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GAZZETTA MUSICALE | ||
N. 16 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
DELLE PRESENTI CONDIZIONI
della Musica 1.
Accade nella musica quello che
accade in tutte le arti. Ognuno
non fa stima delle cose che in
proporzione della propria intelligenza. e l’intelligenza è
varia secondo che è varia la misura dell’ingegno
e dell’educazione.
Alcuna volta l’ingegno giova all’intelligenza anche da sé solo; ma l’unica opera sua senza la compagnia dell’altra non è che un semplice giovamento, nè può mai che riescile imperfetta in quanto che, essendo tutte le arti, o meglio le discipline delle arti originate da una serie di cognizioni venute dall’esperienza, chi coll'educazione non s’acquista il tesoro di queste, per quanta sia in lui la vigoria dell’intelletto, 11011 potrà mai dire con diritto di possedere una vera intelligenza. Non essendo poi l’ingegno che un elemento necessario per ottenere il buon effetto dell’educazione, perocché l’educazione ove manchi l’ingegno è nelle arti come il seme in terreno infecondo, si può ragionevolmente concludere, che l’intelligenza sta in sola perfetta proporzione colf educazione, la quale riesce maggiore o minore secondo che maggiore o minore è l'ingegno dell’educato.
Sono mille gli esempli che possono recarsi a conferma di ciò che annunciamo e vogliamo addurne qualcuno, non per dir cose nuove, ma per meglio illuminare il ragionamento che stiamo per fare. Un uomo dotto, un uomo studioso, un uomo dedito alle speculazioni della filosofia si diletta, si ricrea, s’alimenta alla lettura d’un libro dotto, d’un libro profondo, d’un libro severo, che ammaestra sulla natura degli uomini e delle cose, mentre un grillincervello, una di quelle teste lievevolanti. pigliando alle mani quel libro, s’addormenterebbe non più innanzi delle prime pagine, e pieno di convinzione come un penitente vi direbbe: questi scritti dei sapienti sono pure i cataplasmi del sonno!
Un uomo educato alla poesia, colla viva immaginazione, con quella favilla nell’anima che s accende alla luce del genio, trova inestimabili, venerande, divine le pagine dell'Alighieri, del Petrarca, dell’Ariosto, del Tasso, mentre uno dei viventi Sardanapali della moda, che non leggono altri versi che quelli dell’Opera, trova preferibili le belle quartine d una cabaletta od un articolo da teatro a tutte le stupende immagini di quei patriarchi dell’alta poesia.
Un lettore popolare, un lettore operajo, un lettore illetterato, che non prende i libri che per ingannare il tedio dell’ozio che gli lasciano le sue occupazioni, si compiace grandemente e stima senza confronto più una commedia da maschero, e da Arlecchini, che la bellissima delle tragedie d’Alfieri, che il bellissimo dei drammi di Metastasio: stima più le avventure di Teresa e Giaufaldone che tutti i più bei capitoli delle nostre storie romantiche.
Una signora anche delle più gentili, delle più sentimentali, delle più educate, a cui si proponesse la lettura di Metastasio e dell’Alfieri per averne il suo giudizio, per sapere a quale dei due porgerebbe la corona, si può scommettere cento contro dieci che ella anteporrebbe l’autore della Dizione a quello del Simile.
Lo stesso Voltaire, il quale, perché straniero, non era cosi addentro nella lingua italiana per comprendere le involute ed antiche maniere di Dante, aveva di lui assai minore opinione di quella non avesse del Tasso. E questa una prova, a cui potrebbero aggiungersi molte altre, che anche un ingegno titanico non vale a ben discernere nelle cose che non si conoscono profondamente.
Chi poi con occhio esaminatore passeggia al tempo delle pubbliche Esposizioni le sale della nostra Pinacoteca, vede ad ogni momento, ad ogni passo più e più esempj di ciò che ragioniamo. Mentre gruppi di persone numerosissimi s affollano intorno alle tavole che non sono il più sovente che i primi tentativi d’un pennello discepolo ed inesperto, i migliori dei dipinti degli antichi e moderni capiscuola non sono degnati nemmen d’uno sguardo} ed il medesimo sposalizio di Raffaello si rimane al suo posto quasi sempre inosservato come che fosse una veste od un arredo fuori d’uso.
I varj pubblici de’ molti de’ teatri diurni e notturni, anch’essi, come a tutti è noto, danno di ciò altre moltissime prove. Quando un attore comico esagera oltre ogni verità gridando e gesticolando con quanto potere ha in corpo, quando un attore cantante esagera facendo lo stesso, allora gli uditori di grossa pasta assordano la vòlta del teatro e la volta de’ cieli cogli urli dell'entusiasmo. mentre lo spettatore intelligente, solitario nel suo angolo del silenzio, anzicché secondare il voto degli altri, s’irrita e s’indispettisce con l’attore perché vede che ha tradita l’arte sua.
Così vanno, né possono andare altrimenti le faccende della soavissima delle arti. Chi collo studio e colla pratica non è educato all'intendimento della musica dantesca, della musica petrarchesca, della musica alfieriana, non può apprezzare, non può gustare, non può comprendere le bellezze di quella musica. Sorella della poesia, essa ha lo stile semplice e lo stile complicato, ha lo stile comune e lo stile sublime, ha lo stile facile e lo stile elaborato, ha finalmente lo stile dei dotti e quello degl’indotti. Ue maniere di questo stile dei dotti non si possono conoscere clic con una lunga e studiosa educazione. Chi senza di essa presume giudicare delle opere della musica, non è né più né meno d’un idiota, che volendo giudicar di poesia trova pessima la Divina Commedia perché non la può comprendere. Il paragone è incontrastabile. Volendo poi trattare dei lavori delle arti con una critica assennata e sicura, l’educazione rendesi un sine-qua-non indispensabile come la luce a chi vuol distinguere i colori, perciocché la critica non consiste nell'asserire come si fa d’ordinario: questo è bello, questo è brutto, questo è sublime, questo è triviale, questo è espressivo, questo insignificante: la critica sta nell’indagare, nell'esaminare, nel far conoscere le ragioni elementari, le ragioni tecniche per cui un’opera è lodevole o biasimevole. Non è sull'effetto che il critico dee versare le sue parole, ma sulle cause che producono gli effetti. Conoscendo le cause, allora egli adempirà l’officio della critica quando dirà all’artista: voi avete avuto quest’esito sfortunato perché avete agito così piuttosto che nel contrario modo: voi avete avuto un felice risultamento perché avete adoperalo i mezzi dell’arte con accorgimeli o estetico e coi principj della filosofia. Il critico adempirà l’officio suo quando istruirà i cultori delle arti colle considerazioni e coi ragionamenti della sapienza, non semplicemente lodando o vituperando alla cieca come di consueto si usa. Ue ragioni artistiche 11011 sono fantasie da visionarj, né cose di si facile percezione che possano dà sè concepirsi anche dai fanciulli, né sono di si poca importanza che possa disconoscerle chi voglia condegnamente trattare la critica. Quando le arti s’addentrano nelle intimità de’ riposti loro artificj, nelle quali il critico dovrebbe pur penetrare, allora vestendo un carattere più nobile, si cangiano in scienze. Perciò quel buon uomo del vecchio Aristotile, che a quanto pare
- ↑ Veggansi gli articoli inseriti noi primi numeri di
questa Gazzetta, col titolo delle Attuali condizioni
delle Arti musicali in Italia. Il seguente può servire
in certo modo a maggiore sviluppo delle cose in essi articoli
accennate.
L’Estens.