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sullodato suo stile, il quale è ancora ridente di tutta la freschezza della gioventù. Le picciole traccie, che ne dà la Biografia dicendo che Pier Luigi avea colto il carati eie del vero bello, che i suoi canti sono puri, la maniera nobile e magnifica, sono colori veridici, non ci ha dubbio, ma troppo vaghi. Ragion voleva che si desse qualche ragionata analisi di alcune delle sue composizioni, almeno dell’unica Messa di Marcello, mostrando in essa la differenza della sua maniera propria di un Italiano di sentir dilicato e forte, da quella degli autori Fiamminghi inorriditi nei labirinti del contrappunto. Mostrando in qual modo egli abbia concepito e trattato lo stile ecclesiastico nel quale riluce tutta la sublimità della sua mente e la bellezza del suo cuore angelico, e su cui è fondata la sua fama immortale. Dovevasi mostrare come egli si proponesse nelle sue musiche sacre di essere preciso e stringato, com’egli volesse che fossero facili ad intendersi, e facili del pari ad eseguirsi, ma sempre nobili, elevate, onde soddisfaceva mirabilmente ai requisiti della scienza, nella quale si fa conoscere a ninno inferiore, ed insieme usava una sobrietà senza pari, non però tale da non permettersi forse una frase vuota, comune o riempitiva, ed oltre a ciò osservava nelle voci l’andamento più semplice e naturale del pari che le armonie e le modulazioni. Sono poi tanto più mirabili le eccezioni, le quali usa raramente, ma sempre a tempo come le ispira il vero genio; toccando all’improvviso con mano gagliarda le corde della sua cetra, ne trae suoni singolari, arditi, non più intesi. Egli è cosa inconcepibile, come il Paleslrina produca effetti straordinari con pochi accordi, talvolta con un solo, o con una innalzata de’ bassi che montano non di rado anche sopra i tenori. E inutile il dire che tutte le sue composizioni sono lavorate per sole voci cantanti, (perchè allora non si usava altra musica che la vocale) ed in istile legato, ma con una facilità e libertà senza pretenzione alcuna, come tutta venisse da sé, e non potesse essere altrimenti, lo che sembra veramente un incanto. Là dove l’espressione richiede cantilene dimesse e melanconiche, come nelle Lamentazioni e nei Miserere ecc., non sono queste d’una tristezza effeminata, o di un affettato sentimentalismo, e così pure ne’canti di giubilo, l’energia delle sue frasi non trascende mai all’appassionato, perchè egli non dimentica la dignità del soggetto religioso che tratta, nè quanto debba a sè stesso un maestro conscienzioso. Se l’analisi delle sue opere diventa un continuo panegirico, mi appello al giudizio di tutti i più profondi conoscitori, che le hanno esaminale, se ciò si debba ascrivere ad una preoccupazione d’entusiasmo per l’autore, ovvero alle stupende loro bellezze. Si avverta però che queste sue opere non si vogliono legger soltanto, ma couvien sentirle eseguite in un vasto tempio e da numeroso coro, e particolarmente dai cantori ponlificj nella Cappella Sistina con quella ammirabile unione, con quella perfezione d’arte che eccita la meraviglia di tutto il mondo musicale, ed appunto di questa esecuzione sarebbe stata cosa bella ed importante il fare alcun molto nello schizzo. Tutti i viaggiatori ne parlano in esteso, e ci dipingono coi più vivaci colori le impressioni che desta negli animi quella musica della quale così scrive il già encomiato Baini: v Sia de’nostri, sia strati niero, sia colto, sia barbaro, sia libero, o «schiavo di qualsivoglia passione, ognuno tt riconosce a quel puro linguaggio, a quei «puri accenti, si perfettamente modulati, «le voci dell umile preghiera dovuta alti 1 Unte Supremo, e tutti si compongono, «e si commovono, e non manca chi triti buta eziandio con contento la sua lati grima di divozione all’efficacia di quelle «celesti armonie.» DELL’ISTROMENTAZIONE. (tontimm emione (i). Il trombone è, per mio avviso, il vero capo di quella razza di strumenti da fiato che io ho chiamati epici. Egli possiede di fatto l’ultimo confine di elevatezza della nobiltà e della magnificenza; egli ha tutti gli accenti gravi o forti della sublime musical poesia, dal riposato e grave accento religioso, sino a’forsennati clamori del baccanale. Dipende dal compositore di farlo di tratto in tratto cantare come un coro di sacerdoti, minacciare e gemere cupamente, mormorare un funereo responso, intuonare un inno di gloria, intronare di orribili grida, o tuonare il poderoso suo squillo per risvegliare i morti a vita e portar la morte ai viventi. Si trovò modo però di renderlo vile un frent’anni, fa costringendolo al servile raddoppiamento inutile eridicoio della parte dei contrabbassi. Questo sistema è oggidì pressoché abbandonato, ed è pur gran mercè.Ma in molti e molli spartiti, d’altronde assai belli, si può vedere la parte de’bassi quasi costantemente raddoppiata da un solo trombone. Non si può dare cosa più pedestre e meno armoniosa di questa maniera d