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Consta questo di duè grandi parti, nella prima delle quali si descrivono i preparativi terribili del gran giorno di Dio. Il poeta ne tronca la descrizione nel punto in cui il gran giudice sta per pronunziare la tremenda sentenza per rammentare a lui la grand’opera della redenzione, e pregarlo a non perderne il fruito dannandoci-, e tale preghiera forma la seconda parte. Questa divisione può benissimo adottarsi in musica, sebbene in una messa destinata ad un ufficio solenne sarebbe meglio suddividere un po’più l’una e l’altra parte, onde aver campo di rendere più sensibili le diverse idee dal poeta toccate. Il maestro l’acini si appigliò al primo partito, ed è perciò che, sebbene la tinta generale armonizzi col lesto nella totalità, soùovi tuttavia alcuni luoghi coloriti assai debolmente, come ora vedremo. Dies irae. Giorno d’ira, in cui la natura intiera deve soggiacere ad una crisi mortale. Quest’immagine dovrebbe spiegarsi con maggior agitazione onde rendere con evidenza l’idea della distruzion generale di tutte cose, e far passare nell’udienza il terrore di cui parla la seconda terzina: Quanti/s tremor. Il pensiero riiusicale è cupo bensì; ma non esprime l’ira che pone a soqquadro il creato. Tuba mirimi simrgens nomini. Chi, di noi ancor vivi, udisse risuonare la tromba annunziatrice del finale giudizio, proverebbe egli un sentimento così mite confò quell’armonia di corni che il maestro pose dopo quel primo reboalo? E basteranno essi quei pochi tocchi per dare idea di un suono che deve scuotere tutti i sepolcri della terra? E perchè questo suono, il quale Coget omnes ante tronum, non incalza, non prème, non porta l’agitazione in tutte le potenze dell’orchestra, ma continua grave e tranquillo in un solo trombone, mentre una voce pronuncia assai pacatamente le citate parole? (*) BIoi s Mtupebit et natura. Morte! Natura!... Quanto debb’essere gigante un sentimento per giungere a conqùidere due esseri così sterminati ed inflessibili! Anche questa idea fu colle altre confusa e non poco impicciolita, assegnandola ad una voce di solo soprano. Tutto questo primo tempo il quale continua per altre tre terzine, considerandolo come semplice musica, aslrazion fatta dalla parola, è per altro assai ben condotto, e in complesso deve riusèire di buon effetto. Più espressivo trovammo il larghetto in tripoletta che incomincia al Becordare, e contiene sei terzine lavorate in un ben disposto quartetto. Avremmo desiderato che il primo periodo del canto fosse meglio ordinato quanto a ritmo. Incominciando con due piccole frasi eguali, sarebbe meglio compiuto con due altre corrispondenti che con Una di più lunga durata, per cui termina sulla settima battuta. Le irregolarità di ritmo generano per lo più un non so quale disgusto, che s’insinua inavvertito nell’udienza a danno dell’effetto di un pezzo sott’altro rapporto ben lavorato. Il pubblico d’Italia in ispecie vi ò molto sensibile. Del pari ci sembra sarebbe stalo meglio, se la lenta melodia del basso che entra alla nona battutà si fosse prolungata fino alla trentaquattresima,ed egualmente si fosse continuato fino alla novantesimaprima il (f) Anche in -Mozart questo luogo è assai debole. movimento di semicrome clie annunziatosi nel flauto alla battuta sessanlesimasettima si stabilisce nel fagotto alla settantesima. E ciò tanto più perchè il successivo canto non è che una semplice replica, la quale avrebbe acquistato novità ed energia dall’aggiunta di un bassetto ben modulato, dalla continuazione dell’accennato movimento. Ella è una verità da non trascurarsi in quest’arte, che ove una melodia venga ad aprirsi il varco associata ad un’idea secondaria concomitante, dovrà sempre scapitare se questa venga a cessare prima del necessario sviluppo. Confutati» maledirti». Già abbiamo commendato questo tratto fugato e non resta qui a notare fuorché una lieve irregolarità (tale almeno ne sembra) nella risposta che nella seconda misura avrebbe dovuto evitare i semitoni aflin di giungere alla tonica in tempo forte; così come il tema giunge pure in tempo forte alla quinta. L’alterazione in tal modo sarebbe stata meno sensibile. La detta fuga viene tralasciata dopo la sospensione,, che molto opportunamente risolve in un Adagio esprimente assai bene la preghiera. Voca me cum benedictis. Se in quésto la terzina Oro supplex non fosse stata confusa col precedente verso appartenente ad un altro sensoj e separato da un punto fermo, l’effetto ne sarebbe anche L’idea con cui incomincia il Dies irae viene richiamata alla fine; ciò che sembra anche richiesto dal verso Lachrimosa dies illa, e vi è anzi qui più acconcia. Solo ne pare mancare questa chiusa del debito peso per-confronto ai pezzi precedenti: difetto che può notarsi nella maggior parte delle finali di tutta la messa. L’Offertorio, il Sanctus, il Benedictu», l’Agnus Dei, ed il corale l<ux aeterna sono assai ben lavorati’ e quanto a contrappunto, e quanto a stile, il quale vi è sostenuto a conveniente