mine della scomunica, la quale non fu scagliata
giammai contro la musica nè da Papa
Marcello, che nel brevissimo suo regno di
solo 22 giorni aveva ben altro da pensare
che alla riforma del canto ecclessiastico,
nè dal Concilio di Trento, non facendone
cenno nè il Pallavicini, nè il Sarpi. Dosso
ebbe però il vanto di evitare nella sua
composizione tutti quei difetti non solo
che la sacra Congregazione voleva emendati,
ma di arricchirla pur anche con sinolar
magistero di tanti pregi di genio, e
i tutto ciò che caratterizza le inspirazioni
religiose, onde anche dopo tre secoli viene
la stessa, al pari di tutte le altre sue opere,
ammirata qual prototipo della vera musica
e del canto ecclesiastico. Probabilmente
si valuterà assai più il merito di aver saputo
appagare un illustre Consesso di Padri,
i quali dovevan essere nel giudicare la musica
tanto più rigorosi, in quanto che avevano
a risponderne al Concilio Universale,
a fronte di quello di soddisfare al gusto
di un solo Mecenate, che quantunque fosse
Papa non ho però mai sentito che dovesse
essere infallibile nelle cose musicali. Ed
apprezzo tanto più la loro approvazione
perchè unita al concorde voto di tutti gli
intelligenti e de’compagni del Palestrita,
i quali secondo il solito non saranno stati
sì facilmente scevri d’invidia, nè molto lontani
dal desiderio di criticarlo.
Nella mia raccolta trovo registrato il
nome di quel Fiammingo che ammaestrò
il nostro Palestrina nei più reconditi misteri
del cantrappunto, e non gli diede
già alcune lezioni di musica o piuttosto
di canto fermo, perchè in quel tempo non
essendovene altro diverso, tutti coloro che
si dedicavano alla nostra arte, ne venivano
istruiti. E ben meritava tale straniero di essere
nominato, perchè era quel Gondimel,
compositore di primo ordine, capo scuola
e maestro della Cappella Pontificia, di tanta
bravura e fama che quasi lutti gli scrittori
di allora cercarono d’imitarne lo stile, e
se Palestrina e Nannini se ne staccarono,
riputarmi pur sempre a loro gloria di essere
stati suoi allievi.
E bensì vero che lo stile di tutti i Fiamminghi
veniva sopraccaricato di troppi artifizj.
Quello di Gondimel però era più castigato.
Non si pensava che ad accozzare
nelle composizioni le più disparate combinazioni,
e seminarvi ammassi d’insuperabili
difficoltà, per lo che, intrecciate nei
loro perpetui giri, le sacre parole non potevano
essere intese... Bla non fu questa
la sola decadenza della musica ecclesiastica;
il signor Sevelinges dovea recarne in
mezzo delle altre. Già nella determinazione
dianzi mentovata della Congregazione dei
Cardinali per correggerne gli abusi, se ne
trovano ben indicate alcune, e particolarmente
quella mescolanza di lascivo ed impuro,
indegna non solo, del tempio del Signore,
ma anche di tutte le persone oneste.
Gravi scrittori di que’ tempi ascrivono
pure l’accennata decadenza alla soverchia
delicatezza di diminuzioni, di abbellimenti
leggieri, di passi veloci, saltellanti, istigatori
delle passioni, e convenienti soltanto
al teatro ed ai balli. Non sembra forse
ch’essi parlassero della musica di Chiesa
dell’età nostra?
Altri ancora, come Vincenzo Galilei,
padre del gran Galileo, il Doni, ecc., scagliavansi
contro l’uso scandaloso di scegliere
per temi delle composizioni sacre
le più contraddicenti parole. Ho notato;
alcuni di questi modi che si devon chia- j
mar non soltanto ridicoli, ma vere aberrazioni
di mente, simili a quelle di cui abbiamo
avuto esenuno in qualche secolo
anche nella poesia. Per esempio mentre uno
cantava Kyrie, l’altro diceva: Resurrexi
et adhuc tecum suni alleitija; e questi
gridava Osanna, e quegli ripeteva Fili
matri deplangenti. Bla ciò che è molto
peggio vi si associavano, come si disse, parole
profane, prese da canzoni, e talvolta
oscene Così avvi una messa di Hobrecht
in cui si cantava col primo Kyrie
- Te ne vis oncque la pareille; nel Christe,
boa te/nps: nel secondo Kirie, on le trouveres;
nel Sanctus; gracieuse gent; nelY
Osanna, je vous dis le secret de mon
coeur, e nel Benedictus, Madame, faites
moi savoir, ecc. ecc. Le cantilene di codeste
canzoni servivano ai maestri per
istamparvi sopra, a così esprimermi, gli
artifizi contrappuntistici coi quali eredevasi
di poterne scusare l’inconvenienza e
lo scandalo. Oltre a ciò era in voga una
maniera di espressione musicale affatto
singolare. Si tingevano costantemente le
note di quel colore che esse significavano;
se le parole dicevan tenebre, caligine, usavansi
note tutte negre; se dicevano luce,
sole, porpora si dipingevano di rosso, se
erbe, campi ecc., le note eran verdi. Ma
basti di queste bizzarrie, che se a noi sembrano
scempiaggini, erano in que’tempi tenute
per arguzie d’ingegno, come il segnar
sulle carte invece delle note e delle pause
certi fiori e fronde bellissime, e cento altri
indovinelli tutt’altro che spiritosi.
Avrei qualche altra cosarella da dire intorno
a quella Laurea in musica ed a quel
corso della parte letteraria e storica della
stessa, di cui si è parlato nelle poche righe
che precedono lo schizzo biografico.
