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- -H2 ) vivace e di patetico, fu per lui opportuj riissimo, ed egli, vestendolo-di una musica, espressiva, e sommamente adatta alle ’dij verse situazioni e al carattere de’ personaggi, dimostrossi fin d’allora provetto maestro, potente ingegno. La melodia chiara e non -sovvc^chianiente adorna, fis’romentazione significante e non troppo caricala, il buon accordo delle parti col tutto collocarono Mercadante in grado onorevolissimo, e Io spartito fra i più pregiati del teatro italiano. Da quel tempo applicatosi Mercadante, quasi esclusivamente al serio, produsse bensì lodeyolissime opere} ma ossia che il pubblico fosse divenuto troppo esigente a suo riguardo’, o egli stesso alquanto negligente, certo non appagò più cosi intieramente se non se nella grandiósa opera I Normanni in Parigi. Della nuova maniera alla quale appigliossi in seguito parleremo più tardi: ora l’ordine ci chiama a dire di Bellini, intorno al quale essendosi discorso a lungo nelle pagine di-questo giornale dal chiarissimo sig. Vitali, e avendo noi stessi citate molte sue produzioni, siccome modelli di squisite bellezze, ci limiteremo ad alcune brevi osservazioni. Sottoscrivendo alle giuste lodi tributate dal pubblico e dai giornali a questo interprete per eócellenza dell’uman cuore, non possiamo a meno di notare alcune conseguenze non del tutto vantaggiose al progresso dell’arte prodotte dalla suà musica, o per dir meglio, dalla cattiva interpretazione della medesima. Bellini non era, dotato di fervida e pronta immaginazione, ùon aveva neppure acquistalo dall’educazione ^musicale quel franco maneggio dell’arte che rende facile ed elegante l’istrumentazione, facendone accorgere gli effetti (■*) e, dà il nervo ai pezzi d’insieme^ ma per compenso aveva un lino sentire che lo fece accorto della nuova direzione a cui andava volgendosi il gusto comune. L’indole sua, la sua fisica costituzione a ciò lo spingevano e fu sua ventura che un poeta degno di tal nome, non isdegnando la scena lirica da tanto tempo tenuta a vile, a lui si associasse studiando di uniformarsi alle musicali esigenze. Bellini e Romani formarono tal coppia che da lungo tempo -non era stata l’eguale, e collegandosi a loro una mano di artisti cantanti di merito non comune, si poterono tentare alcune utili novazioni. Senza scostarsi granfatto dalle forme rossiniane alle quali erano avvezzi gli Italiani, Bellini incominciò coll’attenersi di preferenza al canto spianato, restringendo 1 uso dei pezzi di bravura, e adoperandoli solo ove potevano concorrere all’espressione, o quanto poteva bastare ad appagare l’ambizione dei cantanti: quindi separò meglio il canto ideale dal canto declamato. Tale separazione rendendo più pronunciato l’uno e l’altro genere fu ben accolta, perchè conforme al gusto comune e perchè recava con sè un’aria di novità. Operò infatti uff canili) Tutti sanno quanto tempo impiegasse Bellini a compiere un’.opcra, e con quanto stento egli giungesse ad ottenere l’effetto voluto daH’istrumentazione. Ciò può essere incontentabilità prodotta da squisito scrìtiro, ma più probabilmente nasceva in lui dal non conecpirc chiaramente coll’immaginazione l’effetto dell’orchestra, c non accorgere i mezzi più opportuni ad ottenerlo. Pur troppo l’istrumentazione non ò abbastanza studiata in Italia, cd ò perdio clic o si spreca inutilmente l’orchestra; o si eccede in forza puramente materiale ioti l’abuso di tutti i mezzi. biamento notevole nel canto drammatico, e ciò sarebbe stato più utile che non fu se a questi tempi non fosse tanto decaduta l’arte del canto, per l’ignoranza sempre crescente dei cantanti. L’ideale purissimo di Bellini, espansione del più squisito sentimento, richiedendo una finitezza di esecuzione ed una sicurezza e pieghevolezza di voce, alla quale forse il solo Rubini era pervenuto, non potè essere interpretato colla dovuta esattezza che da Rubini. Epperò invece di eccitare l’emulazione negli altri cantanti ed‘ animarli allo studio, la difficoltà di quel genere li disperò affatto, e li determinò a prescegliere il canto declamato, in apparenza più facile ed egualmente ben accetto, e nel quale si erano distinti artisti di altissima fama. Bellini mutò faccia specialmente alle cadenze ad libitum, e siccome i maestri che scrissero dòpo di lui, seguirono in questo le sue traccie ( noi Italiani siamo troppo sovente imitatori), cosi, in poco tempo il nostro canto drammatico subì una quasi totale mutazione. La manìa della declamazione divenne generale, e superò quella che prima dominava di far pompa di agilità. Nè altrimenti doveva accadere, avvegnaché se dal gareggiare coi trilli, collè volate, colle scale cromatiche ecc., molti anche fra i buoni si trovavano naturalmente impediti, non così fu nel nuovo stile. Gridare dimenando i lombi, contorcendosi, smaniandosi è facilissimo a tutti} persino a quei freddi automi che nulla sentono così come nulla