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il quale sarà men noto perchè appartiene i! all’ultima grandiosa messa ch’egli scriveva j prima di lasciare la Cappella di Novara. j I maestri più celebrati in ogni nazione j in ogni tempo furono, o sono forse ine- i sperti nell’arte loro, e solo dal genio na-! turale collocati in sublime grado? E, per: non dire degli altri, Donizetti e Mercadante: tengono forse il primato fra i moderni j compositori italiani sforniti di scienza? i Mai no!. Se pensate solo al numero sterminato! di opere che il primo compose essendo 1 ancora in fresca età, al favore che esse j ottennero in Italia e fuori; se alla facile j melodia, sempre chiara e spontanea, facil- i niente vi indurrete a crederlo maestro di: genio. Considerate meglio, e vedrete Puomo di talento sostenuto da uno studio che la scienza in seconda natura converse. Vedrete l’arte attraverso allo stile più imitato che proprio, attraverso alla trascuratezza con cui d’ordinario egli scrive, attraverso alla stessa uniformità che passa nelle sue opere buffe, o serie che elle siano. E l’arte di Donizetti consiste nel far parer nuove cose sentite e risentile, nell’appropriarsi tutti gli stili e farne un solo, nel rendere popolare il scientifico, nel piacer sempre senza innalzarsi alla vera sublimità come senza cadere nel basso e triviale. È noto che la più parte degli scrittori di cose o giudizi musicali, o lodando, o censurando Mercadante, convenne nell’asserire che questo egregio scrittore esaurito avendo la potenza dell’immaginativa tutto ritraesse dal solo studio. Noi non entreremo a discutere in tale questione, sebbene ci sembri alquanto inconsiderata sentenza:, vogliamo anzi ammetterla per intiero, onde ritrarne la necessaria conseguenza. Ed è che se il sapere può produrre le bellezze di cui son piene le opere di Mercadante senza il concorso di un fervido immaginare, il sapere merita certamente maggiore stima di quanta ne riscuota dalla più parte. Se lo studio, lunge dall’inaridire l’immaginazione, la favorisce, e fino ad un certo punto può farne le veci. si studii indefessamente come tutti i grandi han fatto per essere grandi noi pure. Studiamo i nostri, studiamo gli stranieri, i moderni c gli antichi, e come l’ape che da ogni fiore succhia il nettareo liquore, procuriamo emularne i pregi evitandone i difetti. Ma più che le opere altrui, delle quali troppo facilmente si riesce imitatori, si mediti sulla natura degli affetti e sul modo che ha l’arte di esprimerli, affinchè ogni dramma, ogni opera abbia un carattere vero e distinto, e si scuota il tirannico giogo dell’abitudine, che ne vorrebbe sempre sulle medesime orme. E questo l’unico mezzo di non lasciare che la nostra musica drammatica decada da quel grado cui la recarono i sommi che precedettero e ancora fioriscono’: è il mezzo di farla progredire pur anche, non essendo finora esclusa la possibilità di un ulteriore progresso. L armonia e la melodia hanno acquistato tutta l’ampiezza, tutta la pieghevolezza necessaria all’espressione di ogni af» l’etto. L’orchestra ha acquistato una mirabile ricchezza di caratteri, e grazie ai miglioramenti a poco a poco introdotti nella costruzione dei diversi istromenti, e ai buoni-metodi di trattarli, questi si sono resi capaci di obbedire a tutte le esigenze di un avveduto compositore. Poco adunque o nulla rimane ad aggiungere alla ricca suppellettile di cui ci troviamo abbondantemente forniti. Ma non sempre il perfezionare richiede di aggiungere-, ei può consistere nel fare un uso migliore di quello che già si ha, nel variare, nel dare forme più larghe e analoghe, nel liberarsi dalle non ben ragionate abitudini che spesse volte inceppano, impiccioliscono il pensiero. (iSai’à continuato) M.° il a imondo BoucheuonCAUTELE IO OSSERVAZIONI ESTETICHE. PENSIERI - ECC. Gentiliss. sig. Estensore Firenze li. Mi rimproverate dolcemente nell’ultima grata vostra la indolenza clic pongo nel trasmettervi articoli per la Gazzetta Musicale, c mi stimolate a sortire dal mio dolce riposo! Grazie della buona opinione clic cosi mostrate nutrire di me e dei meschini mici scritti. Avranno eglino ragione, però, i lettori del vostro foglio di esserne grati ad ambedue; a me, se compiacendo alla vostra esortazione mi pongo a schiccherare un articolo, a voi, se ne fate a loro regalo in una delle prossime pubblicazioni? - Permettetemi che ne dubiti alquanto. Pure, se per empire in qualche modo una colonna del giornale vi fosse indispensabile l’opera mia, non intendo rifiutarcela, ed eccomi anzi a compiacervi. Ma qui mi sorge davanti la solita difficoltà. - Qual subbictto mi proporrò io a trattare? - Vi confesso che la risposta a tal quesito è stata per me sempre di tanta difficoltà, che ad essa principalmente dovete se di rado, a detta vostra, vi trasmetto mici articoli. Infatti, ognivollachò, in luogo di occuparmi di critica attuale, di che spesso mi manca il modo, vorrei slanciarmi nel campo dell’astratta artistica o scientifica speculazione, mi avviene che, preso a trattare un subbiclto, quello di mano in mano che vo scrivendo mi si vicn tanto allargando sotto la penna, clic vedendo l’incominciato articolo assumere a poco a poco quelle terribili gigantesche forme del trattato, c disperando potere acconciamente dir tutto che vorrei in brevi parole, getto scoraggiato la penna e lo scritto, passano le intiere giornate, ed i corrieri fanno intanto regolarmente le loro corse tra questa c codesta città, senza però clic abbiano a recarvi un solo periodo, da me vergato; lo elio in fin d’ogni conto la coscienza mi avvisa non esser gran danno nò pel vostro foglio nè pei lettori di esso. - Ma se irremissibilmente questa volta la posta non deve partire senza qualcuna delle mie ciance, eccomi fervorosamente all’opra, c siccome questo micro-tosco-musico-cosino in clic mi trovo non mi presenta al momento convenientemente subbictto lo be rcviewed, come direbbe un giornalista inglese, cosi per criticare pur qualche cosa, andrò a scovare il subbictto criticabile perfino nei fogli della nostra stessa Gazzetta; e a tal uopo precisamente dal fondo dell’ultima colonna del N. 41 dell’annata corrente, dove in santa pace riposa tranquillo, trascinerò senza pietà sull’arena della controversia un mcmbrelto del primo periodo dell’avvertimento, diretto in lettere majuscolc, carattere filosofia di forte impressione a Ai Signori Lettori, a - In quel primo periodo si va dicendo che per la stagione teatrale della decorsa fiera di Cremona il coreografo Morosini compose un nuovo ballo nel quale con ottimo divisamente introdusse un coro vocale.. (1) Ora, credereste voi che quelle tre povere parole, clic qui ho segnale in corsivo, sono stale per me un vero eculeo, una corda, un incubo, un purgatorio, un inferno, dallo sventurato momento in che le lessi, c clic solo a scaricare con uno sfogo criticoespansivo dell’animo sopra di voi, e (quel che è peggio) per rimbalzo sovra i poveri innocenti lettori le (1) L’Estensore della Gazzetta Musicale era assente da Milano quando si inserì queW’avvertimento, e la persona da lui provvisoriamente incaricata della redazione lo diede come articolo comunicalo, declinando cosi dalla responsabilità di quanto in esso diccvasi. La Red. pene clic mi opprimono sono dedicate le. se; role? - Comincio dunque, la mia diceria. 0 quell’inciso» con ottimo dioisamento u si riferisce in genere al divisamente d’introdurre dei pezzi vocali nei balli pantomimici, o, in un senso più ri- f stretto c speciale, dichiara ottimo il divisumcnlo di averne introdotto uno nel ballo di cui ò menzione ncll’avycrliiiicnto. Nel primo caso contiene un giudizio, che, richiamalo al tribunale della ragione, mi pare non possa meritar plauso, in quanto che contrario ai principi elementarmente essenziali alle arti d’imitazione: nel secondo, al contrario, potrebbe forse esser giusto. Ora quale di queste due significazioni debba aversi per vera nel caso nostro, non chiaro apparisce dal contesto dello scritto; mi pare però poter dire clic là erroneità del senso generale c basata su tali principi j che escludono quasi assolutamente la possibilità che il senso ristretto c speciale sia vero. Sia intanto discorso del significato generale e assoluto. Quale, è il fine prossimo delle arti belle?-La imitazione della natura, ond’ò che anche arti d’imitazione o imitative son delle. Credo mi si concederà ritenere questo principio generale come ammesso da lutti, senza che mi deliba dilungare a giustificarlo con ragionamenti, che potranno occorrer piuttosto per indagare le leggi particolari ed i modi diversi della imitazione. Intorno a che sia per ora quello che esser si voglia: questo osservo soltanto, tutte le arti imitative aver ciò di comune, clic più o meno completamente e dappresso rivaleggiano con la natura,-risvegliando nell’animo dell’uomo, per mezzo della imitazione, sensazioni analoghe a quelle che vi produce ciò clic nella natura stessa esiste realmente. Se però per un lato questo vincolo identico le unisce c pareggia, dall’altro un diverso processo d’imitazione una dall’altra le distingue, servendosi ognuna di mezzi imitativi speciali che le son proprj. E qui prendendole ad una ad una più specialmente in considerazione, tra tutte primeggia la poesia. clic ad imitar la natura si serve della parola, con che lutto descrive, lutto rappresenta. A lei tengon dietro in grado di presso a poco egual dignità la pittura, la scultura, la musica, dello quali la prima, ad mutazione della natura, si serve delle linee e dei colori, delle forme materiali senza i colori la seconda, dei suoni la terza, sia clic li tragga dagli stromcnti, sia che dalle umane voci li ottenga, c, maritandoli alla poesia, divenga canto. Dei quali mezzi d’imitazione o isolatamente, o collettivamente, essa si serve, del pari che la pittura di quelli clic specialmente le spettano, rinunziando talora all’uso illimitato di tutti i colori per attenersi alle varie gradazioni ih un’unica tinta o all’impiego delle sole linee variamente modificate. - Ed a queste altre due arti d imitazione tengon dietro; ambedue, però, a qualche distanza, ma per ben diversa ragione: la prima, l’architettura, perchè più da lungi la natura imitando nella sua positiva austerità più si accosta alla gravità delle scienze; la seconda, la mimica, perchè, mentre scrvcsi in certo modo come stromenlo d’imitazione dell’essere più nobile della creazione, dell’uomo stesso, lo priva per servirsene della qualità caratteristica ed essenziale per cui si sviluppa la sua perfettibilità c sociabilità, della favella voglio dire, cui solo incompletamente supplisce per mezzo di un manchevole linguaggio di gesti (I). (1) Ben s’intende che parlando cosi della mimica la considero come arte d’imitazione per sè stessa, e non come associala alla poesia declamata, di cui è necessario e nobilissimo accompagnamento. E del gesto scompagnato dalla parola ch’io parlo, i di considerare quasi simile al lizzato: nel che se io erri noi so. Veduto per caso da taluno il sopiatrascritto articolo, mi ha fatto le meraviglie per non avere io annoverato tra le arti belle il ballo o danza propriamente detta. Se si fosse trattato della declamazione, che io però considero come una dipendenza delta poesia, non mi avrebbe ciò sorpreso, ma che vi possa essere chi sul serio annoveri il ballo tra le arti belle mi recò non lieve meraviglia. Vorrei mi si dicesse un poco che cosa prende il ballo ad imitare. No clic desso non è imitazione, ma in certo modo un prodotto della natura esso stesso; ad ottenere il quale maggiormente perfetto si preparano c rendon più atte le membra deH’uomo per mezzo di esercizi insegnati da un’arte che non ha diritto a sollevarsi oltre la serie di quelle die son dette ginnastiche, utilissime alcune, altre comode, altre piacevoli, altre inutili, delle quali il novero incomincia con l’equitazione, il nuoto, la scherma, ecc., c finisce coi giuochi di anelli, di palle c di bacchette dcU’indiano jongleur. o unicamente v