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) piangere non è nulla, l’effetto più perni| cioso è quello che la sensibilità sia spinta i fuori del reale, dentro i confini della cuj pezza e della pazzia. Questa è una vera disgrazia moderna. La poesia e la musica che debbono mettere le passioni in equilibrio colla ragione sono fatte servire a suscitar convulsioni da ossessi, a nodrir sentimenti da mentecatti. E cosi il patetico invece dipurgare gli affetti, gli avvelena e tende a creare una società di malinconici, di smaniosi, di arrabbiati. Misura, misura, signori poeti e maestri. Non abbiam bisogno noi uomini del secolo XIX, noi disingannati di tante utopie, non abbiam bisogno, dico, di colesto sensibilismo atrabiliare. Affetti robusti, energici, puri, giusti, diretti al pubblico e privato bene; movimento di vero amore ed amicizia, di palriolismo, di filantropia; di quesLi abbisogniamo noi. E poi abbisogniamo ancora d’un’altra cosa, ed è questa. Niun crederà, che tutto il male de’ teatri venga dal poeta, dal maestro, dal decoratore, o dall’impresario, tanto meno da una mediocre orchestra, dalla cattiva scelta delle voci. No, tutto il male non viene di qui. Gli antichi insegnavano che l’oratore debhe essere uom dabbene, e poi aggiugnevano: Se vuoi che io pianga, piangi tu prima. Ora gli oratori antichi e gli attori moderni debbono essere nello stesso caso. I ministri della poesia cantala posti là su quel palco per risvegliare in noi bei sentimenti come stanno essi di salute? Bella voce, bel garbo, bella azione, bella persona; tutto è bello in essi; ma io vorrei che la platea fosse anche persuasa che siffatte persone hanno una bell’anima, un bel cuore, bei costumi, che sono gerite educata almeno dall’arte che professa. Che le più pure ed oneste commozioni risvegliate ih noi dalla musica e poesia ci debbano venire, in un secolo di progresso, per il rhezzo di rappresentanti scostumati è cosa indegna. E che gli uomini del miglioramento sociale applaudano ed impazziscano per chi dalla scena funestando un piacere innocente per sè mette un ostacolo al meglio? è cosa per lo meno assurda. O quanto più soave ed efficace ne sarebbe la musica se ci venisse amministrata da onesti interpreti delle vergini muse! Chi non sentì questa soavità ed efficacia nelle innocenti rappresentazioni della famiglia Vianesi e nei puri concerti delle sorelle Miìanollo, non intese ciò che possa sull’animo l’arte del cantare e del suonare. Erano genii, od angioletti discesi dalle pure regioni del cielo per dire a noi mortali assordati dalle orchestre, ristucchi di cantilene insignificanti e triviali: ecco la musica che armonizza col cuore umano, che lo molce, lo tocca, lo scuote, lo purifica, lo sublima, lo inebbria di purissimo diletto. Maestri ed attori sappiate approfittare dell’apparizione di questi spiriti, essi non vengono si sovente a visitarci.... Deh imparale da questi bambini a migliorarci coll’arte vostra. Prof- B-i. BIOGRAFIA PDRGOLESI GIAMBATTISTA ( Continuazione e fine, vedi i N. -io e 44)’ Altre ottime produzioni diè fuori il Pergolesi mettendo in musica due volte la Salve Regina, la prima in a-la-mi-re terza minore, e la seconda in ce-sol-Ja-ut terza minorò, che possono stare a fronte dello Stabat Mater, e che dovrebbero servir di modello a tutti gli odierni compositori di musica per far loro conoscere qual esser debba lo stile da imitarsi per le sacre preci, senza usare, a scorno del buon senso, quella musica che si può solo tollerar nel teatro. Alcuni biografi, copiandosi l’un l’altro, han detto che il Pergolesi fosse morto di veleno propinatogli da’suoi emoli, la qual cosa è del tutto falsa, poiché venne amato e tenuto in pregio da tutti i maestri di musica suoi contemporenei, e specialmente dal Feo (*). Ad un tal uomo veramente impareggiabile non son mancati dei critici, che cercando il nodo nel giunco han tentato di oscurar la sua fama. Nella Biografìa Universale antica e moderna (Venezia 1818, voi. 45) l’estensore dell’articolo Pergolesi, il signor de Sevelinges, rapportando le parole di Gretry (Saggi sulla musica, toni. 1, pag. 424), dopo di aver molto lodato il nostro autore, parlando dello Stabat, dice, che unisce in sè tutto ciò che dee caratterizzare la musica di chiesa nel genere patetico -, e poi soggiunge, che la scena è soverchiamente lunga, e si scorge che Pergolesi malgrado i suoi sforzi non potè per anco trovare bastanti colori per variare il suo quadro senza uscire dal vero. Volle esprimer sempre al naturale parecchie strofe, che hanno tra loro troppa analogia. Dalle quali parole, che molto malamente fra di esse combinano, si scorge che l’autore scriveva su l’altrui relazione, è che o non aveva giammai udito lo Stabat, o almeno in tempo che era da altri e noiosi pensieri distratto. E con mio dispiacere deggio ancor dire che il