istromento a corde pizzicate divenuto di percussione,
prima della metà del secolo XVili,
venne chiamato pianoforte.
Nelle Toccate e partite cTintavolatura
per cembalo pubblicale in Roma nel 1615
dal ferrarese Girolamo Frescobaldi si osserva
che lo stile della musica destinata a
questo istromento cominciò a distinguersi
da quello adoperato ne’ pezzi per organo,
e perciò il Frescobaldi dai migliori scrittori
è tenuto come il capo della prima
epoca musicale per cembalo, e le sue Toccate
verranno ognora additate quali memorabili
monumenti d’arte.-Poco dopo
Bernardo Pasquini, Polarolo, Lotti, Vinacesi
e Casini mostraronsi non meno abili compositori
per organo, che per cembalo. - Gasparini
quindi, approfittando delle invenzioni
de’ suoi predecessori e coetanei, nelVarmonico
piatirò al cembalo, edito nel
’1683, porgendo le regole per formare un
sicuro accompagnatore, stabilì ben anco
alcuni principj di digitazione ed introdusse
adequale norme relative alla cavata di suono.
Egli ebbe il vanto di essere stato uno dei
maestri dell’incomparabile Benedetto Marcello,
che pure ideò varj forbiti squarci per
cembalo, e di aver formato il celebre Domenico
Scarlatti, le cui Lezioni colle fughe,
preclari modelli di musica classica, vennero
ammirate ed imitate in tutta Europa, ed
oggidì ancora con profitto consultansi dai
veri studiosi.
L’eruditissimo Padre Martini, pubblicò
a Bologna alcune difficili sonate di uno
stile originale e pregiate come concepimenti
di un ordine sublime. - Orazio Mei
lasciò in manoscritto de’ concerti e delle
fughe che nella loro novità aggradirono
agli intelligenti. - Verso il 1730 tributaronsi
infiniti elogi a Maria Teresa Agnesi (sorella
della tanto rinomata Maria Gaetana)
la più abile pianista de’ suoi tempi in Italia:
essa dedicò molte applaudite sue sonate
all’Imperatrice Maria Teresa, procacciandosi
grandi onori.-Manfredini, Ruttini,
Boutempo, Gherardeschi e l’aureo Boccherini,
il precursore di Haydn, arricchirono
la musica per cembalo di non pochi
pezzi, ch’ebbero qualche voga presso i cultori
del secolo passato. - Sarti, Galuppi e
più recentemente Paisiello ed altri autori
drammatici, che troppo lungo sarebbe qui
nominare, non isdegnarono rivolgere i loro
studj all’istromento che serviva di fido interprete
alle loro inspirazioni prima che venissero
prodotte in teatro.
Da questa enumerazione di quelli che
fra noi con maggiore o minor successo lavorarono
pel cembalo prima del celeberrimo
Clementi, ognuno agevolmente può convincersi
che in Italia nel XVII e XVIII
secolo non fuvvi penuria di compositori
pianisti. Cordicelli,
allievo dello Scarlatti, trasmise
gli eccellenti precetti del suo maestro a
Clementi, da’ suoi contemporanei onorato
del titolo di Padre del piano forte. Di questo
sommo ILalkbrenner, nel suo giovevole
Metodo, ragiona ne’ seguenti termini clic
noi godiamo riportare, affinchè col savio
giudizio di uno de’ più grandi pianisti alemanni,
i nostri lettori possan esser fatti consapevoli
della superiorità in rapporto alla
musica di pianoforte acquistata da un autore
Italiano.
«Quegli che meglio di ogni altro ha
scritto per pianoforte, ed il quale ha per
così dire tracciato il sentiero che noi teniamo,
egli è Clementi. Nato a un di presso
all’epoca dell’invenzione del pianoforte, e
dotato di un genio superiore, conobbe tantosto
il vantaggio che Irar si poteva da
tale istromento: la sua opera seconda composta
72 anni or sono (1770), attesta ciò
ch’io dico. La seconda sonata in do, il cui
principio è per ottave, e la quarta in la,
sono da sè capi d’opera e fanno chiaramente
scorgere quanto abbia il Clementi
lasciato indietro i suoi predecessori. Le
sue opere più rinomate sono gli Studj o
Gradus ad Parnassum, e le Sonale,
tanto queste che quelli mirabilmente adatti
onde conseguire un perfetto meccanismo
e formarsi ad una buona scuola.
Clementi è il più vigoroso pianista da me
sentito: egli a meraviglia eseguiva le ottave
sebben di braccio; il suo meccanismo nulla
lasciava a desiderare.»
Le composizioni per cembalo che per
lungo tempo erano rimaste circoscritte
ad un genere più o meno legato, in cui
le dita delle due mani spessissimo suonavano
a quattro o cinque parti reali in un
sistema più armonico che melodico e con
un risultato alquanto arido, all’apparire
del romano pianista variarono di carattere,
si svincolarono dalle sofisticherie contrappuntistiche,
acquistarono nell’istesso
tempo maggior dolcezza ed energia, e divennero
ad un tratto più brillanti e cantabili
come si conveniva alle notevoli innovazioni
introdotte negli stranienti, i
quali allora pervennero ad una potenza ed
estensione di suoni non mai prima raggiunte.
