Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/100

riamo avanti senza arrestarci. Ora una musica che s’accordi con esse ceremonie debbe svegliare una piacevole e dolce divozione nel cristiano. E qui, lasciando stare che le ecclesiastiche armonie adombrino misteriosamente l’intima unione de-fedeli con Dio, la consonanza de’ voleri e pensieri, il triplice accordo della carità verso Dio, il prossimo e sè stesso, io dico che questa piacevole divozione non è altro che un movimento d’amor divino. Il cristiano e pregando, e piangendo, e rallegrandosi, e pentendosi, e meditando non fa che amare. Eccovi adunque trovata la corda che i maestri debbono toccare, cioè quella dell’amore, sopra la quale eglino faranno con mirabile varietà udire i suoni della speranza, del timore, della tristezza, della gioia, e d’ogni altro affetto, cbe al tuono principale delfamore si riferisca. Imperocché sia egli un cantico di ringraziamento, o di lode, o di penitenza, sia un salmo o di genere epico, o lirico, o elegiaco, sia un inno o affettuoso, o pacato, o tenero, o gajo, o lugubre, la musica nella varietà ed acconcezza dei colori, nell’armonia del tutto lasci travedere il fondo del quadro, si mostri devota, non si dimentichi che debbe 0 risvegliare, o rinforzare nel cuor umano un affetto divino. Così io credo abbiano fatto 1 sommi compositori di genere sacro, d’alcuni de’ quali io vi feci menzione nella lettera antecedente. Questa congettura io la deduco dalla osservazione delle opere loro, siccome voi dalla lettura dei versi di Dante, o di Virgilio, o d’Orazio conchiudete che questi poeti dovettero tenere un certo metodo per cui era difficile che non riuscissero eccellenti. E in verità a considerare i capolavori di alcuni maestri del secolo scorso, bisogna dire che lavorassero un po’ all’antica, per esempio, a foggia de’ musici greci, i quali alla scienza musicale univano lo studio della poesia, della filosofia, il buongusto, e soprattutto un gran senno. Quella massima che dice, essere il sapere principio e fonte del bene scrivere, pare che loro non fosse sconosciuta. Ma che cosa mai, direte voi, avranno essi particolarmente studiato? Io credo che studiassero ex professo l’arte loro, onde riuscirvi a perfezione. Se quest’altra congettura vi sembra un po’ arrischiata, compatitemi, perchè per trovare la verità bisogna ben arrischiar qualche cosa. E venga quel che vuole, io n" arrischierei ancora un’altra 5 perchè, a considerare i loro lavori, io non posso levarmi di capo che studiassero ben bene quanto dovevano porre in musica. Il cbe forse vuol significare che studiavano quella sacra poesia su cui dovevano mettere alla prova la loro musicale perizia. Cosi la penso io, nè, finché altri mi provi il contrario, desisterò da questa mia opinione. Voi per altro direte che parecchi tra’ moderni conobbero pure l’arte loro. Ma chi, rispond’io, v’ha parlato di antichi o di moderni? Io v’ho fatto menzione de’ sommi e degli eccellenti, i quali se furono da voi veduti solo tra gli antichi, la colpa è vostra; perchè se a me parlando di loro sfugge talvolta il tempo passato, confesso che l’intenzione e il desiderio mio è di trovarli in qualunque età preterita, presente e futura. Questi sommi adunque, di qualsivoglia tempo essi siano, debbono aver fatto un grande studio della poesia per adattarvi»! acconciamente le note, sicuri come erano che lavoravano un campo fecondo di bellezze per l’arte, di gloria per loro. Essi amavano, non strapazzavano, la professione: | volevano farla progredire, non arrestare, 11 illustrarla e renderla stimata, non vilipenderla; nel che molto giudiziosamente seguivano il bell’esempio dei professori delle altre arti... Ma lasciamo ì maestri, e tiriamo avanti colla musica. Non avete voi per caso mai osservato che le migliori musiche sacre abbondano di dissonanze, quasi pitture da troppe ombre oscurate? Ora se le dissonanze spiacciono all’udito siccome contrasti di due suoni tra loro antipatici, perchè mai furono nelle armonie.ecclesiali stiche introdotte? Voi mi potrete rispondere che furono introdotte per infliggere j un po’di penitenza alle cristiane orecchie, | onde