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(Supplemento alla Gazzetta N. 19) - 83 -

e d’allora in poi egli si esercitò nella musica per solo diletto; l’anno 1827 accettò l’impiego di censore degli studii al Conservatorio di Milano, dal-quale (come abbiam detto) è poi passato a quello di maestro di cappella di San Pietro in Vaticano. Dopo il mio arrivo in Roma io aveva subito cercato di Basily; l’ottimo abate Santini (del quale molto avrò a parlare nelle mie lettere sull’Italia) mi condusse alla casa di lui. V’assicuro che Basily, da vero artista, mi si dimostrò meno scoraggiato per la strettezza della sua condizione, che per la decadenza dell’arte in Italia,’e per l’impotenza di sostenerla nello stato in cui si trova. Io non credo però questo male senza rimedio, come era opinione degli uomini ragguardevoli che me ne parlavano. Io stimo che una grande energia vincerebbe tutte qualunque sieno le difficoltà! E ben vero die l’energia non è una qualità facile ad ottenersi in Italia, ove l’artista vive isolato, senza appoggio, senza corrispondenza, senza le risorse di quel consorzio artistico del quale in Francia si abusa, ma che bene inteso può portare molti vantaggi. Lo spirito di maldicenza e d’invidia regna in tutte le grandi città italiane, nè io mai sentii colà un musicante parlare d’un altro senza che più assai ne dicesse di male che di bene. Un’anima forte non si lascierebbe per Certo vincere da questi ostacoli; ma Baini, ma Basily hanno settantasette anni, e l’energia non Ita punto che fare con quest’età. Essi non possono che abbassare la testa, e darsi pace. Quantunque io avessi buona opinione del merito di Basily, nondimeno io ne fui sorpreso. L’accoglienza che egli mi fece quand’io gli manifestai il mio nome fu come il risovvenirsi di cosa smarrita che colla mente si cerca. Così vecchio coni’è, colle sue dita emunte per l’età e rattrappate dai reumi, ei pur volle suonarmi qualcuna delle sue suonate per cembalo, nelle quali v’ha pur qualcosa di grazioso, e mi improvvisò delle fughe, e nei ricercavi di ottimo stile. La sua conversazione rivela altresì un buon senso, e delle considerazioni estetiche, qualità che guari non si trovano in generale fra i musicanti italiani. La mia visita gli fece piacere e l’animò alquanto. Volle scrivere qualcosa per me, e subito si mise a lavorare; ma due giorni appresso un’indisposizione l’obbligò al letto, ove ancora era quando io partii. Vi sono ancora a Roma parecchi compositori di musica di chiesa cresciuti nella buona scuola, e che bene scrivono, ma di rado hanno occasione di prodursi, poiché, fuori della cappella pontificia, non vi è alcun luogo a Roma ove s’ascolti musica grave. La più parte delle chiese principali hanno un maestro di cappella, le cui funzioni però non si possono sentire se non in due o tre solennità deH’aimo. A questo punto sono ridotte le celebri chiese ai San Giovanni Laterano, e di Santa Maria Maggiore, un tempo sì famose pel merito de’ loro maestri di cappella, e de’ loro cantori. Fra i compositori di merito che ancora si trovano a Roma, il cui sapere per modestia loro non è conosciuto, è da annoverarsi l’abate Santini, uomo dato tutto alla musica per tutta la vita, e la cui già avanzata età è stata tutta consecrata all’arte, senza altro fine che quello di gustarne il puro piacere che procura all’anima. Io ho veduto de’ salmi e de’ versetti, di sua composizione, a cinque, a sei e a otto parti reali, ne’quali il sentimento religioso, il carattere delle parole, il lavoro e l’effetto sono egualmente a lodarsi. Queste buone composizioni dovrebbero essere conosciute, e invece alcuno amico è tutto il pubblico a cui si fanno sentire. L’Italia in tutti i tempi lia avuto artisti segnalati, la cui virtù non è stata ignorata che dai loro contemporanei. La musica di chiesa è stata sempre in meno seria maniera trattata a Napoli che nella scuola romana, e lo stile di espressione a Napoli era già in voga da molto tempo, mentre che i maestri romani conservavano ancora la tradizione delle forme di Palestrina, e de’ suoi immediati successori. Durante, Leo, Pergolesi e Jomelli, hanno scritto solamente in questo stile di espressione, e le loro opere sono modelli in questo, genere, riguardo alla semplicità dei mezzi. Piccini, Sàcchini, Cimarosa, Paisiello, e in ultimo luogo Zingarelli sono. 7.. • V ° stati ì continuatori di questo stile, ma dandogli una tinta più spiritosa e concertata. Il gran inerito di questi maestri è stato quello di scrivere in un modo naturale ed adattato alle voci: Zingarelli si è distinto in modo singolare per questo pregio, e per un certo carattere di espressione tenera in qualcuno de’suoi lavori più belli, avvegnaché se gli possa sovente opporre poca scelta d’idee, e molta monotonia nel suo sistema di modulazione. Àncora nella sua maniera di scrivere si ravvisa molta negligenza, sopra tutto nelle ultime sue produzioni. Per riconoscenza ai servigi di Benedetto Yita suo famiglio, che aveva seco passata gran parte della vita, egli volle lasciare per testamento a questo servo fedele, non avendo altro, i suoi libri, e un’immensa quantità di musica da chiesa, eli’ egli aveva a posta composto affinchè il Vita potesse venderne a un certo prezzo gli originali dopo la sua morte. Perciò più inteso a moltiplicare il numero