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(Supplemento alla Gazzetta N. 12.)
però, dovrebbe esser situata più da lontano, e per maggior effetto d illusione e per non coprir pressoché al tutto il recitativo del protagonista che sopra vi campeggia. Alle interne grida di - Fenena a morte - Nabucodonosor si scuote, corre alle porte, e, trovatele chiuse, grida Ah! prigioniero io sono - Dio degli Ebrei perdono. - 11 Re è ravveduto, la ragione gli è restituita, il trionfo della religione compiuto; ei s inginocchia e promette al Dio di Giuda di far risorgere [‘ara e il tempio a Lui sacro, sente che V egra mente è rischiarata e promette di adorare ognora questo Dio verace ed onnipossente. Tutto ciò va benissimo: la preghiera è bene intesa, è affettuosa, il cauto maestoso e largo: Ronconi lo tratta con somma delicatezza e vera sublimità. Ma Nabucco sa pure che la sua figlia, la diletta Fenena è già al punto d’essere tratta a morte, ne ha udita la marcia funebre, ne intese le dolorose grida, ed egli può starsi in ginocchioni, in contegno devoto sì ma tranquillo, a ripetere otto versi, che son già più del doppio di quelli che parrebbe esigere la situazione, e parecchi de’ quali con molto largo sviluppo di note sono ripetuti? Sembra a noi che ed il poeta ed il maestro non abbiano pensato abbastanza alla drammatica verisimiglianza: se male non ci apponiamo, il ravvedersi, il ritornare alla ragione, il far voto al Dio di Giuda, e il tentare di schiudere quella porta che gl’impedisce niente meno che di salvare dall’estremo supplizio la figlia, ciò voleva essere tratteggiato grandiosamente ma con rapidi tocchi musicali che dessero anima e colore a pochissimi versi di recitativo, e non più. Ma c’è altro da osservare; la porta finalmente si schiude, e malgrado tutto ciò Nabucodonosor si ferma ancora a cantare la cabaletta, che non è breve, e che in aggiunta é proposta anche dall’orchèstra. Ci spiacerebbe troppo dover supporre che solo scopo di tale controsenso fosse affidare un’aria vestita delle solite forme a Ronconi! Lasciata da un lato la convenienza estetica, diremo che questa cabaletta è svolta con fuoco, Lene interpolata col coro, che dopo il ritornello dell’orchestra, avanti che il cantante l’intuoni, ne traccia la seconda frase alla quarta del tuono. Il pezzo è di bell’effetto, ma lo avrebbe triplo se posto a luogo. Però Ogni nostra inquietudine è vana, perchè in fatto Nabucco, senza darsi fretta ghignerà in tempo a strappar Fenena dalle mani de’ sacrificatori. Una delicata preghiera di Fenena, preceduta dalla marciti funebre già al principio dell’atto accennata, apre 1 ultimo finale, e già Fenena s’appresta a darsi nelle mani de’ carnefici, allorquando compare il protagonista, il quale si rappacifica con Israello, lo ripristina nei pieni suoi diritti, e fa una pubblica e solenne professione di fede nei Dio degli Ebrei. E per soprappiù ci narra anche di Abigaille che impazzì e bebbe il veleno. E qui chiudesi il Dramma con quell’incantevole preghiera a sole voci, la quale è quanto di sentito, di commovente, di armonioso e di grande poteva applicarsi a questa solenne circostanza. La mirabile distribuzione delle parti, la larghezza del fare, la dolcezza, naturalezza e semplicità!» della transizione del re, in sol minore, jd poi in si (j. poi di nuovo a dirittura in Ir re, col ripiglio di quel sempre crescente jl rinforzo di voci guidate dal potente intoÉ narè del Sacerdote sulle parole Immenso Iehova. e che appunto meglio non possono elevarsi all’immensità di Dio, formano di questo brano una vera gemma artistica. Il pubblico ne comprese tutta la portata e poche musiche ricordano un successo di caldo entusiasmo e ad un tempo meritato, come questa invocazione finale. Oltre il concepimento drammatico, gli effetti d’arte, bene tracciali e colla più pura semplicità, vi sono calcolati con tale acume che non esageriamo nel dire che difficilmente può farsi meglio. Le due prime rappresentazioni chiudevansi coll’agonia di Abigaille, la quale era pur trattata con amore, ma come inutile sviluppo dell’azione non otteneva effetto, e perciò lo spartito si termina di presente con questo pezzo d’assieme, nè più solennemente poteva il Verdi dar compimento alla sua bella composizione. Or a voler dare una nuova occhiata complessiva all’insieme della partizione, troveremmo di criticare un abuso esagerato degli unisoni, un troppo frequente impiego di melodie a frasi spezzate, quali sarebbero a modo d’esempio quella della marcia trionfale, quella del crescendo del finale primo, quella del coro de’Leviti nella parte seconda, le quali ripetendosi più e più volte nel dramma, danno un’impronta di ristrettezza nell’idee del compositore