l’uditore si ricordi che il dolce di I quaggiù è misto d’amaro. Benissimo; ma io avrei un’altra congettura da proporre. || Ditemi un poco: l’amore è forse tutto zuocaro? la divozione è tutta miele? Uno come voi, poco iniziato negli ascetici segreti, non può nè anche conoscerne le dissonanze, e le peripezie. Ma chi è informato di queste cose può assicurarvi che e i tedj, e i timori, e le tiepidezze, e gli scrupoli, e le angoscie, e le interne lotte della vita devota meglio non potevansi esprimere che cogli accordi dissonanti. Inoltre per allargare di più cotesta sfera, la vita del cristiano non è ella una milizia, un combattimento continuo tra il cielo e la terra, tra Dio e il mondo? Il cristiano stesso, benché uom più perfetto, quando ai divini uffizj assiste, lascia forse di sentire le lotte dello spirito colla carne, del raccoglimento colla distrazione, de’ pensieri divini cogli umani? La chiesa è pur campo di battaglia ut castrorum acies, ha i suoi tempi brutti, i suoi infortunj, i suoi cimenti. Ora, dico io, tutto questo spirituale combattimento, questo chiaroscuro della cristiana società poteva forse essere meglio espresso e figurato che con un’armonia amareggiata da dissonanti accordi, da cozzanti suoni, i quali nelle loro risoluzioni, nel cangiarsi in consonanti vengano pure a significare una pace, un amore, una concordia futura ed interminabile? r- Avrei alcune altre riflessioni su questo punto, ma le lascio per paura di dare in sottigliezze; del resto potranno esse entrax-e opportune in altre lettere. Per ora aggiungerò ancora qualche cosa sopra altre dissonanze, chiedendo innanzi tratto perdono al vostro delicatissimo udito. (Sarà continualo). B. POT-POURRI BIBLI06BAFIC0.jfIl§ICALE Prima d’intitolar questi cenni col nome di Potpourri, da’moderni accozzatori di molivi altrui avuto a schifo, e che meglio di ogni altro converrebbe alla maggior parte delle miscellanee istromentah da’capricci della moda favorite, ci era venuta l’idea di premettere fantasia bibliografica, ma da essa rifuggimmo per non convalidar col nostro qualsiasi esempio l’abuso (le’ molli, l’importanza delle opere de’ quali sta nel titolo, e poi al pomposo c bugiardo frontispizio non fon succeder altro clic triviali inezie, indigesti pasticci c luoghi comuni... Il Pot-pourri di un bibliografo di musica possa avere l’istesso incontro de’ Pot-pourri degl’odicrni istromentisti! Meglio non si potrebbe entrare in argomento, clic parlando di quella buona musica di camera dal compositore fatta derivare dalla propria immaginazione c combinata colla pratica acquisita per mezzo di perseveranti studj avvalorati da lunghe meditazioni; c perciq avanti tutto amiamo rendere avvertiti i nostri filarmonici della comparsa di un Sestetto (’) del cavalicr Grorgetti professore di Violino c’maestro all’accademia |ì delle Belle Arti di Firenze. Questo esperto artista, che I meriterebbe d’esser più generalmente conosciuto c mci glio apprezzato, è fra i pochi che faccian servire il j loro ingegno a-conservare c propagare il bello musicale Senza rendersi schiavi del gusto del pubblico. Seguendo la sua vocazione ed il proprio convincimento, Giorgctti a differenti intervalli produsse delle opere apprezzabili, che pienamente fon fede delle distinte co- ’5T gnizioni dell’egregio autore nel difficile ed ora sì vilipeso genere concertato. 11 suo nuovo sestetto in fa fa diesis min. Op. 25, per pianoforte, due violini, viola, violoncello e contrabbasso, al par dell’altro porgli stessi istromcnti da lui dedicato a Liszt, che lo ricambiava di verace stima, è un lavoro d’estro e di scienza,■ il cui stile emana da’più classici modelli. I discorsi musicali abilmente ideati, son svolli fra ricche modulazioni, sostenuli da efficaci armonie, aggirati da un istromento all’altro od intrecciati fra loro con rara intelligenza c senza pedanteria. — Come già si riferì in questo giornale, nello scorso inverno il Giorgctti fece di pubblico diritto la partitura di un Dies ine grandiosamente concepita a più voci con accompagnamento di orche-! sira, alla quale quanto prima verrà consccrato un articolo apposito. Gioachhno