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- us 6AZZBTTA MUSICALE ANNO II. N. 34. DOMENICA 20 Agosto 843. DI MILANO Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associali dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in A.» di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà AnII prezzo dcH’associazionc alla Gozzetto e aVOmologia classica musicale è dì elicti. Aust.’L. 12 persemestre, ed elTctt. Ausi. L.H affrancala di porlo lino ai confìnidclla Monarchia Austriaca; il doppio per l’associazione aii■ La musique, par des inflexions vives, accentuées, et, liliale. — I.a spedizione dei pezzi ili musica viene fatta • pour ainsi dire, parlantes, exprimetoutes les pas- mensilmente c franca ili porto ai diversi corrispondenti • sions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, dello Studio Mcordi, nel modo indicato nel Manifesto.» soumet lu nature entière à ses savantes imitations, — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ullicio • et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sen- della Gazzetta in casa Bicordi, contrada degli Omc• timents propres à l’émouvoir. • noni N.°S7S0j all’estero presso i principali negozianti J. J. Roussf.ju. di musica c presso gli Unici postali. — Le lettere. i grupSOUMAItlO. I. Sii Giudizi Musichi. - II. Studi Biografici. Nicolò Jomelli. - III. Autobiografia di Orlo Czersy. - IV. Notizie Musicali Diverse. - V. Nuove Pubblicazioni Musicali. SUI GIUDIZJ MUSICALI Carissimo Amico,» Quid tacici? ctc. Che farà,» che dirà nella Geometria o ■ nella Musica chi non le ha • imparate ì O tacerà, o giudi» chcrà da pazzo. De Orai. lib. 3. 1 mondo delle arti è in alcuni Jp’fà punii simile al mondo della na£vt.u| tura, vario, vago, stupendo, cuSgV vajgtjuioso; e gli artefici somigliano inalcuncheaDio non tanto nel creare, quanto nel gettar che fanno il loro mondo alle osservazioni degli uomini, argomento eterno di dispute, di opinioni, e di giudizi. Ma come sul mondo fisico furono in ogni età giudizi dritti e torti, opinioni ragionevoli e sragionevoli: cosi su quel delle arti si pronunziarono sempre sentenze eque ed inique, rette e stravolte. Che se poi volete a compimento del confronto presente anche una delle dissomiglianze voi ve l’avrete in questa, che il mondo della natura, per dritto o torto giudicare che si faccia, non soffre, non mula, anzi va proseguendo con tutta sicurezza i giri suoi; dove all1 opposto il mondo artiiiziale per cotesto diluvio di opinioni e sentenze si cangia, si ferma, retrocede, rallenta, e quasi ruota per disastrosa via, gira come può. Per questo non vi stupirete se oggi interrompo con un episodio il corso delle mie lettere, e se invece di parlarvi dell’Espressione musicale, come vi aveva promesso nell’ultima (I), io vi discorra de’giudizi che soglionsi proferire sulla musica. Veramente la cosa è un po’ardua, e delicata; ma l’obbligo che ho di spiegarmi sopra alcune cose delle ultimamente, ed una storiella antica in cui in’avvenni, la quale fa per noi, mi fecero risolvere a questo episodio. Ed in quanto alla storiella voi dovrete sapere che in Atene tempo fu erano molto in voga i giudizi, popolari, sopra la fermezza, e rettitudine de1 quali nulla è a di(I) La lettera cui qui accenna il prof. B-i si legge nel Subalpino, distribuzione di dicembre 1836. re, tanto più che Socrate, e Aristide, e I Temistocle, e Demetrio, e perfino Alcibiade ve ne potrebbero fare ampie testimonianze. Ora questi giudizi non tanto avevano luogo nelle pubbliche assemblee per gli affari di stalo, quanto anche nei | teatri per faccende meno serie, testimonio i sempre lo stesso Socrate non meno di! quelli, che di questi. Ciò posto, udite le! storiella che Platone racconta nel 5.° delle ’ j Leggi, e se non fa per voi datemi pure dello stolido per la testa, e per i piedi:; «Anticamente, racconta il filosofo, il po«polo ateniese non era padrone, ma servo?! delle leggi, dico di quelle che riguar- i s? dano la musica, la quale era allora di» stinta per specie, e ligure, cioè per in» ni, per elegie, per ditirambi. Per que- j» ste leggi non era lecito usare un genere j» ili canto per un altro1, e l’autorità di!» conoscere, giudicare, e condannare le!» trasgressioni musicali non era già in ba» lia uè’fischi, e dello schiamazzo come;» ora (il che pur dicasi dell’appiovazio» ne ); ma nelle mani di personaggi esi» mii, i quali nel silenzio potevano udire» sino al fine, perché i giovani, i peda» goghi, e la plebe venivano frenati colla;» verga... cosi che -non giudicavasi per;» tumulto. Ma colf andar del tempo inco» minciarono i poeti a farsi autori d’ir5» regolarità musicali, non badando, ben- j» che ingegnosi, al giusto, ed al legittimo, n e ciò per una certa pazzia, e per se» condare il gusto altrui. Cotestoro adun» que confusero i canti lugubri cogli in» ni, i ditirambi coi peani, imitarono col» canto le tibie e le cetre, posero tutto» sossopra. Inoltre da ignoranti ed iinpu» denti mentirono pure contro la musica,» affermando che essa non aveva norma» e legge, ma che giudicavasi dal piacere» dell’uditore fosse egli dabbene o no; di» modo che componendo essi cosi fatti» poemi, e spargendo nel volgo cotali mas» sime, resero la moltitudine si ingiusta ed» audace, che credette di poter giudicare 1» con cognizione; quindi i teatri dove prima» tacevano, schiamazzarono quasi che sot- j» tilmente sentissero il bello delle muse,! 55 quindi dall’arbitrio degli ottimali il giu55 dizio cadde in balia della platea, cioè; 55 nella Teatrocrazia». Ora andatevi a lamentare de’tempi nostri, se il costume di giudicare senza autorità è così vecchio! Deplorate l’odierno disprezzo del buono e del bello, se. per fino gli Ateniesi cosi gentilmente educali lasciavansi affascinare dai novatori! Ma che? Vi si vorranno adunque tribunali, e verghe?,j Oibò. Dio ci guardi dai rigori d’un’oligarchia musicale. Se vi è cosa ancora posta 7/z medio, sono le arti belle, possessione comune a tutti tanto per l’esercizio, quanto per il giudizio. In ciò non solo dissento dall’antica usanza d’Atene, ma anche dalla mia epigrafe; poiché lasciamo stare che nelle scienze, e nella musica quando contava tra esse, si richieda per giudicarne di averle studiate, nelle arti poi fatte per dilettare gli uomini, create per lutti, non si esige d’averle imparate, o di professarle per sentirne, e’ giudicarne i lavori. Ma come dall altra parte evvi la teatrocrazia, od il libertinaggio teatrale che può nuocere all’arte, e screditare i pubblici giudizi, è da vedere quale temperamento abbiasi a prendere per salvare la musica dal giudizio de’pochi, e ile’molti. Ed in primo luogo martellatevi ben bene il capo che il diritto di giudicare in fatto di musica, siccome in tutte le arti, è legittimamente nel pubblico senza privilegio, restrizione, e prerogativa di curia, o tribù; in secondo luogo che a siffatto tribunale, per giudicare equamente, certi requisiti si convengono, senza i quali la sentenza non sarà inappellabile. Cosicché io direi cosi all’ingrosso, e senza cercar il pelo nell’uovo, che almeno almeno vi si richiederebbe una certa intelligenza, una tal quale rettitudine o coscienza, e finalmente una sufficiente dose di buon gusto. Che ve ne pare? Son io forse tanto rigoroso, come credete? Un giudizio emanante da cotesti principii debbe essere per la musica la vera vojc populi, il voto unanime della natura, la decisione che debbe sanzionare il bello musicale, non essendo altro che quella medesima, la Oliale ripetutamente sanzionò i capi-lavori della poesia, dell eloquenza, della pittura, decisione per cui i moderni consuonano cògli antichi, per cui lutti i secoli, e paesi concordano in coro. E cominciando dal primo requisito che è l’intelligenza, dico che questa sarà come la face che rischiarerà la mente de’giudicanti. Ogni giudizio debbe partire da una certa convinzione, da una cognizione della causa, il che non si fa senza intelligenza. Dunque, direte voi, bisognerà che il pubblico s’intenda di musica? Si signore. Ma intendersi di musica non equivale già al sapere di musica, all’essere dotto in armonia, al posseder più o meno q’Uést’arte. Io chiamo intelligente colui che senta e capisca quanto ode, che per ingegno, educazione, coltura’, ed esperienza siasi formato un criterio, che abbia esercitalo, od