celebre P. Martini, esimio conoscitore della musica antica e moderna, non so con quanto discernimento parlando dello Stabat Ae Pergolesi si lasciò dire, che vi ravvisava alcuni motivi buffi, effetto di quella straordinaria inclinazione, che aveva queir autore per un tal genere di musica. Anche il signor Chateubriand nell’opera che ha per titolo Genio del Cristianesimo, parlando nel toni. 2 dell’eccellenza del canto gregoriano, e quanto quésto sia valevole ad elevar la inerite verso del Creatore, entra a far parola del Pergolesi, e mostra poca parzialità verso del medesimo con dire, che ei’facendo meno sfoggio di tutte le ricchezze dell’arte sua avesse dovuto per l’opposto immaginare una semplice cantilena da ripetersi in ciascuna strofa. Se ciò il nostro filarmonico avesse fatto avrebbe dato alla composizione dello Stabat il carattere della cosi detta in francese Romance, carattere al certo poco al soggetto conveniente, e che a preferenza di qualunque altro vien tanto tenuto in pregio dal francese autore e da lui creduto 1 apice della composizione. Potea forse cosi sperare il Pergolesi di produrre un effetto maggiore di quel che ha prodotto facendo uso di cantilene variate, ma che nella variazione conservano tutta la bella tinta di un religioso dolore? Nel complesso delle diverse strofe si scorgono sempre le lagrime versate nel colmo del dolore dalla vergine, e chi le ascolta lagrimando di pietà sente eccitarsi la brama ardente di dividere con lei gli amari affanni del materno suo cuore. La bella varietà ancora dall’autore accop(I) Angelo Mazza cadde nel medesimo errore componendo su questo soggetto il sonetto: Musico spirto innanzi tempo al sole. piata allo sfoggio dell’arte non mai ab li a- | stanza commendato nella prima fuga, non è fa sentirne adii l’ode la lunghezza, la quale i fino alla noja si sentirebbe, se si ripetesse t ciascuna strofa con l’istessa musica per quaiito bella ed armoniosa avesse potuto nascere dall’animata fantasia del Pergolesi. Ma cotali mal ragionate critiche, che bau potuto mai togliere alla rinomanza di questo illustre autore? Il suo Stabat vien ripetuto ed ammirato con sommo compiacimento; nè ha saputo superarlo altro valente compositoi1 di musica; concedendo alla composizione medesima con unanime consenso quel primato, che perla somma arte e pel gusto a tutta ragione si ha l’autor meritato. Ma se i mentovati scrittori hanno adoperato di rinvenir difetti nelle produzioni di musica del Pergolesi. non vi son mancati altri, ed anche qualche oltramontano, che ne han fatti gli elogi dovuti. L’inesorabil Rousseau nella lettera sopra la musica francese ha detto, che Pergolesi fu tra i primi che abbia fatto della musica, ciò che i maestri anteriori non avevano ■ eseguito, essendo l’antica pochissimo melodica, troppo artificiosa, e ripiena di contrappunto. Marmontel nella sua poetica francese disse, che la Serva padrona con la musica del Pergolesi servi di scuola ai Francesi in questo genere; e ch’essi non sapevano che la commedia può essere avvivata dalla musica, prima che gVItaliani loro lo avessero insegnato nella Serva padrona. D’Alembert non poteva lodar meglio il nostro compositore, dicendo nella Dissertazione della libertà della musica, che Pergolesi, rapito troppo presto a danno del progresso, di quest arte, è stato il Raffaele della musica italiana: avendole dato uno stile vero, nobile e semplice, da cui i maestri della sua nazione si vanno allontanando. Fu il Pergolesi di aspetto gioviale e dimesso ed al riso inchinevole anzi che no. Era difettoso in una gamba per qualche disgrazia forse avvenutagli nella prima età sua. Dotato di non infinto spirito religioso, si diportò nel conservatorio con somma costumatezza e modestia, non mai associandosi con giovani suoi compagni che non fossero adorni di retti costumi. Frequentava la chiesa de’ PI*, dell’Oratorio che stava di rincontro al suo liceo, ove portavasi per eseguire le sonate di organo che secondo la regola del fondatore S. Filippo Neri frappor si dovevano fra l’uno e l’altro sermone. Ma una delle maggiori lodi la meritò per aver sempre di sè bassamente opinato, non mai invanendosi dei tanti encomi ch’essendo ancor giovane gli venivan profferii, specialmente dai vecchi maestri dell’arte armonica; facendo col fatto vedere non esser sempre vero ciò che il grave politico istorico pronunciò (Tac. Annoi. IY) che gli animi non fermi de1 giovanetti riscuotendo onori immaturi, spesso si levano a superbia. Con rassegnazione accettò l’immatura morte, da ferma fiducia avvalorato di cominciare una vita migliore (I). Napoli, -1831. Marchese di Vielarosa. (I)Del Pergolesi esistono in Napoli icscguenli opere musicali: Nell’Archivio di S. Pietro a Majella.. 4. Adriano in Siria, dramma, atli 3. 2. La Contadina astuta, intermezzi, atti 2. <, 5. Flaminio, dramma, alti 5. •i t