È lampante ohe una testa logica, la quale
| dai preparativi deU’argcmentazione si fosse
1 predisposta a discendere, arrivando inopinatamente
a quel colmo del suo fiorire,
non potrebbe trattenersi dal chiedere al
sig. Meliini: Ma come va questa faccenda?
O andiamo in alto,: o andiamo al basso:
o dite bianco prima., o dite bianco dopo.
Se, come dicevate prima, la musica ino sica
eli volgere alla sua decadenza, come può
essere quello che asserite dopo, eli ella si
mantiene in fiore, anche oggidì, ed anzi
che essa ora è al colmo del suo fiorire?
Se essa è al colmo del suo fiorire e si mantiene
in fiore anche oggidì, come può stare
di’ ella mostri di volgere alla sua decadenza?
Date la testa, direbbe il Monti, in
qualunque corno volete del mio dilemma
che in uno dei due bisogna rompersela. Ma
ancorché una tanta piaga nella parte più
interessante della discussione, che è quanto
dire la conclusione, sia cosa non indegna
di riflessibile rimarco, noi non la romperemo
in alcuno, perciocché piuttosto che
battere il capo negl’inciampi delle contraddizioni
amiamo, ove si possa, di giungere
reciprocamente ad illuminarci.
E per illuminarci fareni di chiarire l’idea
del signor Meliini, la quale, se non erriamo
nell" interpretazione, potrebbe esser questa,
cioè, che la musica dell età nostra sospinta
a grande altezza da quel colosso
atlantico di Rossini; fu sollevata alla sfera
di tutta la sapienza da quel genio benefico
di Bellini, per la cui opera soltanto la
musica incominciò ad essere un dramma,
e. un dramma fia musica: che morto Bellini
ella non è più oltre salila, perchè più
non poteva salire; ma clic nulladiineno ella
si è pur sempre sorretta ad uno stato di
bella luce, da cui appena appena, senza
per altro aver ancor mosso il suo passo
sinistro, fa sembianza di voler declinare
frappoco; perchè, non potendo più andare
innanzi, è per una forza superiore1 alte sue
forze costretta a ritornare indietro.
Il lettore già da sè stesso f ba preveduto
che non tutti potevano essere di quest avviso.
Anzi, ritornando di bel nuovo sull’immagine
di Pittagora, il quale aveva detto
che poema è il mondo tuttofai cui altissimo
e dolcissimo concento sono per
avventura sordi o rinchiusi gli orecchi dei
mortali, noi lo confessiamo di buona fede,
noi siam di questi mortali che bau gli orecchi
rinchiusi alle incomprensibili armonie
della musica de’ nostri giorni; e pensiamo
all’opposto ch’ella sia discesa dalla sua sedia
immortale, per venire dolcemente a coricarsi
sovra un letto di fiori Soporiferi.
Si, osiamo ripeterlo; l’arte della musica è
al tempo in cui ragioniamo decaduta da
quella ch’era non pochi anni addietro. Checché
si vanti e si magnificili da coloro che
portano diversa opinione, ella è decaduta
perchè la grandezza delle arti non si misura
dal nome de’ molti artisti viventi o
vissuti, ma dal valore e dal numero sempre
crescente delle vere opere grandi. Ella
è decaduta, perchè da vent’amii in poi il
ceppo della musica italiana non ha dato
più vermi rampollo che sia da porsi a fronte
di quelli che germogliarono vent anni avanti.
Ella è decaduta, perchè col debito rispetto
di tutti i compositori cresciuti in quest ultimo
tempo non hanno nulla creato che
sia destinato ad arricchire il tesoro delle
nostre armonie. E decaduta. perchè dacché
per il teatro italiano si tacquero Rossini
e Bellini nessuno de’ novelli campioni
ha dato segno d’aver ereditato la vena inesauribilmente
feconda dell’uno, e l’anima
ed il senno profondamente sentimentale
dell’altro. E decaduta, perchè Mercadante,
Donizetti, Vaccaj e Pacini, chesi adducono
come veri onori dell’arte, e che onori son
veramente. si debbono riguardarle come
spettanti ad a11r’epoca, all’epoca in cui la
floridezza della loro mente produsse i più
inspirati loro capolavori. Già da parecchi
anni s.on essi nati e cresciuti alla scuola
d’Italia. Ayjfh’essi poco più, poco meno son
figli del periodo fortunato che produsse
un Rossini, un Bellini; e noi parlando del
decadimento dell’arte vogliamo alludere a
que’ maestri che dopo di loro comparvero
sull’orizzonte teatrale.
