prese il desiderio vivissimo di riparare al diletto
della sua educazione. Dotato dalla natura
di indole poetica e persuaso che il solo
istinto artistico non basta a guidare gli ingegni
alle grandi creazioni, ma vuolsi la cultura
dello spirito che lo sviluppi e lo aiuti nei
suoi sforzi, ei si diede con molto ardore
a procacciarsi quell'istruzione letteraria che
a torto tanti moderni compositori reputano
poco meno che superflua al loro stato, il
quale essi considerano di questo modo come
una professione materiale o poco più. Gluck
non aveva la mente cosi piccola, e si
dedicò con fervore allo studio di alcune
lingue viventi non solo ma anche della
latina, si procacciò l’amicizia e la relazione
di parecchi distinti letterati del suo
tempo, e alla loro conversazione ed alla lettura
di molte classiche opere, attinse delle
idee assai più vaste e ardite di quelle che
fino al suo tempo eransi adottate dai pigri
intelletti intorno al grande principio
dell'unione della musica colla poesia. Mercè
le sue dotte elucubrazioni ei non fu forse
tardo ad avvisare come certe arie e certi
pezzi d’effetto cui i compositori italiani
del suo tempo e i loro esclusivi ammiratori
consideravano come il più sublime prodotto
della musica, mentre vantar potevano
il solo prestigio dell’eleganza delle forme e
della soavità della melodia, ad altro non
eran buone che a velicare gradevolmente
l’orecchio o tutt’al più a svegliare nell’animo
delle deboli e inde terminiate emozioni.
Allorché taluno gli faceva parola di qualche
aria di voga che pur dicevasi patetica:
«è graziosa senza dubbio, ei rispondeva;
ma la non è cosa che rimescoli il sangue!»
Riferiamo questo detto di Gluck perchè
ne pare opportuno a tratteggiare l’indole
speciale del robusto suo ingegno e il forte
sentire che lo fece essere lo scrittore musicale
più eminentemente tragico che mai
finora si vanti nei fasti del melodramma.
E noi ricordiamo ancora il fuoco e l’entusiasmo
veramente artistico con cui l’autore
della Norma, il quale un profondo
studio aveva fatto delle partizioni di
Gluck e meditatone l’alto e severo stile,
manifestava il suo culto a quel genio potente
attribuendo al medesimo il merito incomparabile
d’avere scossa dalla sua languida
mollezza la musa dei maestri del
suo tempo troppo facili a blandire il gusto
capriccioso e il sensualismo materiale
della moltitudine. In parte oseremmo dire,
fondati anche sull’opinione di Bellini da
noi non dimenticata, che Gluck indusse
nel melodramma tragico la medesima riforma
cui l’Alfieri assoggettar volle la tragedia
italiana tanto effeminata dai poveri
imitatori del Trissino e del Maffei. Entrambi
richiamar vollero lo stile alla severità
energica, concisa, vibrata che meglio
s’addice alla pittura delle passioni; entrambi,
bandendo dalle forme gli oziosi riempitivi
e i futili lenocinii, non mirarono che a dar
robustezza ai loro concetti e a scuotere gli
animi con impressioni rapide, continuate,
incalzanti. Altri punti di rassomiglianza tra
l’autore dell’Orfeo e dell'Alceste e il grande
Astigiano noi non dubiteremmo di poter
scontrare, se in questi cenni, anziché una
notizia biografica risguardante le artistiche
vicende di Gluck, noi ci fossimo proposto
l’esame della tempra del suo ingegno.
Nelle Opere che Gluck ebbe a scrivere
per l’Italia, ben egli più di quanto si facesse
per lo innanzi si era più o meno
studiato ad esprimere nelle sue arie il
senso delle parole e il carattere delle situazioni;
ma solo in Inghilterra, ove gli
spiriti più riflessivi parvero a lui più atti
degli italiani ad accogliere e comprendere
una simile riforma, accolse il primo pensiero
di una musica veramente drammatica.
E per avventura ei non si ingannava
nel credere che il pubblico cui rapivano
all’entusiasmo le meravigliose bellezze del
teatro di Shakspeare avesse, meglio d’ogni
altro, a comprendere ed apprezzare i suoi
sforzi tendenti ad elevare l’arte musicale
al vero splendore a lei serbato.
E qui non crediamo inopportuno osservare
che i maggiori veramente mirabili sviluppi
del melodramma si effettuarono più
liberi e vennero più prontamente accolti
là dove, per la più perfetta civiltà e cultura
della nazione, gli spiriti erano meglio
educati alle grandi bellezze della letteratura
drammatica. Weber, Beethowen,
Mozart, questi grandi campioni del melodramma
romantico non ebbero mai altrove
tanto plauso come nella patria di Schiller
e di Goethe: Rossini scrisse il Guglielmo
Tell nell’epoca in cui Parigi possedeva
più di mille autori drammatici, tra i quali
Delavigne, Dumas e Vittore Hugo; l’Italia
nostra cominciò a ingiugnere a’suoi compositori
una più stretta osservanza dell'alta estetica teatrale dopo che nauseata
dalle mollezze e dalle assurdità de’ librettisti
metastasiani, educata da Alfieri, da
Monti e da Foscolo ad un forte sentire,
erasi venuta a poco a poco persuadendo
che anche la scena musicale può essere
elevata ad emulare i trionfi della musa tragica.
- Ma tutto ciò sia detto per digressione,
chè il pensiero da noi qui esposto
di volo potrebbe di per sè solo essere tema
a molte e molto importanti riflessioni.
Ora proseguiamo con Gluck.