intendono} e il pubblico che dal più al meno è sempre un po’ superficiale, prendendo per oro pretto l’orpello dell’affettazione, fomenta l’esagerazione coll’applauso. Nè queste sono esagerazioni, o fatti solo osservabili nei teatri di provincia, ove è gran ventura se si hanno artisti mediocri, la qual cosa sarebbe già gran male essendo quei teatri i più numerosi. Questi fatti si verificano nei teatri primarii, in quelli i quali per ogni titolo dovrebbero essere modelli di perfezione. Non è però da ascriversi tutto il male avvenuto ad una sola causa: molte circostanze concorsero a produrre un effetto, e prima di tutte fu. l’uso di rappresentare passioni quasi sempre eccessive e richiedenti dalla musica un colorilo assai forte} secondo l’ingrossarsi continuo delle orchestre, le quali vennero sempre più impinguandosi di stromenti clamorosi, e quasi non bastassero, vi si aggiunse ad ogni poco il lusso della banda sul. palco. Tutto ciò si congiunse a danno del canto e dei cantanti, perchè si dovettero per l’una e l’altra ragione spingere le voci agli estremi acuti, affinchè non rimanessero soffocate, e l’espressione riuscisse adeguata. Ora una tal musica esigendo un continuo sforzo dalla maggior parte terminò coll’indurire le voci per modo, che ben pochi cantanti possiamo ora vantare capaci di eseguire con grazia e finezza, non pure le opere dei grandi scrittori antichi, ma quelle dello stesso Rossini non ancora invecchiato. Il danno, lo ripetiamo, è comune all’arte, ed agli artisti. All’arte-perchè dovendo esprimere lutti gli affetti dell’umana vita, e questi non dovendo essere tutti smaniosi, furenti, disperati, ha duopo non della sola forza, ma delle più sfumate graduazioni} e sarà invano che il maestro compositore avrà tentato di esprimere le più care, le più soavi emozioni, se la voce cui spetta di interpretarle è ribelle e inflessibile. Agli artisti, perchè quel continuo sforzo affatica Soverchiamente l’organo voca’Ie, e li riduce in pochi anni stanchi, sfiatati, nell’impossibilità di proseguire una carriera incominciata, molte volte còlle più belle speranze. (Sarà continualo). R. B. LETTERA DEL SIGNOR FÉTIS SULLE ORCHESTRE D’ITALIA Il popolo italiano reca i difetti medesimi e le doti stesse in tutte le cose ch’ei fa. Meno serio, meno meditativo del popolo tedesco, egli, ben diversamente da questo, non venera punto l’arte che coltiva come fosse una religione, nè vi si dedica con passivo culto. Abbenchè entusiasta, e facile ad esaltarsi alle bellezze di quest’arte, ei vi si dedica più per forza di temperamento che non per convinzione. Mutabile nelle sue impressioni, meglio dotalo di sensibilità che. di logica, nelle sue artistiche inclinazioni ei reca ben più dei gusti che.non.delle opinioni; egli gode e non giudica; insomma ei non si reputa punto impegnato dal passato contro il presente, e di buon grado si fa a spezzare la statua innalzata da lui ieri, per elevare sul piedestallo quella cui concede oggi i suoi incensi 0). Mi sembra che queste considerazioni spieghino abbastanza non solo le trasformazioni della musica italiana, nia ed anche l’instabilità dei gusti della nazione. Per ultimo, penso ch’esse danno a comprendere per qual ragione la scienza delParte ha sì poco valore nel giudizio di questo popolo tutto d’istinto,’e perchè avvenga che mentre la sua educazione musicale viene affievolendosi ogni dì più, esso conservi ancora i tesori della ammirabile sua organizzazione. Conformemente a quanto ebbi a dire nell’ultima mia lettera, codesta organizzazione, che sì agevole- rende agli italiani il concepimento musicale, è notevole presso i meno istruiti dilettanti, presso.gli artisti meno valenti. Ma per questa stessa ragione che pronta è la loro facoltà di concepimento ed energico il loro sentire, ei vi si abbandonano con piena fidanza, e mal sanno persuadersi che la perfezione relativa non in altro modo si ottiene se non colle cure studiose e- coll’elaborazione. A cagion d’esempio far delle prove è, per tutti i cantanti e per tutte Torehestre d’Italia, l’ufficio il più penoso, la più ripugnante fatica. Per quanti sforzi adoperi il maestro che li dirige, ei non otterrà mai di vincere l’avversioùe ch’essi hanno a questo genere d’esercizio, e l’idea di una esecuzione più precisa non ha un’attrattiva sufficiente per indurli a superarla. Non è fatta veruna eccezione a queste loro abitudini neppure nelle occasioni più solenni, e questo lo dessumo dal fatto seguente. Un festival musicale avendo avuto (1) Dobbiamo confessare clic ci è riuscito un pochino difficile il tradurre queste righe. del signor Fétis, c ciò pel timore clic volendo dare ai concetli la forma italiana avessero essi a perdere la rigorosa loro significazione. Però ci siamo allentili a rendere poco meno che lellcralmenlc il senso delle parole. Se questo non c tale che possa gradire al tulio al lellorc italiano, voglia.egli non darcene veruna responsabilità. SEGUE IL SUPPLEMENTO