istromentazione. Il suono del trombone è di tal guisa sui generis che egli non deve mai essere inteso se non a produrre un effetto speciale ed a sè.’ il suo officio non è dunque quello di rinforzare i contrabbassi, col suono de’ quali il suo timbro non ha punto nè tanto che fare. Oltre a ciò, bisogna convenire che un solo trombone in un’orchestra sembra sempre più o meno mal collocato. Questo strumento ha bisogno dell’armonia, od almeno, dell’unisono degli altri membri della sua famiglia, acciocché le sue diverse virtù possano manifestarsi completamente. Beethoven l’ha alcuna volta impiegato simultaneamente colle trombe; ma l’uso invalso di scriverlo a tre parti mi pare da preferirsi. Y hanno quattro specie di tromboni, ciascuna avente il nome della voce umana alla quale si assomiglia pel suo timbro e per la sua estensione. Il trombone soprano, più piccolo e più acuto di tutti, si ha in Germania; in Francia non è conosciuto; nè quasi mai è stato adoperato negli spartiti de’grandi maestri; la qual cosa non sarebbe una ragione perchè ivi non si dovesse introdurre tosto o tardi, nè certo è che le trombe a chiavi eziandio le più acute possano vantaggiosamente supplirvi. Gluck solo, nel suo spartito italiano l’Orfeo ha scritto il trombone soprano sotto il nome di cornetto. Egli gli ha fatto raddoppiare la voce del soprano del coro, mentre che il trombone contralto, tenore e basso raddoppiano le altre tre voci. 11 trombone contralto s’estende presso a poco di due ottave e mezzo, togliendosi (1) Fedi i fogli b, 8, 10, 19, 21, 25, 26, 27, 32, 38, Il 39, il e 48. dal do o dal si sotto le righe (in chiave di contralto) sino al fa sopra. 11 suo timbro è un poco stridulo in paragone di quello de tromboni più bassi. Le sue note inferiori suonano assai male; onde tanto più è ragionevole Io evitarle quanto che queste note medesime sono eccellenti nel trombone tenore, dal quale il trombone contralto nell’orchestra non va mai scompagnato. I suoni alti come il si, do, re, mi, fa, possono essere al contrario utilissimi, onde è a lamentarsi che il trombone contralto sia oggi sbandito da tutte le orchestre di Parigi (eccetto quella solamente dell’Opera Comica). Il trombone tenore è il meglio di tutti. Egli ha una forte e piena sonorità; può eseguire passi che per la loro rapidità non si confarebbono al trombone basso, e la sua estensione è maggiore di quella degli altri tromboni. Egli può, togliendosi dal mi naturale sotto le righe (chiave di basso), ascendere facilmente sino al si bemolle sopra (chiave di baritono), ed anco al si naturale, al do e al re, secondo il valore del suonatore, badando però che nello esigere dallo stromento queste note acute non si pretenda che egli sia costretto a pigliarle togliendosi dalle basse che mal preparano le labbra a poter cavare gli acuti. Esso comprende tre ottave a un dipresso. È buono avvedimento quello di non iscrivere (nell’orchestra) il trombone tenore più alto del si bemolle. Nè qui sta solo la ricchezza di questo stromento. Oltre alla lunga scala che egli può cromaticamente percorrere, possiede ancora, all’estremità inferiore, quattro poderose e magnifiche note dette peduli, pi r cagione della loro rassomiglianza colla sonorità delle più basse note dell’organo: esse sono molto difficili ad essere bene scritte, e non sono conosciute eziandio da molti esecutori. Queste note sono: si bemolle, la, la bemolle, e sol sotto le righe (chiave di basso), e per conseguente sotto l’ultimo do basso del violoncello. Esse sono separate dal resto della scala per mezzo di una lacuna che consiste nelle cinque note intermedie si, do, do diesis, re e mi bemolle, le quali mancano affatto. Le vibrazioni delle note pedali sono lente e addimandano assai d aria: bisogna dunque, perchè possano escir bene, dar loro una ben lunga durata, farle succedersi lentamente, e intramezzarle di pause die facciali luogo alla respirazione del suonatore. Egli si vuol por mente altresì die il pezzo ove esse sono adoperale sia generalmente scritto assai basso, perchè le labbra dell’esecutore si dispongano - per gradi alle profonde intonazioni. La miglior maniera di prendere i pedali è di fare sul primo (si bemolle) un salto di quinta o d’ottava togliendosi dal fa o dal si bemolle superiore; poscia, dopo aver dato luogo ad una respirazione, passare, discendendo cromaticamente al la e al sol diesis (il sol naturafle è il più difficile d’una estrema rozzezza e d’una emissione durissima). In questo modo, in una messa da Requiem moderna, l’autore ha trattato queste tre note, e sebbene alla prima prova della sua opera degli otto suonatori di trombone che dovevano farle sentire, cinque o sei avessero gridato che non era ciò possibile, gli otto si bemolli, gli otto la e gli otto sol diesis ne sortirono non di meno pienissimi e giustissimi, e per opera di alcuni artisti che non avevano mai tentato di cavarli dallo stromento nè credevano anzi che queste
note esistessero. Ita sonorità delle tre note