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nanza forma l’armonia perfetta. Ma nel secolo seguente anche questo elemento della dissonanza fu volto a un uso più ardito, e il progresso della musica religiosa sarebbe stato rapidissimo da quel momento, se le composizioni teatrali non si fossero appresentate a guastarne la natura, provandosi a far servire le sue risorse ad ottenere effetti mondani. Il signor Stephen Morleau finisce per ricordare che l’uso degli stromenti nella musica religiosa non potrà mai essere abbastanza limitato, e cita quale esempio da seguirsi il regolamento di fresco adottato negli Stati Pontifici, per vietare nelle chiese l’uso degli stromenti tutti, all’eccezione dell'organo e di alcuni stromenti da fiato (1)


CRITICA MELODRAMMATICA

del Maestro Rossini.


La riproduzione dell’Assedio di Corinto, al Teatro alla Scala, merita, tutto l’interesse che si darebbe ad una nuova Opera, e può chiamarsi un faustissimo avvenimento per chi si appassiona al bello musicale. Delle quattro composizioni teatrali di cui Rossini fece dono all’Accademia reale di musica di Parigi i nostri cultori della bell’arte finora non hanno avuto la fortuna di sentirne se non una sola (il Mosè) degnamente interpretata, che il primo eseguirsi di questo Assedio di Corinto alla Scala nel carnevale del 1828-29, e del Conte Ory al teatro alla Canobbiana, bastò solo a dar rilievo ad alcuni pezzi, e la rappresentazione della grand'Opera Guglielmo Tell! potè quasi tenersi una parodia della musica, come lo fu del melodramma di Jouy! Non vogliasi però supporre che l’esecuzione dell' Assedio di Corinto, quale ora ci vien offerta nel maggior nostro teatro, sia superiore ad ogni critica: in essa vi abbondano le mende. Il carattere di Maometto è assai debolmente sostenuto; il tenore dimostra una troppo evidente tendenza a far isfoggio di forza di voce, e ciò a detrimento della soavità di modi nel canto: la parte di Neocle, in origine scritta per tenore, giusta la consuetudine comunemente invalsa in Italia, viene affidata al contralto, e da un tale cambiamento di tessitura vari pezzi non ponno a meno di scapitarne. Qua e là vi abbisogna pure più diligente graduazione di colorito, più omogenea o serrata fusione nell’assieme, maggior esattezza ne’ tempi e negli accenti, meno frequenti puntatine, alcuni attori ed i cori dovrebbero mostrarsi più compresi del carattere delle loro parti, ecc. Ma con tutto questo la presente esecuzione dell' Assedio di Corinto, se si pon mente alla odierna spaventevole scarsità di cantori capaci di ben rendere i canti-rossiniani, potrebbe riuscire di sufficiente aggradimento; e laddove declama Derivis e canta senza inciampi la De-Giuij i generali desiderj devono essere e furono assecondati.

Un soggetto di Voltaire ridotto a due terzi, e snaturato da un librettista di Napoli per adattarlo alle esigenze melodrammatiche, servi a formare il Maometto II. ivi rappresentato nel 1820. Da questo Maometto a Parigi il Balochi trasse e ad esso aggiunse quanto richiedevasi a costituire l’Assedio di Corinto, che il 9 ottobre 1826 venne prodotto a quel Teatro dell’Accademia reale, esecutori essendovi la Cinti Damoreau, Nourrit e Derivis padre. Passando sulle scene francesi lo spartito del Maometto II, ritoccato ed ampliato da Rossini, si arricchì d’eccellenti pezzi e da esso ebbe principio una novella era nell’esecuzione e composizione vocale in quei teatri, ed i sistemi di canto che fin allora ivi regnarono vennero sconvolti per non dire abbattuti. L’imponente Mosè (1827), luminosamente proseguì l’intrapresa rivoluzione, il Conte Ory (1828) la convalidò, ed il Guglielmo Tell, (1829), che può conderarsi come un riassunto di tutto ciò che la musica drammatica seppe offrire di più perfetto, non solo compì la riforma a cui ora si accenna, ma ben anco valse ad introdurne una nuova, e questa con varie modificazioni fu seguita dall’illustre autore del Roberto il Diavolo, da Halevy e da altri compositori che recentemente scrissero per la Grand’Opera, e venne trapiantata in Italia, per cura in ispecie di Mercadante.

In varj periodi dell’Assedio di Corinto, per merito e per effetto in pieno meno sorprendentemente valido del Mosè e del Tell travedesi che Rossini s’indusse a far una transazione colla maniera a lui abituale e con quella che convenivagli abbracciare; alcuni pezzi risentono ancora di que’ modi e di quelle forme di convenzione di cui tanto si abusò, oltrapassato il terzo lustro del corrente secolo; per cui non deve recar maraviglia se talvolta da uno squarcio all’altro scontrasi una certa qual disparità di stile.

«La sinfonia (e qui adoperansi le parole di Ortigue, l’ingegnoso panegirista di Berlioz, ed il savio sostenitore della profonda musica alemanna, e delle elevate composizioni da chiesa) creata per le nostre scene assai più che le precedenti di Rossini, si avvicina alla bella fattura della nostra scuola. Dopo un andante in cui l’autore lasciò in non cale i passi rapidamente ornati o spiccali per un canto grave ed un’armonia fortemente e largamente tratteggiata alla maniera di Haydn, si passa all’allegro, ove le prime frasi sotto differenti forme percorrono l’intiero diapason de’ violini, e son seguite da un tutti brillante a cui tien dietro la cabaletta obbligata la quale alla sua volta conduce al crescendo. Ma il crescendo non è altro se non quella marcia sì fiera ed originale, e come taluno disse, quell’ammirabile contraddanza sì potente per ritmo e d’un carattere tanto nobile, che nel finale del secondo atto sentiremo fra un formidabile coro, a continuato battere de’ tamburi ed allo strepito delle armi. Dopo il crescendo Rossini aveva sempre usato di ritornare tutto ad un tratto al primo motivo senza sviluppo alcuno e senza seconda parte. Or qui uopo è ringraziarlo degli sforzi da lui adoperati per togliersi dal favorito suo metodo: avanti ripigliare la prima frase dell’allegro s’impadronisce di un pensiero secondario, con assai di accorgimento c di vaghezza facendolo passare da un istromento all’altro. Ah! mio Dio! il genio non ha che a volere!»

Tutti i brani dell’introduzione meritamente annoveratisi fra i più splendidi titoli alla gloria dell’Orfeo Pesarese. La patetica cantilena del primo coro - Signor, un sol tuo cenno - è condotta ed istromentata a maestose proporzioni. Ridondanti di energia sono i recitativi di Cleomene. L' a solo di Jero - Si, combattete - impone. Prodigioso per concepimento e per intreccio è il pezzo concertato a tre voci con coro, in cui alla modulazione dal sol minore al maggiore sentesi rapiti da indefinibil trasporto che vieppiù vien accresciuto dal modo incalzante con il quale il capolavoro si compie. La stretta di questo pezzo consiste nel giuramento de’ Greci, e le concitate note musicali dan maggior risalto alla forte situazione poetica.

Del successivo terzetto meglio ci garba l’eccellente andantino a 3 e 4 che il brillante allegro sviluppato con un crescendo che rimembra molti altri del sovrano maestro. Nulla dicasi della rimbombante marcia con banda e coro alla sortita di Maometto e della famosa cavatina di questo. Chi non la sa a memoria? L’ultimo tempo del finale primo (in qualche istante di una risuonanza piuttosto strepitosa) è di un carattere che pare non convenga molto all’antecedente ben elaborato adagio ed al rimanente dell’opera.

L’aria del soprano con cui si apre il secondo atto al primo udirsi al teatro di Parigi pel quale fu immaginata, vi produsse una sensazione straordinaria, ed i peregrini suoi pregi di concetto apparvero tanto spontaneamente intrecciati alle fioriture ed ai passi di bravura all’italiana, che all’effetto di quest’aria si vollero principalmente attribuire i germi della trasformazione introdotta da Rossini nel canto francese. Qui è luogo di soggiungere che, se la ragione o le convenienze drammatiche disapprovano i brillanti passi che sembrano opposti ai sentimenti da cui i personaggi de’ melodrammi serii devono esser mossi, da un altra lato non puossi negare che alle orecchie ne risulta allettamento. Fétis asserisce, esser una concessione, un consentimento accordato dal pubblico per l’interruzione dell’efficacia drammatica alla condizione però che cessando d’interessarlo, lo abbia a dilettare. Mozart medesimo, il severo Mozart ha sparso nelle sue opere de’ passi destinali a far brillare i cantanti.

Il duo tra Pamira e Maometto eseguito da Tamburini e dalla Lalande l’altra volta, e stato accolto con manifesta approvazione, non esclusa eziandio l’intromessa cabaletta di Donizetti (!!), ora non aggradì né punto né poco e venne abbandonato. Il Corradi-Setti nel secondo atto mostrasi di troppo inferiore alla sua parte, da lui disimpegnata con titubanza e senz’anima. Questo basso nella sua voce possiede un tesoro di cui finora non può servirsi che ad intervalli: indefesso studio è l’àncora a cui pel suo utile ei deve appigliarsi. - L’infelice ballabile che veniva in seguito dopo la prima rappresentazione si tolse: al gusto degli italiani non è consentaneo che un’opera in musica ne’ varj suoi atti venga interrotta da inconcludente mover di piedi. Non bastano forse le lunghe composizioni coreografiche per satollare gli smaniosi del ballo, e per far provare le pene di Tantalo a chi non disprezza un continuato interesse drammatico-musicale? -L’Inno Divin

Profeta, preceduto da sì stupendo ritornello d’orchestra, per la sua tinta calma e misteriosa e per la sublime sua sempli-

  1. Non sottoscriviamo a questa opinione del signor Morleau, e pensiamo al contrario che non è l'uso in genere degli stromenti dell’orchestra che può scemare il carattere religioso della musica sacra, ma bensì il modo col quale essi stromenti si usano; ci proponiamo di tornare su questo argomento con apposito articolo.

    B.