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GAZZETTA MUSICALE | ||
N. 12 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
CRITICA MELODRAMMATICA
NABUCODONOSOR, Dramma lirico di T. SOLERA, musicato dal maestro G. VERDI. Innanzi di porci alla promessa particolarizzata rivista del bello e fortunato lavoro del sig. Verdi, ne piace premettere alcune osservazioni sul suo stile, tal quale esso ci si offre in questo Nabucodonosor, sorpassando alle due anteriori sue teatrali composizioni, come lavori troppo imperfetti per un simile esame e neppure arrogandoci di preconizzare quali modificazioni o quale ingrandimento sarà per subire in progresso di tempo; è per ora nostra mira tener conto del solo fatto presente. Lo stile musicale teatrale, se mal non ci apponiamo, vuolsi considerare come il risultato di varii elementi. Anzi tutto sono ad osservarsi la melodia e 1 armonia: poi la loro mistione; in seguito le forme, eoe,., e dopo tutto ciò l’intima colleganza di queste varie parti col concepimento drammatico. La melodia del Verdi si svolge nel tutt’insieme spontanea, fluida, chiara; non mai ricercata, non mai fiorita; considerata per sé sola si offre abbastanza nobile, ma grande quasi mai: però questa grandezza viene raggiunta alcune volte dall'interpretazione della medesima melodia allibata alle masse e condensata in unisono. Ove ci si permettessero i confronti potremmo chiamarla generata in parte da quella di Bellini, però più quieta, meno patetica e passionata; tal che la si direbbe di formazione precedente a quella del compositore siciliano, anziché derivata. Aggiugniamo anzi: essa talvolta ricorda il fare melodico usitato prima di Bossini, e forse lutto lo stile elei Verdi ritrae di quello dell’autore della Nina pazza, l’immortale Paisiello. Però il Verdi ha questo di singolare che molto si vantaggiò di uno special mezzo d’effetto, quello cioè di presentare la sua melodia quasi sempre nuda, senza sfoggio di accompagnamenti, affidato alla retta interpretazione della parola, nel che è egli molto felice, al sentimento ed all’esecuzione del cantante od anche all’effetto della massa. Ne pare poi che con meno amore tratti l’armonia, al qual giudizio siamo indotti dall'osservare com’egli soglia isolarla in certo qual modo dalla melodia. Egli non le affratella pressoché mai o almeno con istento. Sembra che si abbandoni all'armonizzare talvolta più per forza di ragione che per impulso del cuore. La ricercatezza o anche l’eleganza armonica non sono mai da lui adoperale a dar risalto, spicco e varietà alla cantilena. Più tranquillo, come dicemmo, di Bellini, meno artifizioso di Mercadante, meno brillante di Donizetti, il Verdi sembra contuttociò formare un amalgama pur non isvariato, di questi tre stili, ch’egli sa impastare anche con un fare più volte possente, figlio della scuola di Rossini. Da ciò vogliamo in parte dedurre che lo stile del Verdi non si presenta nuovo; né il suo lare semplice e sobrio sembra pur dimostrarne la pretesa. 1 suoi maggiori effetti sono fondati su un tocco di sensazioni dolci, anziché tempestose. Il suo canto è pieno di passione melanconica, ma non tormentosa. Ma bastino questi cenni a dare un’idea del coni e noi tentiamo di interpretare il recondito sentire del compositore, ed a soluzione degli altri articoli componenti lo stile, passiamo senza più all’osservazione del suo Nabucodonosor. Per essere abbastanza noto il soggetto crediamo inutile il far precedere un sunto del melodramma, concepito, come già si accennò, con molto ardire e con forme rapide e non di meno vaste. Il maestro quasi sempre mostrò di aver saputo adeguare la portata dell’ampio soggetto, del che è molto da lodarsi. Serve di proemio allo spartito una sinfonia, che si compone di più brani dell’Opera, vale a dire di reminiscenze d’un coro de’ Leviti della parte seconda, d’un coro della terza parte del dramma a quattro tempi e che qui riducesi in tre, e che l’orma X Andante, sito nel mezzo della sinfonia, parte migliore di questo pezzo e lodevole per ingegnoso giuoco istrumentale che scherza elegantemente intorno all'allei tuosa cantilena. Poi viene replicato il primo movimento, dipoi ricordasi un altro breve coro della seconda parte, per ultimo il bel crescendo della stretta del primo finale. Tutti questi brani sono collegati con sufficiente maestria; e non pertanto, sembra, è poco conservata all’Intero pezzo quell’impronta di unità e quell’austero carattere che si vorrebbero alla preparazione del gran quadro che sta per isvolgersi. L’introduzione che apresi alquanto confusa ed indecisa, rischiarasi e si presenta imponente e ad un tempo commovente e delicata alla devota preghiera in mi delle voci bianche sostenute da un bell’accompagnamento d’arpa. La cantilena si ripete in massa da tutte le voci del coro e a pieno d’orchestra. La soavità e la semplicità della melodia, la netta distribuzione delle parti cantanti, pregio clic ammirasi in tutto lo spartito, e il legame di tulio ciò colla situazione del dramma procacciano a questo pezzo il più sicuro filetto. Abbiamo notalo alla ripresa di questa preghiera l’ingegnoso ed elegante legame che l’anno alle diverse frasi della melodia principale i primi violini con larghi brani di scale diatoniche discendenti. L adagio dell’aria di Zaccaria è svolto largamente e ripetuto dal coro con buon effetto, e la cadenza della cantilena vuol essere notala come nuova. Fu anche filosoficamente interpretalo il cominciamento di questo tempo che non istaccasi che alle parole IV Egitto là sui lidi, mentre un compositore meno concentrato non si sarebbe fatto carico di principiarlo insieme colla strofa del poeta: Freno al timor, ecc. Anche la cabaletta è di buon effetto, ma scade dalla gravità del primo tempo. Forse poteva omettersi. E molto pregevole la melodia del terzetto susseguente e si dilesse con mollo gradito accordo vocale, con giusta condotta. Nondimeno voglia il maestro permetterne un’osservazione. Abigaille parla sotto voce ad Ismaele non senza buone ragioni, ed anche Ismaele per dilicato riserbo s’attiene ad un parlare sommesso. Fenena nulla deve dunque udire di quanto dicono tra essi quei due; il perché, a giudizio nostro, a lei sola voleva essere data una melodia spianata e principale sulle parole: Già t invoco, ecc,, e sotto di essa intrecciarsi dagli altri due interlocutori 1111 parlante rotto e sommesso. Non ne sembra fuori del caso l’addurre qui ad esempio il terzetto della Lucrezia Borgia. Però considerato meramente dal lato musicale il pezzo è bello e con una meno imperfetta esecuzione otterrebbe largo applauso. Il coro che sussegue è lavoro di artistica fattura ed è a commendarsi principalmente per la ingegnosa stromentazione, ricca di belle imitazioni e di elette armonie, sicché nel tutt’insieme esprime con bella evidenza la confusione e lo spavento degli Ebrei alla vicina venula di Nabucco. E Nabucco in fatto si appresenta a cavallo sul limitare del tempio, e preceduto dai soldati non solo ma ed anche dalla banda, la quale là udire una marcia che a buona ragione si guadagnò il gradimento di lutti i nostri dilettanti. Parve ad alcuni severi critici che Nabucco non avesse a poter averne la pazienza di ordinare cosi tranquillo uno sfilamento di tutti i suoi soldati, al suono