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da questa descrizione si può scorgere’ facilmente, tranne la ripetizione della prima cantilena, il restante non è che un succedersi di differenti melodie,chiamate l'una dall’altra più dal libero estro che non dalla mira di svolgere il pezzo con artistica condotta. Poniamo innanzi questa osservazione riferibile anziché a questa alle altre composizioni del Bazzini, nelle quali troppo più spesso di quanto vorremmo egli mostra di abbandonarsi in preda al torrente delle idee quali esse si affacciano alla sua fantasia, anziché regolarle coi sani principj dell’arte. Ma ciò noteremo più avanti. Nell’andante suindicato non vi ha fondamento a codesta critica, perchè, sebben lungo, non è tessuto coll’intenzione di offerire un lavoro completo per sé stesso, ma solamente una nobile preparazione al tempo che segue di genere molto leggero e vivace e forse non corrispondente al fare passionato e largo dell'andante che lo precede. Però ad onore del vero è forza confessare che l’effetto di questo andante è il maggiore che si possa desiderare, e che difficilmente, chi ne ascolta l’esecuzione può rattenere i fremiti della commozione che produce. Non esitiamo chiamarlo lavoro di vera ispirazione. Il Rondò a 2 e 4 che accennammo è contesto di elegantissimi, brillanti e graziosamente bizzarri motivi, ove però se ne tolga l’ultimo, accennato dal movimento poco più vivo, e che non è se non se una delle solite tiritere, dalle quali il Bazzini sembra a stento svincolarsi e che forse a lui paiono indispensabili all’oggetto di menarsi non solo il voto degli intelligenti ma anco l’applauso degli idioti. E per vero gettando uno sguardo alle prime pagine di questo pezzo, indi portandolo tosto alle ultime vien fatta naturalmente questa osservazione, la quale deve colpire il medesimo autore solo che osservi di quanto si sia abbassato nel concepimento per l’effimero desiderio di una approvazione che pure ne sembra ben egli avrebbe potuto in altra guisa ottenere. Però tutto questo lungo tempo a 2 e 4 è condotto regolarmente; i canti vi sono bene legati, bene ricordati, ha una costante coerenza di parti, è si svolge brioso e senza il menomo stento. Tale si è questo Capriccio, che pure è meno capriccioso del terzo pezzo di cui ci accingiamo a parlare. La terza Opera istrumentale di Bazzini è dunque un Gran Duetto Concertante per pianoforte e violino. E qui l’autore ci si addimostra anche quale pianista, come lo è in fatto, se non abilissimo, esperto a sufficienza da potere senza tema d’errore conoscerne gli opportuni portamenti e rinvenire degli effetti ben congegnati colle difficoltà. Questo Duetto è il pezzo di Bazzini che va più rigorosamente osservato. O c’inganniamo o dal lavoro di questa sua ultima Opera traspare un’accuratezza ed anzi una cosi ricercata e sottile elaborazione, che dà a ’divedere essere l’opera prediletta dell’autore: la più studiata senza dubbio. Qui notiamo un fare tutto differente da quello che si osserva nelle altre sue Opere, comprese anche quelle per Canto. Essa è a parer nostro, l’Opera di Bazzini la più incompleta e debolmente tessuta nelle forme, ma la più ricca di concetto, di cantilene originali, di ingegnose armonie. Il titolo di Duetto ed anzi di Gran Duetto pone l’osservatore critico in un mare di severe esigenze. In un grande Duetto esigonsi un grande primo tempo, un grande Adagio, un grande Scherzo o tempo di mezzo, o se non questo, almeno un grande Finale. Questa grandezza consta primieramente della lunghezza reale del pezzo, poi della sua forma severamente artistica, vale a dire della economia e coerenza di tutti i suoi membri e della divisione, se vogliamo andar ne’ dettagli. di tutti questi tempi in due parti ben distinte. Così si praticò lino ad ora, e tali sono l’esigenze che alla lettura del frontispizio di questo pezzo si affacciano alla mente. Se fautore pretende ridersi di queste forse per lui troppo vecchie forme, e intende sciogliersi da questi rigorosi principj dell’arte?, noi non vogliamo condannarlo; nulla in tal caso di più facile che cambiare il titolo della composizione: ma se egli persiste a volerne il titolo uguale e cambiate le forme, allora egli deve riputarsi sicuro di presentare un lavoro il quale, abbenchè non serva alle esigenze suindicate, si abbia però un tale merito ili elaborazione da superarle o almeno da eguagliarle. Così non è certamente del pezzo in quistione. Qui ogni forma regolare vi è abbandonata: la così detta condotta vi è talvolta fiaccamente tracciata, tal’altra al tutto mancante. E un succedersi di melodie l’una dall’altra pressoché disparate, quasi senza legame; non è infatti che un Capriccio, una Fantasia, un Improvviso. Fregiato d’uno di questi nomi il pezzo poteva sfuggire le rampogne della critica: intitolato coll’altro è giusto condannarlo. Ei non sarebbe un affare dissimile che un teatro vi annunziasse la rappresentazione di uria tragedia di Alfieri e che all’alzarsi della tela vi rappresentasse un bizzarro dramma francese. Ripetiamo d’altronde che questo Duetto è riccamente sparso di bellezze originali e che fummo allettati così dai pregi della melodia, come in gran parte da quelli dell’armonia, la quale però non sempre pura, nè ben sentita principalmente nell’andamento di alcuni bassi. In complesso in tutto questo pezzo avvi troppo ricamo, troppa ricercatezza di armonia, vi manca bene spesso spontaneità, e quel dolce e disinvolto abbandono di fattura, che è pur la prima prerogativa dei compositori italiani. Ciò detto, ne piace notare nel primo tempo le pagine 10 ed 11 per ben preparata, modulata e grandiosa cadenza. La Romanza che segue può forse mancare della tinta romantica e diremmo quasi declamatoria del pezzo, ma è però elegante e calda di accenti appassionati, carattere distintivo d’ogni cantilena del Bazzini. Le due variazioni che susseguono, una al cembalo destinata, l’altra al violino sono di bell’effetto e variate con ingegnosa e chiara distribuzione di parti e vaghezza di accompagnamento. Il crescendo che segue è pieno di fuoco e l’armonizzare dell’ultimo rigo della pagina 20 e del primo della 21 è oltremodo originale, nobile e poetico. Degno de’ più caldi elogj, si è il motivo originalissimo con cui staccasi l’ultimo tempo, finamente ricamato con somma eleganza e novità d’armonie nell'accompagnamento. Ma quanto meglio poteva essere svolto! L’autore abbandona a poco a poco con fredda ingratitudine questa deliziosa melodia per disegnarne un’altra che è ben inferiore, e per chiudere il pezzo con una meschina e trita progressione di bassi, che per soprappiù nulla ha che fare coll'una nè coll’altra delle due melodie accennate e che toglie così a questo componimento quel carattere di solida unità che avrebbe avuto se svolgevasi con più accurato artifizio. Però asseriamo di nuovo che questo lavoro, se non c’illudiamo, va ricco di belle e grandi promesse, e che il Bazzini meditando i sommi modelli e regolando ed economizzando le sue idee, che sembrano ribellarglisi quasi ed opprimerlo, ha tutte le doti per formarsi un distintissimo compositore e farsi puntellatone della già deperente musica istromentate in Italia. Delle produzioni vocali di questo autore faremo cenno in altro e più compendiato articolo. E parimenti ad altra occasione ci riportiamo per discorrere dei molti suoi meriti quale esecutore concertista. A. M. LA MUSICA IN GERMANIA. ARTICOLO II (1). Dissi nel precedente articolo donde veniva che i tedeschi preferiscano il genere strumentale alla musica vocale; ciò nonjjimporta che quest’ultima non abbia del pari spiegato un progresso, e uno special carattere originato dall’indole di questo popolo e da’ suoi riflessivi intelletti. Giammai però, eziandio nel genere drammatico, che è il più atto ad essere perfezionato, ella non ha raggiunto quel grado di eminenza e splendore ond’è gloriosa la sua rivale. La musica vocale in Allemagna ha dato grandi saggi nel genere sacro, e nelle chiese protestanti, perchè il culto cattolico n’è l’eccezione. L’Opera era divenuta preda del genere italiano. Gli usi e l’apparato del culto cattolico sono stati portati in Allemagna da qualche principe, o gran signore, ed ivi i compositori tedeschi hanno riprodotti qual più, qual meno i modelli dello stile italiano. Ma in vece di questo magnifico apparato d’illusione, il vecchio corale accompagnato dall’organo, e cantato da tutta la comunità, bastava alle antiche chiese protestanti. Cotesti canti, che nella loro nativa purezza ed imponente dignità potevano tanto su cuori retti ed innocenti, sono veramente un frutto naturale del genio alemanno, e la natura del corale ne porta per sè il carattere distintivo. L’amore nazionale del Lied ci si vede in effetto in certe strofe brevi e perfettamente rassomiglianti ad altre canzoni profane, egualmente però consecrate alla espressione di nobili e generosi sentimenti. Ma le ricche e vigorose armonie che servono di accompagnamento alla melodia popolare mostrano in ispecie la grande importanza che gli artisti tedeschi danno alla scienza musicale. Il canto fermo è una delle più importanti creazioni che presenta l’istoria dell’arte, e debbe quindi aversi pel modello di tutte le produzioni musicali della chiesa protestante: valide fondamenta sulle quali la scienza ha eretto uri’ opera perfetta, ed innalzato un vasto e superbo edificio. I versetti furono la prima e più intima cagion di sviluppo della forma del canto fermo. Spesso le medesime arie ne prestavano il tema, ed essi erano in coro eseguiti senza altro accompagnamento. Le più belle composizioni di questo genere sono quelle di Sebastiano Bach, al quale non è (1) Vedi il num. 5 di questa Gazzetta.