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di Bellini e di Donizetti, e che, in difetto dell'orchestra, il pianoforte doveva accompagnare i cantori. Quando io usciva di chiesa vidi che si recava un'arpa, il cui suono dovea certo accoppiarsi a quello del pianoforte. Spiacquemi non poter ascoltare questa nuova musica religiosa.

A Bergamo ove io mi era fermato per vedere il rispettabile Mayer, io sperava di sentire musica ecclesiastica, perchè mi era noto ch’egli aveva composto molte messe, e salmi per Santa Maria Maggiore 5 ma egli mi disse che il suo impiego di maestro di cappella non l’occupava che un sol giorno dell anno, cioè il giorno della festa della Madonna a1 quindici d’Agosto. Intesi dappoi che la cosa non era altrimenti nella maggior parte delle chiese della Lombardia, della Toscana e persino a Roma. Il deperimento delle risorse delle chiese ne ha fatto scomparire non pure il musical rito cotidiano, ma quello altresì delle domeniche e delle feste. Solamente due o tre giorni dell’anno si possono sentire gli avanzi di quella musica della quale una volta si faceva un uso il più smoderato. A Padova pure nella celebre chiesa di Sant’Antonio vi è perpetuo silenzio, quantunque vi sia un maestro di cappella e quattro organi nel coro. A Venezia, il signor Perrotti mi disse che l’officio suo di maestro di cappella di San Marco non l’occupava che soli due giorni deiranno; allora vi ha musica solenne, e in una di queste due ricorrenze si canta una messa di Requiem. Il signor Perrotti molte ne ha scritte, ma per istimoli che io m’adoperassi non gli consentì la sua modestia di farmene vedere alcuna (1). A Bologna, le occasioni di potere ascoltare musica di chiesa sono un poco più frequenti che nella Lombardia, e 1 Accademia de’ Filarmonici ha un gran numero di compositori di musica sacra, fra i quali mi si citarono i nomi de’ signori Berlocchi, Bianchi, Sampieri, Serafini, Zagnoni, Monari, Tabellini, Gaspari, Vanduzzi, Sarti, Roncagli, Fabbri, Manetti, Palmerini, ecc. ecc. (2) - Non ne conosco un solo...! • Io non so qual fatalità mi perseguitasse, ma ad onta di questa farraggine di compositori, non vi Fu alcuna chiesa ove si facesse musica, durante gli otto giorni che io passai a Bologna. Rossini, col quale io mi lamentava di questo contrattempo, non sapeva rispondermi che queste due parole accompagnate dal suo scaltro sorriso: Felice mortale! Il mio rispetto verso un’accademia filarmonica non m’ha lasciato comprendere qual senso egli desse a queste parole. (Sarà continuato). (1) In proposito del sig. Perotti siamo autorizzati ad apporre la seguente nota: «Il sig. Perotti non ebbe giammai ad affermare al sig. Félis che solo due volte all anno si eseguiscono musiche solenni a San Marco, mentre la cosa è ben diversa dappoiché si eseguiscono musiche solenni in tutte le occasioni di Pontificati ed ogni qual volta l’Eccelso Governo interviene a San Marco, come per esempio nell’occasione de’ funerali di Cótte, ne’ giorni onomastico e natalizio di S. M. I. R., nella ricorrenza del Santo titolare della Basilica patrizia, ed in varie altro funzioni straordinarie alle quali il maestro primario è tenuto di intervenire. Il detto sig. Perotti ebbe a dire al sig. Fétis, parlando delle musiche che per obbligo deve comporre, che il suo Capitolato contempla soltanto la Messa per la solennità del Natale, ma aggiunse che altre musiche ei va scrivendo fra l’anno all’oggetto di provvedere la Cappella e rendere il servizio del tempio più decoroso. Quanto all’inchiesta del sig. Fétis di vedere le opere del sig. Perotti, questi rispose che poteva osservarle nejf archivio musicale della Cappella. (2) Quegli che procurò al signor Fétis questa copiosa nota di maestri bolognesi non vi inserì quei tre che più degli altri tutti in quella città si occupano di musica ecclesiastica; vogliam dire i maestri Marchesi, Bortololti, e Busi, del cui merito ora non discuteremo, tua certo asseriremo superiore a quello della maggior parte di quelli dati in nota al signor Fétis. SCHIZZI STORICO MUSICALI. Da Citino (l’Anizza lino a PAi.s sritivv. ARTICOLO PRIMO. Ne’primi mill’anni cicli’Era cristiana, l’arte musicale, malgrado lo regolo del canto ecclesiastico dettate da Sant Ambrogio, malgrado la dottrina dellAbate Remi. malgrado le cure di San Gregorio e di Ottone II, fu un ammasso informe di precetti senza fine, senza costruito. 11 Pontefice Vitelliano aveva ben inviato ed in Inghilterra ecl in Francia professori di musica; Negino aveva bene scritto un trattato de Harmonica institutione;.Duristano aveva ben promosso lo studio del canto a più voci, ma la musica era sempre una povera ecl infantile arte, che anzi arte non si poteva chiamare. In sul volger del secolo decimo s’udì una voce potente escire dal convento eli Pomposa in Toscana. Era la voce di un Benedettino, di Guido d’Arezzo. E nota la prodigiosa influenza che i monaci, e specialmente l’ordine de’Benedettini, esercitarono nel medio evo sull’incivilimento. In que" tempi d’agitazione e d’effervescenza d’avventurose spedizioni, di gigantesche imprese, i monaci, clic per la natura e santità delle loro funzioni, erano jiosti in sfera più quieta di quella in cui si agitavano i re ecl i popoli, si trovavano soli in grado di darsi con perseveranza ed amore