E di questi parlando, che hanno essi
fatto di così grande, di cosi immaginoso,
di così profondo, che si possa non comparare
ma appena avvicinare al Guglielmo
Teli, al Barbiere di Siviglia, al Diosé, alla
Semiramide, alla Norma, alla Sonnambula,
ai Puritani, all Elisa è Claudio, ni Normanni
in Parigi, al Giuramento, alla Polena, al1
Elisir d’amore e a tutti i migliori parti
di quei veri distinti ingegni? Hanno eglino
ben considerato i vantatori delle presenti
ricchezze, che tutti i veri capolavori della
nostra melodrammatica sono creazioni d intelletti
che sorsero al teatro oltre vent’anni
addietro? E Donizetti medesimo che ha egli
fatto di meglio della sua Polena, del suo
Ehsire: e Mercadante de’suoi Normanni:
e Vaccaj della sua Giulietta, e Pacini de’
suoi Arabi? I veri primi acquistarono il
vigor della scienza scemando la favilla
dell immaginazione: i secondi rimasero
secóndi, e non ci compensarono dell’esaurimento
dei primi che con produzioni
che ricordavano appena i pregi individuali
de’ loro antecessori, poco o nulla aggiungendo
di veramente originale. Se ben si
bada, tutti cotesti compositori secondarii
non ebbero, qual meno, qual più, che l’ingegno
de’ Petrarchisti, e non furono più
o meno che felici od infelici imitatori dei
primi. Anzi molti de’ nomi viventi che si
citano come famosi non sono di certo designati
a rivivere nei secoli venturi; e se
dovessimo avvalorare quest’asserzione col
testimonio di alcuni, sapremmo citarne più
d uno le cui opere.se non mancano «l’un
certo brio, e di certa vena, melodica che
massimamente aggelila al nostro orecchio,
sono, lo direni coraggiosamente, di pochissimo
pregio all’occhio della scienza, epperciò
facilmente periture. Un attento esame
che la Gazzetta Musicale offerisse d’alcuno
de loro più recenti lavori, verrebbe opportunamente
corroborando quest’opinione,
che può per avventura parer temeraria. S’è
apprèsa ne’ cultori dell arte del comporre
una foga attaccaticcia simile a quella dei
cultori dell’arte del canto. Appena sanno
essi armonizzare una cavatina, una cabaletta,
come i secondi la sanno cantare, col
pili scarso patrimonio di dottrina si gittano
addirittura suiteatro; e da questo avviene
ciò che si vede sì spesso, che dopò un
primo esperimento, che riesce alcuna volta
fortunato per la novità e freschezza delle
immagini melodiche, il maestro, invece d’aggrandirsi
s’incurva sotto sè stesso, e cade
nell’impotenza e nell’infecondità, perchè povero
ed imperito nella scienza. La musica
che non consiste che di brevi e leggiere
melodie è un fiore che nasce ed appassisce
in un giorno. Dopo appena qualche
tempo, perduto il prestigio del nuovo, cade
come la beltà che non. «l’altro s’adorna che
di giovinezza. L’umana intelligenza ama di
essere operosa: ama di appagare sè stessa
e la propria vanità scoprendo ciò che non
a tutti è concesso di scoprire: epperò le
grandi opere tutte, così dulia pittura, che
della scultura e della poesia, racchiudono
bellezze che non ad ogni sguardo sono palesi:
il medesimo avvidi della musica. Perchè
I ingegno s’alimenta.dell’ingegno, essa
vuol ornare, abbellire, incorporare la melodia
colle armoniche consonanze, in che
1 azione dell’arte è maggiormente riposta.
E vuole in guisa adornarla che le grazie
debbano ad una ad una uscire alla vista
dell indagatore, quasi premio e mercede
della fatica dell indagine. È vero che i pregi
musicali non debbono di soverchio essere
nascosti perchè trattasi di un’arte le cui
immagini passano coll’istante che le produce. nè danno tregua all’ascoltatore di
prenderle in considerazione, differendo in
questo dalle altre arti «piasi tutte; ma l’accorgimento
del maestro saprà opportunamente
ravvisare fin dove debbano starsi
celati. Le opere di Bellini, per «pianto trattasi
di melodia, son piene di epieste ritrose
veneri, che tutte non si denudano se
non a chi si dà la cura di spogliarle: il
perchè la più parte di esse non fu ben
apprezzata se 11011 dopo parecchie ripetizioni.
Di scpiisitezze armoniche risplendono
sopra tutte le creazioni più recenti, le ultime
di Mercadante.
Ma riconducendoci sulla nostra via, non
è dunque vero, se vero è il nostro ragionamento, quanto l’onorevole sig. Meìlini
asserì, che la musica sia ora al colmo «lei
suo fiorire, che epiesto sia il sècolo di oro,
e che intempestivo etl indebito sia il lagnarsi
che fanno alcuni del suo deterioramento.
A buon dritto se ne lamenta chi
da non pochi anni la riconosce impoverita
c scarsa di frutti veramente grandiosi;
e non senza molta ragione la Gazzetta è venuta
affermando ch’ella aveva bisogno del
sussidio degli esperti; solo è da augurarsi
che il fine dell’opera corrisponda all’intenzione
dell’intrapresa.
E poiché fine dell’opera è quello appunto
di addirizzare la musica italiana a «juella
perfezione artistica, che non ancora sembra
aver agognata, parleremo anche di
un’altra opinione, che in tale proposito
trovammo non conforme al vero nello scritto
dei signor Melimi, trattando la quale verremo
opportunamente e progressivamente
dilucidando il soggetto del nostro discorso.
Geremia Pitali.
POLEMICA.
SI sig. S’étis e 1» nostra Gazzetta.
Probabilmente i nostri lettori non avranno
dimenticate le osservazioni che noi credemmo
necessario di fare alle prime lettere
del sig. Fétis riguardanti lo stato attuale
della musica in Italia. - A cpielle osservazioni
a noi suggerite dal naturale desiderio
di contrapporre le nostre quali pur
siensi opinioni a que’ giudizii del sig. Direttore
del R. Conservatorio di Brusselles
che a noi non potevano nè doveano sembrare
pienamente ammissibili, replicò questi
colle seguenti righe premesse in forma
cl’esordio alla quinta delle anzidette lettere.
Le riproduciamo tali e «juali. in primo luogo
perchè ne paiono dettate con qutelia moderazione
e con quel garbo che mai non
dovrebbe scompagnarsi dalle controversie ®
artistiche,, poi perchè ne offrono argomento
(Senne il SetjPjpleinentaJ.