Ognuno potrebbe supporre che il nome
ed i lavori ’(eli Clementi avesser dovuto
eccitare molti studiosi italiani a seguirne
le traccie. Tutt’altro avvenne. L’autore
del Gradus ad. Parnassum fra noi non
ebbe molti imitatori-, nel novero di questi,
se male non ci apponghiamo, indicaronsi
solamente un Ferrari, un Luigi Lamberti,
un Agostino Perotti ed un Asioli di
cui più innanzi parleremo, e l’arte del pianoforte
in Italia, dall’epoca di Clementi
a tutta la prima terza parte del corrente
secolo, non contò alcun seguace che abbia
conseguito di accrescere le glorie del proprio
paese presso le oltrealpine nazioni.
Pertanto le opere di Cramer, Dussek. Steibelt,
Beethoven, Weber, Ilummel, Field,
Moscheles, Kalkbrenner, Herz, Czerny, Bertini,
Chopin, ecc., soverchiarono di tal fatta
le scarse produzioni indigene, che, regnandovi
quasi da dispotiche, indussero trascuranza
e disprezzo per le composizioni
de’ nostri pianisti, i quali certamente sarebbero
meglio riusciti se il pubblico colle
lodi li avesse incoraggiati e se ogni sorta
di lucro non fosse stato conteso alla maggior
parte di quanto essi pubblicarono.
Infatti l’illustre Asioli, che all’età di otto
anni aveva già composto e suonato varj
concerti, ed a cui devesi un compiuto Metodo
per clavicembaloBasily e Soliva forse
avrebbero potuto emulare i più insigni autori
esteri, se a preferenza si fossero applicati
a scrivere per pianoforte. Lanza,
Negri e Trevani si sarebbero innalzati a
più onorifica meta se, per trarre qualche
profitto dal loro ingegno, non avessero dovuto
consumare le intere giornate a dar
lezioni. I pochi quantunque ottimi lavori
pubblicati dal Manna non bastarono per
dare speciale fama al nome ed alla patria
di lui. Se si vuole potrebbero pure nominarsi,
Giorgetti pe’ suoi sestetti, Calegari,
Colla Gordigiani, Andreatini, Matthey, Borgata,
Macario ed altri de’ quali ora non
ci sovviene. L’esimio Fauna, Cerimele e
Corlicelli nell’ora scorso decennio furono
i più fortunati: le loro opere vennero dai
nostri dilettanti ricercate ed alcune ben
anco ristampate in Francia ed in Germania;
così dalle loro fatiche avessero potuto
ricavare un congruo utile!
Non deve tacersi di Pollini il quale pel
lungo suo soggiorno in Milano, e per aver
qui composto e fatto pubblicare tutte le
sue opere, quand’anche di origine alemanna, potrebbe quasi esser ascritto fra gli
italiani pianisti che fiorirono poco dopo
Clementi. Lo stile di Pollini è puro, legato
e sempre accurato: nelle composizioni
di lui trovansi spesso eccellenti brani a
varie parti distribuite con singolare maestria.
Questo chiarissimo autore si rese assai
benemerito all’arte pel suo diligente
Metodo, adottato da tutte le scuole d’Italia.
Eccoci finalmente all’epoca in cui la musica
di pianoforte da Talberg e da Liszt
venne portata ad esser simultaneamente melodica
e brillante, ed insieme forte di variati
accompagnamenti, spingendola ad un
punto tale di difficoltà e di complicazione
da sembrare che oramai due sole mani non
possano più bastare ad eseguire l’inestricabile
sciame di note da cui sono piene
zeppe le nere pagine de’ più recenti pezzi
per pianoforte, ed eccoci eziandio all’epoca
nella quale i nostri pianisti già conosciuti,
come per esempio Fauna, raddoppiarono
i loro sforzi e cambiarono di maniera per
uniformarsi alle esigenze della giornata, ed
in cui si osservarono non pochi giovani
italiani entrare animosi nell’arringo pianistico,
producendo de’ pezzi che per effetto,
se non per originalità, potrebbero gareggiare
colle applaudite fantasie in questi
ultimi anni a noi pervenute da Parigi
e da Vienna. Primo tra questi si è Dohler,
come tutti sanno, nato ed educato a Napoli,
non solo per la sorprendente sua esecuzione,
ma ben anco per le belle sue
produzioni posto nel rango delle sommità
del pianoforte, ora più festeggiate in Europa.
Di esso abbiamo già ripetutamente
parlato in questo stesso giornale. Devonsi
poi encomiare il conte De Alberti, e GamLini,
i quali, dilettando sè stessi, riescono
di soddisfazione e giovamento a coloro che
ricorrono alle scelte loro pubblicazioni; e
a titolo d’incoraggiamento si ama far menzione
del torinese Unia, allievo di Ilummel,
di Maglioni, Fontana, Magazzari, Fasanotti,
Croff, Sangalli ecc., per finire con Golinelli,
precipuo scopo di questo articolo.
Is. C.
(Sarà continuato)
CRITICA MELODRAMMATICA
BIAWCA lil BEEMOSTE, tragedia
lirica del sig. A. Cvrozzi, musicata
dal giovisie maestro Big. Carlo Imperatori.
(’Milano I. It. Teatro alla Scala, la sera del TI corr.J
Fallaci opinioni dominanti in fatto di
generi e scuole musicali. - Spirito
d’esclusione dannoso al progresso
dell’arte. - Applicazioni, ecc.
Il poco felice esito di questa Bianca di
Behnonte fu da taluni attribuito all’avere
voluto il giovine maestro farsi seguace, nel
suo primo saggio melodrammatico, di una
scuola musicale al tutto contraria alla italiana,
sia nelle forme, sia nel concetto. A
nostro giudizio questa opinione è doppiamente
erronea, ed è figlia di un pregiu