alla coltura de’ vai li rami dell’umano sapere. Gli è nel silenzio de’ monasteri, fresche e tranquille oasi gettate qua e là sulla faccia d’un mondo sconvolto e romoreggiante, che alcune menti infaticabili, invitte, frugando nelle ceneri dell’antichità, diseppellirono tanti tesori, e sospingendo l’occhio nell’avvenire scoprirono tante nuove verità. Guido d’Arezzo, dal fondo di un chiostro, produsse un’immensa rivoluzione nella musica, o quasi la creò. Per tutta conoscere la portata della riforma di Guido, uopo sarebbe descrivere a lungo lo stato della musica a lui anteriore. Le lettere poste sulle sillabe erano tutta l’indicazione dell’antica melodia: il ritmo ed il tempo bisognava indovinarli. Fu d’uopo perciò ricorrere a segni più espressivi, e questi si trovarono in due o tre righi che lasciavano ne’ loro spazii il luogo onde esprimere colle lettere l’alzarsi, od abbassarsi della voce. Guido poi sostituì ai cinque tetracordi de’greci, tre esacordi.^ cui pose il nome di proprietà naturale di bemolle e di bequadro, servendosi delle lettere gregoriane per distinguere le iniziali di ciascuna corda. Alla testa di questo nuovo sistema mise la corda chiamata da lui hypoproslambanomenos, designandola colla gamma greca, d’onde la scala musicale venne appellata gamma. Ogni esacordo avendo cosi sette corde egli impiegò le lettere majuscole dell’alfabeto per notare li suoni gravi, le lettere minuscole pe’ suoni medii, e lettere doppie pe’ suoni acuti. Scelse poijie sei sillabe ut. re. mi. fa., sol. la dall’inno di San Gio. Battista, per notare le sei corde diatoniche e servire di guida nel solfeggio, che furono poi chiamate note. A queste applicò le lettere a, b, c. d. e. f, g, in modo che le corde formavano con degli intervalli determinati i cinque toni, ed i due semitoni della gamma diatonica moderna. Ma dietro un tale sistema non v’erano che sei sillabe per distinguere i suoni della gamma, e ne abbisognavano otto per giun- f.ff gere all ottava del tono C. Era d uopo gK* ripetere la sillaba ini. che si mutava in fa IW nel tono F di proprietà del bemolle: onde risultava che nel passaggio d’un esacordo all altro, si facevano varie imitazioni sia ascendendo, che discendendo, cioè che nel canto la stessa corda prendeva or questo or quel nome. Ciò era duro e faticoso a coloro che volevano imparar la musica, e richiedeva necessariamente una riforma. Guido pertanto aggiunse il si alle sei siilai per indicare il settimo grado della gamma, e così fu completa la scala. Questi sono i passi che Guido fece fare all’ar te musicale. Alcuni storici attribuiscono a Guido l’invenzione di varii strumenti. come il cembalo o la spinetta, ma ciò non è ancora ben provato: nelle storie delta cavalleria e delle crociate io credo non si incontri cenno alcuno intorno a stranienti siffatti: lutt’al più. pare che, due o treccili’anni dopo Guido fossero, ma rari, in uso i clavicordi che son ben ultra cosa che il cembalo. Del resto non è ragionevole il supporre che un’invenzione possa star tanto tempo anneghittita e fanciulla come lo sarebbe quella del cembalo, giacché da Guido al Sassone Silbermann. che fu il primo fabbricato!’ di pianoforti, corrono ben più di sei secoli. E. anche popolare l’opinione che Guido d Arezzo sia l’inventore del contrappunto. Questa pure è falsa. Le cantilene di chiesa, che prima di Guido si eseguivano per quar ta e per quinta., acquistarono dopo di lui anche la terza: ecco tutto il contrappunto di Guido. Dopo questo celebre monaco molti scrittori sursero ad allargare le cognizioni musicali. Uno de’ più rinomati fu il frate Franco, anch’esso dell’ordine Benedettino. Franco sonimise il cauto alle regole del ritmo, o della misura, come si vede in un manoscritto della Biblioteca di Brera intitolato: Franconis musica, et cantus mensurabilis. Franco distingue quattro specie di melodie concordanti, delle quali ei fa gli elementi della sua ritmopea, cioè: discantus simplex, prolalus, troncatus, et copulatus. Nel chièder perdono al lettore della stranezza tecnica di queste parolaccie gli domandiamo anche il permesso di risparmiarne la spiegazione: è abbastanza il dire che a queste quattro specie appartengono le consonanze e le dissonanze perfette, o imperfette, o medie, sull uso delle quali Franco propone molle savie regole, aiutando così il progresso del contrappunto, notevole principalmente nell’uso della sesta maggiore o minore fra due ottave. Malgrado i felici tentativi di Franco e di altri più oscuri, l’arte musicale nel secolo duodecimo tornò alla primiera sua nullità. Le invasioni dei barbari portarono onta alla nobile semplicità della musica, afferrandola con selvaggi motivi di più selvaggie canzoni. Nel susseguente secolo un inglese, Walter Rington. scrive un’opera intitolata: De specuìatione nmsicae nella quale vi è il commentario delle dottrine di Franco, e di Guido. Un Marchetti di Padova pubblica un trattato col nome Lucidariurn de arte musicali, ed un altro trattato di cui non ci venne faLto rinvenire il nome, che venne dedicato a Roberto re di f Napoli, che fu uno de’ più zelanti prolet- < tori dell’arte italiana. 0 All’epoca eroica del medio evo, la inu- ì I inaes lodi’! attoi Un s ficamen giovine1 mentre ho me: Signifie 10 aves pure i< capiteli colonn prover dere i lj> jiit: