Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/151

- 447 — in questa città amicizia col Metastasio, e che spesse volte protestò d’aver imparato maggiormente nelle sue conversazioni col celebre poeta che non in tutti i suoi studii fatti con Feo, Leo e Martini. Quest’asserzione del Maltei, che, come già accennammo, era poeta, non è da tenersi per valida nè deve meravigliarci, dacché si sa che i letterati sono mollo proclivi a dar gran prezzo ai consigli di che sogliono essere prodighi ai compositori. Noi intanto crediamo che Jomelli aveva troppo buon senso per voler paragonare due cose affatto disparate. Feo e Martini gli insegnarono l’arte di scrivere: Metastasio gli avrà suggerite delle eccellenti idee sull espressione e sull’effetto drammatico, il che ha a che far nulla colla scienza. Il Jomelli non mancò di talento poetico ei stesso, ed ebbe in oltre il vantaggio di aver fatto regolari studii. Intorno alla musica da lui apposta alla Didone,ecco in qual modo il gran poeta testé menzionato ne scrisse alla principessa di Belnjonte: Andò in iscena la mia Didone, ornata di una musica, che giustamente ha sorpreso ed incantata la Corte. E piena di grazia, di fondo, di novità, di armonia, e soprattutto di espressione. Tutto parla, sino cC violini e ai; contrabbassi. Io non ho finora in questo genere inteso cosa che ni’ abbia più per- • stiaso. Nel tempo della sua dimora in Vien- j na, Jomelli fu più volte chiamato ad accompagnare al cembalo l’imperatrice Maria Teresa, la quale fece levar via lo sga- j ’ ), e sostituire una se-! di doni, tra’ quali j li.lei guarnito di j grossi brillanti. Il gran Lambertini nel 4750,; vacando il posto di maestro in San Pietro,; volle che l’occupasse il Jomelli, a preferenza di molti cospicui concorrenti sì romani che i esteri. Egli nel solo spazio di tre anni, dopo! i quali rinunciò a quell’onorevole posto, arricchì di moltissime carte la musica di chiesa. Può leggersene il lungo catalogo nell’elogio di lui, scritto dal Maltei, a cui rimandiamo il lettore eziandio pel rimanente delle sue composizioni da teatro e da chiesa, scritte d’allora in poi per le Corti di Slutgarda, di Madrid, di Lisbona, di Torino e di Napoli. Solamente osserveremo col sig. Fétis,che durante Usuo soggiorno a Stutgarda, ove dimorò non meno di 25 anni, una notevole modificazione si osservò nella sua maniera. Assoggettato all’influenza della musica tedesca,ch’egli ivi udiva, diede al suo modulare delle transizioni più frequenti, e ravvigorì il suo strumentale. Questa trasformazione, della quale abbiamo le prove in quasi trenta opere da lui scritte a quel tempo, lo fece salire in faVore presso il principe, la cui orchestra era da lui diretta, e gli procurò non pochi successi in Germania, ma per contrario gli nocque grandemente al suo ritorno in patria. A que’ giorni gli Italiani non erano sensibili che ai nudi vezzi della melodia ch’ei volevano spoglia d’ogni estraneo ornamento: tutto ciò che poteva disturbare la loro attenzione dal prender diletto alla melodia era per essi biasimevole. Le menome modulazioni sgradivano ai mòlli loro orecchi, e il suono degli stranienti consideravano come un disturbo se a malappcna si faceva udire di concorrenza col canto. E d’altronde la lunga assenza di Jomelli gli aveva nociuto in questo che i suoi compatrioti! eransi poco meri che dimenticati di lui, e juando tornò a Napoli gli toccò quasi di rieiificare la sua fama. Se non che già toccava egli allora il cinquantottesimo suo anno; e meno fuoco idee. La sua Armida che, scrisse pel teatro di San Carlo, è certamente, al dire del sig. Fétis, una delle più belle sue opere, fors’ànche è l’opera più completa di quante ne scrivesse prima di quell’epoca: nondimeno non ebbe successo popolare; i soli artisti ne compresero il valore. Il Demofoonte, spartito eccellente, riuscì ancor meno i dell’Armida. Per ultimo la Ifigenia scritta per quel teatro nel 4773, e pessimamente eseguita in sua assenza, diè campo alla malevolenza e all’invidia di scagliarsi contro il suo autore, come già per vecchiezza rimbambito e disutile. Il dispiacere ch’egli ne risenti, malgrado la sua filosofica moderazione, gli cagionò un accidente di apoplessia, da cui non perfettamente riavuto, scrisse il suo Miserere, tradotto in versi italiani dal Mattei, a due voci, col solo accompagnamento di due violini, viola e basso, capolavoro dell’arte, ed immortale come 10 Stabat del Pergolesi, pel quale potea giustamente esclamare l’autore: Exegi monumentimi aere perennius... non omnis moriar. Questa sua composizione sacra fu 11 canto del cigno, cosi d già citalo signor Fétis; perocché appena la ebbe terminata che l’illustre maestro, a ragione chiamato il Glucfc dell Italia, colpito da un secondo insulto apopletico, cessò di vivere il 28 agosto del 4/74. L’44 novembre susseguente si celebrarono a suo onore sontuose esequie dove si eseguì una messa di Requiem a due cori composta dal padre Sabbatini. Fu il Jomelli di ottimi costumi, buon cristiano, buon cittadino, e culto di intelletto in modo non ordinario fra i compositori di musica. In mezzo ai furori dell’invidia non seppe dir mai una parola contro di alcuno: modesto ne’suoi giudizj, superiore alla rivalità, non negò i dovuti elogi ai grandi maestri suoi contemporanei. Egli era alto di statura e corpulento. Il dott. Burney che lo vide ne’ suoi viaggi, dice che singolarmente rassomigliava a Hàndel, ma che molto più di costui era pulito ed amabile. La musica di Jomelli si distingue per uno stile tutto suo proprio, per una immaginazione sempre feconda di nuovi concetti, sempre lirici, e di voli veramente pindarici; egli passa da un tono all’altro in una maniera affatto nuova, inaspettata e dottamente irregolare; se pecca alle volte di troppa arte e difficoltà, la sua difficoltà è del genere di quella di Pindaro. Non tutti sono in grado di comprender Pindaro e molto meno di imitarlo. Pindaro vola per mezzo alle nubi, chi si fiderà di seguirlo? Quindi nacque che il Jomelli ottenesse gli elogi de’ conoscitori e de’ filosofi, e perdesse alle volte quelli del volgo. Per chiudere questa biografia con un’ultima citazione del chiarissimo Fétis, diremo che a ben apprezzare il merito di Jomelli come scrittore drammatico, è mestieri esaminare quali fossero le forme dell’arte prima di lui. Non ha dubbio che nelle partiture di Scarlatti, di Leo, di Pergolesi e di Vinci si ammiravano dei bellissimi pezzi nei quali l’invenzione melodica brillava al più alto segno: ma questi pezzi erano poco sviluppati: poco svariato ne era il disegno, ed anche si può dire che, salve poche eccezioni, era mal inteso nelle situazioni forti; perocché nelle arie a due tempi l’andante o l’adagio del principio si ripigliava alVallegro, lo che è contrario al procedere delle passioni. Jomelli evitò questo errore; ei comprese la necessità di mantenere fino alla fine la gradazione di interesse drammatico, e seppe con raro ingegno soddisfare a questo bisogno dell’arte. Primo tra i compositori italiani, ei diede parimenti al recitativo obbligato l’energia e aggiustatezza d’espressione di che è suscettibile questa bellissima forma musicale. Nella musica da chiesa ei non comprese punto l’arte al modo che la compresero i maestri della scuola di Palestrina; e se vi infuse una espressione troppo viva dei sentimenti mondani fu almeno sempre nobile e sempre puro. La sua messa di Requiem, il suo Miserere, il suo oratorio della Passione saranno sempre considerati quali modelli di bellezze assolute nel loro genere. L. E. AUTOBIOGRAFIA DI CARLO CZERNI. (tradus. verbale dalla Gazz. Mus. di Vienna N. 86). ii Sono nato a Vienna nella Lcopoldstad, il 21 feb«brajo 1791. Mio padre, nativo della Boemia, ernia «madre della Moravia, erano domiciliati fino dal 1786 a a Vienna. Mio padre, a quei tcfnpi valente pianista ii allevalo alle scuole di Mozart e di Clementi, si gua«dagnò la vita come maestro di cembalo. Fino dalla a mia fanciullezza venni destinato cd educalo per la a musica, c si vuole che fin dalla tenera età di tre o ii quattro anni addimostrassi disposizione naturale per a quest’arte. Siccome durante la mia fanciullezza i» migliori pianisti allora in rinomanza Gclinek, Liii powsky, Vanhall cd altri, visitavano i mici genitori a come compatriotti, cosi io avevo occasione ili udire a molta buona musica, c mio padre, all’uopo di fare a di me un sonatore a prima vista, mi procurò tutte ii le composizioni dc’macstri di quel tempo: di Mozart, «di Clementi, di Beethoven, di Bach, ecc., le quali a fin dall’età di dicci anni io suonava con franchezza, a Nel 1801, ossia nel mio decimo unno, fui condotto «da Beethoven, il quale si prese di molta bontà per a niCjJe contribuì ai miei ulteriori progressi tanto col «suo consiglio dato a mio padre, quanto coll’avermi «fatto studiare egli stesso parecchie delle sue conili posizioni. L’affetto ch’ci mi pose, andò crescendo» sino alla più amichevole benevolenza, la quale si a mantenne sino alla sua morte. Scarseggiando i guaii dagni di mio padre, la cui salute col crescere delti l’età si venne non poco affievolendo, cominciai fin «dal 1805, nel mio quattordicesimo anno, a dare leii zioni di pianoforte. Ebbi la fortuna di poter presto a produrre allievi dolati di molto talento, tanto che ii il mio credito ne guadagnava, ed era occupato Finii tcro giorno. Nell’inverno 1809, mi si offrì occa«sionc d’imparare a conoscere Clementi, c ili assiti stere sempre alle lezioni ch’egli qui dava in una a casa. A questa circostanza vo’ debitore dei principj «secondo i quali perfezionai il mio mètodo d’insc«gnamento. Fra i mici numerosi allievi furono: la» Bclvillc (morta sgraziatamente troppo presto), Ostcr, a Liszt, Dòlilcr, e molti altri che più tardi si resero a noti nel mondo. Il mio insegnamento durò per a trent’anni interi (1805-1855), dopo i quali lo alili bandonai, parte per motivi di salute, parte per dediii carmi interamente alla composizione. Mio padre mi a aveva posto in mano di buon’ora le opere tcorcti» che di Marpurg, Kirnbcrgcr, Tiirk, Albrcchtsberii ger, ecc., e le ripassava in mia compagnia. Mi ocii cnpai altresì nella mia gioventù a Stendere in parli lilura le composizioni d’orchestra de’gran maestri, a come le sinfonie cd i quartetti di Mozart, Ilaydn c a Beethoven, il quale esercizio mi fornì molte coli gnizioni per rispetto all’istrumcntalc, cd in gcncii ralc riguardo all’armonia. Fin dal settimo mio anno u incominciava, senza eccitamento altrui, a scrivere