Oltre le due Opere per iscrivere le quali
era egli stato chiamato a Londra, un appaltatore,
vilmente, avido di mettere a traffico
l’ingegno del maestro da lui prezzolato,
gli ingiugneva di scrivere un cosi detto Pasticcio,
mosso dalla speranza di poter fare
una buona speculazione sul capriccioso gusto
della moltitudine che, a suo credere,
sarebbe stata rapita da quella stolta profanazione.
Ma per meglio comprendere ciò
è duopo avvertire che per pasticcio intendevasi
a’ tempi di Gluck una specie di azione
lirica alla quale si veniano adattando alla
meglio dei pezzi di musica già acclamati in
altre Opere, e tolti da queste senza riguardo
ad altro che al loro merito meramente musicale.
Il perchè Gluck, (il quale forse in
quell’occasione si trovò suo malgrado costretto
dal bisogno di denaro a commettere
quel delitto di lesa arte che a ’dì nostri molti
compositori, ed anche de’ primi, considerano
come la regola ordinaria della loro
professione) scelse da tutti i suoi spartiti
le arie che maggiori e più costanti applausi
aveano ottenuto, e col migliore artifizio che
potè le incastrò nel poema che gli era stato
dato, e che se non isbagliammo versava sulla
favola di Piramo e Tisbe. Se non che,
come avviene talora che dal male nasce il
bene, da codesta specie di atto vandalico
ispirato non da altro che dalle strettezze
del maestro forzato a far olocausto del suo
buon senso alla mercenaria avidità dell’impresario,
si originò in lui la convinzione
più severa defluita importanza dell’arte sua.
Alla rappresentazione dell’ingiuntogli sciagurato
pasticcio egli ebbe a provar meraviglia
forse non disgiunta da un segreto
piacere a vedere come i pezzi che sì grande
effetto prodotto avevano nelle Opere per
le quali erano stati scritti, ne mancavano
al tutto trasportati sopra altri concetti poetici,
e applicati ad una diversa azione. Questo
fatto che ad uno spirito mediocre non
avrebbe detto nulla, fu come un lampo di
luce al forte e meditativo suo ingegno. Ponderandolo
attentamente ei venne a trarne
per corollario quell’assioma dell’arte che
noi al presente consideriamo come vieto e
poco men che comune, ma la cui verità
a’ giorni di Gluck a malapena era sospettata
dai più eletti spiriti, e il volgo ignaro
intravvedeva incerto e dubbioso: vai a dire
che ogni musica per quanto musicalmente
parlando possa giudicarsi bene composta ed
elaborata, perde metà del suo pregio, se
scritta che sia per la scena, non si accorda
nel generale concetto e nell’espression parziale
col senso drammatico della situazione
eli ella deve colorire e degli affetti cui debbe
prestare il suo linguaggio. Da questa prima
deduzione ei scese ad altre di un significato
non meno luminoso; non doversi cioè
sperare di poter dare alla musica tutta la
energia e il prestigio di che è suscettiva
se non se in quanto ella si sposi ad una
poesia animata e semplice che con verità
dipinga de’ sentimenti naturali e ben determinati;
potere la musica mutarsi in un
linguaggio sensibile proprio a ritrarre tutti
i movimenti del cuore umano, ma a ciò
esser duopo che il canto segua esattamente
il ritmo e gli accenti della parola e che gli
stranienti die lo accompagnano concorrano
colla loro espressione propria o a rinvigorire
quella del canto od a contrastare con
essa, secondoché è voluto dalla situazione
e dalle parole".
Intanto la sua già grande riputazione lo
faceva richiamare in Italia. A Roma dava la
Clemenza di Tito e l'Antigone nel 1756;
scriveva la Clelia per l’apertura di un nuovo
teatro; in seguito si trasferiva a Parma ove
produceva Bauci e Filomene, e l'Aristeo.
Nelle Opere or menzionate recò Gluck molto
innanzi la riforma del suo stile. Ogni novella
produzione della sua penna era un passo di
più eli’ ei moveva sulla strada già tracciata
nella sua mente. Però, ben egli sapeva che
indarno sarebbesi adoperato a far compiuta
la meditata rivoluzione musicale, se
non collegavasi alla difficile impresa con un
poeta che sapesse comprendere l’alta portata
de’ suoi pensieri e fosse disposto ad
assecondarlo e avesse la capacità e la dottrina
necessarie a tanfi uopo.
Era egli intimamente convinto che i poemi
del nostro Metastasio, quantunque pieni delle
maggiori bellezze, non solo per quanto è della
poesia, ma ed anco per la verità e vivezza
del dialogo, per il taglio di certe arie e in
ispecie de’ duetti, pure non si prestavano
all’ampio sviluppo dei grandi effetti tragicomusicali
di cui egli credeva suscettivo il
melodramma. E principalmente ci sentiva
la necessità di intrecciare nell’azione i cori,
e anzi appoggiar ad essi gran parte di questa;
persuaso come era che nulla vi ha che
meglio si presti alle grandi e forti ispirazioni
della musica teatrale quanto i sentimenti
manifestati a un sol tratto da una
moltitudine di persone in istato di passione.
Fu ventura eli’ ei si scontrasse col poeta
Calzabigi, il quale, già pensato avendo da
sè alle imperfezioni dell’Opera italiana, prestamente
si penetrò de’ medésimi suoi principii,
e fu oltremodo soddisfatto di poter
giovare ad un compositore il quale si proponeva
di addurre a compimento una clamorosa
rivoluzione in una importantissima
parte delia letteratura e delle Belle Arti.