delle opere che a perfezionarne la bontà, egli cominciò a scrivere con tale rapidità, che sarebbe stato da fare le maraviglie che da un lavorare così concitato ne dovessero uscire altro che mediocri composizioni. Io ho il catalogo di questa musica, n’ho percorse buon numero eli partizioni e fra la moltitudine delle produzioni che vi sono indicate io ho notate 58 messe a due voci duomo, con orchestra: 6G messe per diversi generi di voci con organo; circa 25 messe a due o tre voci con istromenti; più di 20 messe solenni, a quattro voci e orchestra; 7 messe, Jcirie e ciucio a 8 voci; 40 credo a tre, quattro ad otto voci, con orchestra; o idem con organo; 84 Dixit a tre, quattro ad otto voci, con orchestra o organo; una moltitudine di salmi, fra’ quali 3G Beatus Vir con orchestra o organo e 49 Confitebor, 73 Magnificat a tre o quattro voci con orchestra o organo; 21 ore d agonia ad una due, tre e quattro voci, con istrlimenti e con introduzione per viole, violoncelli, e contrabassi; 29 Te Deam di ogni genere; 28 Stabat Ma,ter idem; vespri, compiete, litanie, un numero straordinario d’inni, antifone, versetti, responsi e lezioni per la settimana santa, graduali, offertorii, e finalmente 9 salmi italiani a quattro voci e orchestre. Fra tanta farraggine di cose, delle quali un gran numero è poco degno d’essere stimato, ciò che di meglio io ho trovato è il Miserere a quattro voci, senza accompagnamento, che Zingarelli compose per gli allievi del Conservatorio di Napoli: ivi veramente si trova un sentimento sublime nella sua semplicità. Il carattere della musica è sì bene appropriato alle parole, l’armonia è sì pura, lo voci sono sì ben collocate e si muovono con tanta naturalezza che questo pezzo, come che brevissimo, vuoisi considerare come una delle più ragguardevoli produzioni di questo autore. Gli allievi compositori del Conservatorio sogliono scrivere molte messe ed altri pezzi da chiesa, che sono eseguiti dai loro compagni, e che si fanno sentire in certe soìennità delle chiese e conventi di Napoli. La [iiù parte di questi sperimenti sono stali fino al presente fatti nella maniera di Zingarelli; ma sempre più si va scorgendo la tendenza teatrale nello stile povero d’idee di queste composizioni. Difficilmente i Napoletani possono mettersi in testa il grave e II serio. Mentre io era a Napoli, ebbe luogo una religiosa cerimonia per una monacazione. La pietosa solennità cominciava con una marcia militare, e finiva con una galoppa. Merendante, oggi direttore del Conservatorio, mi parrebbe idoneo, se non a restituire alla musica il semplice carattere che non le si dovea mai togliere, almeno a darle maggior gravità che non hanno le produzioni degli altri maestri Napoletani dell’epoca nostra. Egli è uomo di sentimento e di riflessione, e il suo genio ora volge al genere grave. Egli fra i compositori napoletani in generale, tutti di pronto ingegno, è quegli che scrive meglio. La sua carica poco lo lascierà più attendere alle cose teatrali; onde probabilmente le suo idee si volgeranno alla musica sacra, la quale a Napoli dà favorevol campo ai compositori meglio che in nessuna altra citta dell’Italia. Pi acciavi. ecc. Fjbyis. VARIETÀ llella imiif ut osarne e ilei iiiiisicale. (Inseriamo di buon grado questo articolo comunicatoci dal sig. C. Meliini, perchè ne pare che tra mezzo a diversi pensieri non in tutto conformi a quanto pensiamo noi sul medesimo soggetto.}si riscontrino molte idee giuste e di opportuna applicazione. Abbiamo poi replicato con una. nota del nostro collaboratore sig, A. M. al passo dell articolo stesso in cui il sig. Mellini mostra dissentire da un giudizio dato dal detto sig. A. M. ). L’imitazione in tutte le arti è stimata cosa lodevole, solo nella composizione musicale ne sembra essere con troppa severità condannata dal pubblico: di maniera che si appuntano persino a’ maestri quali difetti imperdonabili le reminiscenze, e i tratti imitati, quali solennissimi plagi. Forscchè furono plagiarli Virgilio, Dante, F Ariosto, e il Tasso, che tante cose presero, da Omero, tante Funo dall’altro di loro, e tante ancora da’minori poeti’/ Forsechè furono plagiarli nella pittura i Caracci clic da Tiziano, dal Correggio, e da Paolo Veronese derivarono tutto il carattere della loro maniera cotanto ammirata/ La Comunione di San Girolamo del Domenichino in Roma come potò acquistarsi ìa gloria di essere chiamata il primo quadro del mondo dopo la trasfigurazione di Raffaello, non essendo in gran parte clic una imitazione fedele del soggetto medesimo trattato da Agostino Caracci a’Certosini di Bologna / A che tanto è lodato nella storia Giulio Romano per l’imitazione di Raffaello, il Parmigianino per quella del Correggio, il Tibaldi per quella del Buonarroti? Stabiliscasi non per tanto che nella composizione musicale l’imitazione deliba essere più circoscritta di quella non pure concessa ma lodata nelle arti del disegno, c ciò perchè nel riprodurre gli esempli musicali assai meno è richiesto di virtù che nel riprodurre le cose delle arti più materiali, la cui sola pratica addomanda maggior magistero; ma il condannare per plagio nella musica ciò che può considerarsi per semplice imitazione, il bandire la croce addosso a chi trascorre in mere reminiscenze di sfuggevoli frasi ne sembra ingiusto oltrag