Maglioni, a giudicarlo dal terzo Scherzo (’) che si apre con severe imitazioni, c da un Capriccio (*) ( le prime due opere che da Firenze ei | manda a pubblicarsi fra noi) va pure annoverato fra I gli scrittori che al suffragio della massa del pubblico preferiscono quello di pochi eletti spirili capaci di apprezzare certe intenzioni di fattura, certe finitezze di modi, che di sòlito passano inosservate presso la pluralità. Oggidì, in sì spaventevole depravazione, è assai consolante incontrarsi in pianisti guidati da una I simile missione del tutto contraria ad ogni mira di parziale interesse, e noi non possiamo a meno di fare al Maglioni le nostre congratulazioni ed incoraggiarlo ad innoltrarsi alacremente nel propostosi cammino, che forse non sarà inopportuno ammantare di più splendidi ornamenti e di qualche più frequente vezzo, per renderlo meno gretto c meno monotono. Onde, il nostro Pot-pourri abbia qualche rassomiglianza cogli odierni pezzi istromcntali, senza alcuna preparazione si può saltare dalla bella Firenze alla fredda Boemia, nella stessa guisa che vediamo in essi ad un motivo p. e. della francese Muta di Portici, seguire altri dell’italiano Bravo. Drcyschok, l’attuale pianistaìion di Londra, per mezzo dell’editore Hoffmann di Praga divulgò quattordici pagine di variazioni per la sola mòno sinistra sopra un interminabile tema, le quali a tutta prima sembran composte per chitarra, nel calcografarle un unico rigo essendosi adoperato, c, a nostro credere, non possono venire all’uopo che per que’disgraziati che hanno perduto l’uso della mano destra, giacché chi ha la fortuna di servirsi di ambo le mani, come potrebbe mai tenerne una si lungamente inoperósa senza perder la pazienza? 11 valente Lickl, anni sono, volle offrirci un Capriccio (’) per l’esclusiva mano manca; il pezzo ò all’eccesso protratto, ma certamente vi si scopre non volgar merito cd è interessante per l’arditezza c singolarità di alcuni scabrosi passi, che danno il risultato di un esecutore scorrente la tastiera, non con cinque, ma con tutte le dicci dita. 11 voler impicciolire la musica di pianoforte, come in alcuni squarci delle predette variazioni fece il concertista boemo, fino ad abbassarla al livello dello strimpellante or citato istromento, non potrà mai tollerarsi. 1 due Rondò militari c gli Studj impropriamente denominati Tremolo e Iiegrets non devonsi trascurare da coloro che vogliono formarsi un giusto concetto della maniera di comporre del Dreyschok a cui è giustizia tributare lusinghieri clogj per la spontaneità delle melodie, per la chiarezza ed imponenza, clic in que’pczzi non vengono mai meno. Gambini, lo studioso pianista genovese, dopo aver composto i suoi Studj (*), vide il suo nome valicare gli Appennini e maggiormente s’infervorò a pregevoli tentativi per vieppiù estendere la sua fama. A quelli, di cui altrove abbiamo tenuto discorso, fece succedere quattro Pensieri melodici, il primo affettuoso, l’altro commovente, il terzo vivace c l’ultimo (l’Inno) solenne c toccante; una Fantasia sulla Saffo (’), che contiene de’brani di effetto e di notevole risuonanza, ma che qua e là manca di purgata nitidezza cd eccede nella confusa ricercatezza. Delle quali mende con soddisfazione troviamo, se non del lutto; almeno in buona parte, essersi emendalo nel Capriccio sopra il Corrado d Altamura ("), Op. 40. Chi non rifuggo dall’assiduità, non ha che volere per far meglio. Questo capriccio può riguardarsi pel migliore del Gambini: i passi vi sono ingegnosamente trovali e con accuratezza condotti, in ispecic l’adagio coll’incalzante seguito di scale diatoniche alle pagine 9,10, ed il finale; nell’insieme del componimento’ si ammira una tinta di unità, dominandovi quasi sempre una grandiosa cantilena. L’editore Lucca pubblicò un Capriccio sopra temi dell’ultima opera di Halevv il Carlo VI; di esso basti dire che è de’ meno difficili, meno travagliati e CSf j; meno pretenziosi di Thalberg. al quale pure appar- gL! tengono i WaUzer (’), Op. 47, clic sì bene al pianoli forte convengono c partecipano non tanto de’ salici- SS li lanli ritmi di Lanncr o Strauss, quanto della sensibi