Non solo ai tempi di Burney, ma vuoisi da
alcuni sino da quelli di Alfredo il Grande
che instituì la cattedra di musica in Oxfort,
e per lo meno da quei di Giacomo II,
si creavano de’ baccelieri e dottori in quest’arte,
ma l’esame non si faceva nella parte
letteraria, bensì nella teorica e pratica. Si
avrebbe anche potuto prenderne l’esempio
da una scuola Italiana, voglio dire da quella
di Bologna, ove si usava da lungo tempo,
e si usa ancora presentemente,di sottoporre
coloro che vogliano ottenere il diploma di
maestro ad un rigoroso esame, dovendo
essi all’improvviso elaborare un pezzo a
4, o 5 parti su di un dato canto fermo.
Haydn allorquando fu coronato colla laurea
dottorale in Inghilterra non ebbe a sostenere
dispute accademiche intorno al primo
inventore della musica nella China, o presso
gli Indi? egli ottenne quel distintivo
con un semplice seerzo musicale. Bla parlare
a’ nostri genj (e tali si credon ora tutti
quelli che si danno alla composizione) di
lezioni letterarie mi sembra una chimera,
una proposizione dannata - non pochi di
loro non si curano neppure di quelle del
contrappunto, e ciò che era stimato il capo
lavoro dell’arte, (voglio dire la fuga) è per
essi un rancidume, Un gotticismo.
In Germania sonovi in varie Università
de’Professori stipendiati dai governi, onde
facciano discorsi pubblici sulla filosofia e
sulla storia della musica; ma si può presumer
forse che siffatte scuole verrebbero
frequentale per un pezzo in alcune delle
nostre città? Se simile addottrinamento ve- i
nisse aggiunto alla parte teoretica dei pubblici
Conservatorj di musica, ove gli allievi;
sarebbero costretti di assoggettarvisi, ciò
potrebbe a parer mio tornar di sommo prò- |
fitto. Sarebbe bello il sentir ragionar filosoficamente
della musica, facendo nel tempo
stesso eseguire le grandi composizioni di ogni
genere, di ogni scuola, di ogni epoca, come
fece il consigliere Rocklilz a Veimar, ed il ©
professore Fétis in varie accademie date al
Conservatorio di Parigi, nella quale cantò
anche il nostro celebratissimo Giambattista
Rubini.
Ma prima farebbe di mestieri che questi
monumenti dell arte esistessero ne’ nostri
archivj. E qui mi conviene contraddir
con vero rammarico, poiché si tratta di ciò
che non ridonda a gloria degli Italiani, ma
la verità mi è più sacra di ogni cosa, qui
mi conviene contraddir nuovamente al letterato
francese scrittoi- di quell’articolo, ove
dice «che le opere del nostro Palestrina
«si conservano religiosamente in Italia, e
«sono sfortunatamente pressoché scono«sciute in altri paesi», giacché pare a me
che la bisogna vada al rovescio.
Choron in Francia nella sua scuola di
canto e di musica ecclesiastica fece di freuenle
ed in pubbliche accademie eseguire
a’ suoi allievi le opere di Palestrina, anzi
ne procurò la stampa di alcuni pezzi - dunque
ivi si posseggono! Nelle Corti e nelle
Cattedrali cattoliche della Germania, come
a dire in quelle di Blonaco e di Vienna
si cantano durante la Quaresima e Biotetti
e Salmi e Stabat Mater e Lamentazioni, ecc., dunque ne sono in possesso -.
Persino nelle scuole musicali di Lipsia e
di Berlino, e nelle molteplici unioni di canto
de’ paesi protestanti se ne eseguiscono tratto
tratto, si raccolgono, si ristampano, si trovano
ne’ vari negozi di musica anche al
giorno d’oggi, dunque, ecc.... Gli Inglesi
del pari le ascoltano nella famosa Accademia
della musica antica; ed i loro viaggiatori
quando le sentono eseguite in Roma
nella Cappella Sistina, rapiti da tante sfolgoranti
bellezze, ne comprano a caro prezzo
le edizioni antiche e le copie di esse. Dunque,
ecc.
Bla... e l’Italia? - In Roma sì che vengon
conservate e sfortunatamente fors’anche
con troppa gelosia: vengono pure conservate
in Bologna, ma dicesi che stien
sepolte nella Biblioteca del Liceo. Altri
Conservatorj non le posseggono (è questa,
ardirei dire, una specie di trascuranza irreligiosa),
nè in alcuna accademia d’esercizio,
nè in alcuna adunanza privata se ne
sente nota - A’ miei tempi usavasi almeno
di cantare i salmi di Marcello. E quasi non
esito ad affermare che non ve ne son pochi
fra i nostri compositori di Chiesa a cui le
opere di Pier Luigi Palestrina non sieno
terre incognite, e forse a taluno potrebbe
riuscir nuovo anche l’aneddoto deila Blessa
di Papa Blarcello.
Perchè mai non fece il Sevelinges nemmeno
un cenno di un eminente merito del
Palestrina, da cui venne alla nostra Italia
una gloria esclusiva? Parlo della famosa
scuola ch’ei fondò dapprima solo, poscia
insieme con Nannini, e la diresse in modo
che da essa uscirono lutti i compositori
della Cappella Pontificia, ed in una serie
non interrotta di uomini sommi si mantenne
mai sempre tutto il magistero dell’arte
nella imitazione del suo stile, che anche
oggidì chiamasi stile alla Palestrina.
Ragion voleva che in un articolo in cui
trattavasi di uno di quegli ingegni che de- <5
von formar l’orgoglio della nazione, di un
maestro sì grande che segnò un’epoca tanto
luminosa nei fasti della musica, venissero
maggiormente rilevati i pregi singolari del