altezza, e in armonia colla parola. Rimane a dire dell’Esequie Ciberà me Domine con cui si chiude la funebre funzione; Antifona bellissima che contiene quasi un riepilogo di quanto si è precedentemente cantato nella messa. A nostro avviso non fu questa trattata con sufficiente sviluppo; e perciò passerà forse inosservata nell’esecuzione, la qual cosa nuoce sempre in un pezzo finale. Quel coro di note e parole con cui incomincia non è molto confacente allo stile di chiesa nel quale le parole non debbono pronunciarsi con molta rapidità (•). Forse if maestro era già stanco di una tetraggine che, ove non si abbia il coraggio di rallegrarla a spese del buon senso, finisce per lo più col riuscire monotona. Abbiamo senza riserva discorso di questo lavoro del chiarissimo maestro; diremo per ultimo dell’istrumentazione che ne parve assai lodevole, nè troppo debole, nè troppo romorosa e quasi sempre condita di belle imitazioni, le quali mantengono vivo l’interesse senza assordare l’udienza. Desideriamo vivamente di sentire o di fare eseguire questa messa con buoni e sufficienti mezzi; nel qual caso se ci accorgeremo di (1) E qui c prima sonovi alcuni errori di prosodia facilmente emendabili, come Kirìé e Kiric per Kiric, sigili far. per signifar, hadiò per hòdte, Ubèra per libera. Questi sono nói; ma offendono sempre l’oreceliio educato. avere a torto censurato qualche pa non riconosciuta qualche notevole bell ci terremo obbligati a dichiararlo ai It di questo giornale. R. Bouchero, CARTEGGIO. Al sig. C. di Parigi. Milano, li S Luglio. Voi vorreste dunque che vi narrassi i nostri grandi e piccoli avvenimenti ihusicali, che’vi mettessi al fatto di ciò che pensa ed opera la nostra letteratura, che vi offrissi insomma una statistica, più o meno esatta, di ciò che s’agita nel nostro mondo intellettuale ed artistico? Ed io sarei felice di corrispondere al vostro desiderio, se non vi si. opponesse la più volgare delle difficoltà, c quest’è clic difficilmente potrei unire la materia necessaria a formare una lettera appena tollerabile. Nò crediate che questa sia una scusa suggeritami dall’inerzia, giacché è invece una verità, ed una verità assai desolante davvero ed enormemente feconda di sbadigli. Per quanto io volga lo sguardo intorno, per quanto cerchi d’indagare gli antichi ed i nuovi misteri del palco scenico e delle stamperie, per quanto mi studii di conoscere su quali cose e su quali persone si fissi a preferenza l’attenzione della società da cui ho l’onorc d’essere circondato, io non traggo alcun frutto dal mio esame, giacché quasi dappertutto io trovo uh’inerzia, una mala voglia, qualche cosa che vagola fra l’indifferenza o l’assopimento, che io attribuirci ben volentieri alla stanchezza prodotta dagli ardenti calori d’un sole d’estate. I nostri teatri musicali sono deserti, e invano risuonano di vecchie melodie, di voci mediocri c delle grida drammatiche di, qualche esordiente’; la fòlla che s’accalcava per adorare i piedi delle ballerine li ha abbandonati per respirar l’aria dei bastioni c per inghiottire là polvere delle strade postali. Appena qualche ombra fantastica si disegna nell’economica luce delle vaste platee; ed è la figura tranquilla ed annojata di un onesto abbonato che circola liberamente attraverso le panche vuole, rammentando con dolore le sere brillanti dello scorso carnevale, ed evocando con una romantica tenerezza le belle ed incantevoli teste che si sporgevano amabilmente dai parapetti dei nostri palchetti. 11 dolore e la desolazione caddero su Babilonia, c clic Dio abbia pietà delle sue ceneri fino ad una nuova c vicina risurrezione. Dunque addio per ora alle notizie musicali, almeno se non volete che vi parli della compagnia Viancsi; ma io mi risparmicrò questa fatica rimandandovi per tale argomento agli articoli che furono già pubblicati da questo giornale. Le notizie letterarie sarebbero più abbondanti; da qualche tempo la nostra letteratura ha preso un certo carattere di attività, c produsse varii lavori che meritano di fermare la pubblica attenzione. Il Lamberto Mulalesta di Rovani, i Racconti semplici di Carcano, i Piagnoni c gli Arrabbiati di Re vere, e qualche altra opera sì tennero dietro quasi senza intervalli, e mostrano che l’amore pelle lettere non ò estinto nel nostro bel paese. Ma mio Dio! io non posso dirvi abbastanza quanto sia nobile la rassegnazione di coloro, che osano coltivare con insistenza il campo letterario in una città, ove tutti gli sforzi, tutti i tentativi, l’ingegno che si sviluppa c quello giunto al suo apogeo debbono lottare còlla, smania incredibile ed eccessiva clic trasporta il pubblico verso le letterature straniere. Detto questo io non vi farò certo un’analisi nè vi darò un giudizio delle opere che ho citate e di quelle che avrei potuto citarvi; i limili concessi ad una lettera me lo impediscono, cd il bisogno di vivere in una pace tranquilla c generale fu a me di questo silenzio una legge. Come osare di fatti di offrire un’opinione coscienziosa, egualmente lontana dalla mali