,melanconica sotto quella di Wolfango Amadco Mozart, se