che forse è più apparente che reale. Un almso di terzine abbiamo pure riscontrato in moltissime melodie, come quella notata al chiudersi della profezia. Ma alle minute osservazioni che facciamo a questi nei non intendiamo dare gran peso. L’istrumentale nell’insieme è chiaro, elegante e svolto con belle proporzioni. Però ne sembra essere la melodia troppo spesso affidata agli stromenti da fiato e questi di soverchio sovraccaricati. Potrebbe forse condannarsi anche l’abuso della gran cassa. Trovasi infine più volte ripetuto nello spartito una foggia d’accompagnamento nei primi violini che non vogliamo chiamar trillo, e che è infatto di questa forma come n eli’ introduzione che rinit*nu (si viensi pure nell’adagio del primo finale (iigrf/ÈrE P°i nella stretta od ultimo tempo del secondo duetto dell’atto terzo ognuno vede che coll’appigliarsi a così fatte minutezze la nostra critica non è che un tacito elogio al compositore. Per riguardo all’esecuzione, che in notevol parte fu assai debole, porremo giustamente innanzi a tutti il signor Ronconi Giorgio (Nabucco) il quale comprese a perfezione il carattere del personaggio. C! pare tuttavia che nella terza parte potesse fingere più sentitamente lo stato di morale prostrazione cui soggiace il monarca scaduto dalla sua grandezza, perché colpito dall’ira celeste. Ma il signor Ronconi fa prova di mirabile arte nel punto per eccellenza drammatico in cui per l’effetto tremendo del fulmine piombato a rovesciargli dal capo la corona, è preso da violenta turbazione e d’un tratto smarrisce l’intelletto.e deliro cade come fuor de’sensi nelle braccia de’ suoi fidi. Nuovo per noi e proveniente dalle scene da Vi Academie royale di Parigi affiliamo conosciuto nella parte di Zaccaria, il sig. Dérivis. La tessitura della voce di questo artista è di giusto basso: la estensione di essa di oltre due ottave. E cosa notevole che gran parte degli artisti stranieri che sulle nostre scene ci si offrono ci vengano forniti di estensioni vocali delle quali noi a vero dire da alcun tempo in qua non abbiamo esempi!. Sarà forse soggetto di particolare articolo questa osservazione la quale conduce a parecchie interessanti deduzioni. La voce di questo artista è bene proporzionata: è robusta, quantunque non gradevolissima. Abbenchè nel suo tutto eguale, si direbbe che l’artista la emette con fatica, e con incertezza d’intonazione dal fa in quarta riga al do sopra le righe. Lo si direbbe anche dotato di agilità ove ciò volesse dedursi da un punto coronato che egli eseguisce nel pezzo di sua sortila, ove però mal si conviene al grave carattere del levita. La sua pronunzia, abhenchè chiarissima, pecca di esagerazióne, figlia forse della non sufficiente famigliarità che il sig. Derivis sembra avere colla lingua d’Italia. In fatto però egli è da annoverarsi tra gli artisti dotati di intelligenza e di dottrina, i (piali pur troppo sono in più piccol numero di quanto si crede. Solo ci si permetta osservare nell’indole della sua voce una tal quale mancanza di colorito, o per dirlo colla parola usata dal sig. Garcia nel suo Trattato di canto (ri, di varietàdi timbri:; mancanza che dà al suo canto qualche po’di freddezza e monotonia. Ma in questa parte di sacerdote male non si addice, e crediamo che il sig. Verdi durerà fatica a trovare persona che meglio di questo artista sappia interpretarla. La signora Strepponi non si trova nella pienezza de’ suoi mezzi, opperò riuscirebbe inutile ed imperfetto ogni cenno critico sul di lei conto. La signora Bellinzaghi possiede un accentare abbastanza giusto, ma la sua voce in alcuni suoni male sviluppala e di non grande metallo, esige pareti assai meno vaste che non quelle della Scala. Il tenore signor Miraglia è dotato di simpatica voce. La signora Roggeri va ricordata con lode pel suo brillante soprano, che ove non sia spinto di troppo seconda a dovere le’intenzioni del compositore. I cori furono esatti:, l’orchestra diligente. A. M. (!) Di questo nuovo Trattato daremo un dettagliato ragguaglio nei fogli susseguenti della nostra Gazzetta. CRITICA MUSICALE. Cenili tritici sullo SMBAT MATEK «li ISossuvi. (Continuazione e fine (ri). Pezzo VII. Cavatina per soprano 2.°, sulle parole Fac, ut porlern Christi mortem. Questa pare scritta per quella eroina nella quale un famoso filosofo presentò la bellezza ideale, e la fregiò di quanto l’amore ha di più dolce e lusinghevole. Il suo andamento è di andante grazioso; e nel vero, tale è il preludio che la precede, e tutto il seguito sino all’ultima nota. Del pari che la soavità del canto, si ammira in essa il pregio artistico nella condotta e collocazione degli accordi armonici, non (4) Vedi il N.° il della Gazzetta Musicale. il: