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peri che la medesima rimanga sempre presente al pensiero, nel che consiste propriamente la tanto raccomandata unità. Siccome però il non intrattenere la mente che in una unica idea produrrebbe monotonia e noja, qualora non si presentasse la medesima con sempre nuove forme e associata a idee secondarie che le diano rilievo, e tengano desta l’attenzione, così si scorge non dovere 1 unità escludere la varietà, come vedesi in che questa propriamente consista. Tale è strada segnalaci dai più grandi in ogni genere d’arti. Leggete il Furioso del divino Ariosto e vedrete come tutte le immense fila di quella gran tela concorrano allo scopo eli ei si è prefisso, l’esaltazione dell’eroismo cavalleresco e quello della Casa d Este, per mezzo della geneologia, o per meglio dire 1 eccitamento a nobili imprese della medesima famiglia per mezzo dell’emulazione degli avi. Leggete il Goffredo di Tasso e vi troverete un’immensa varietà nell’unità di scopo, e fra i moderni leggete i Promessi Sposi del nostro Manzoni, e lo troverete seguace de’ grandi esempi. L’unità e la varietà convengono non meno alle arti immobili, poiché se la varietà desta interesse e attrae l’attenzione, l’unità la raccoglie, e fa che più facilmente s’intenda e più profondamente si risenta l’idea dell’artista. L’unione di questi due principj è poi ciò che forma l’armonia nel suo più ampio senso, non meno che nel senso particolare con cui l’intendiamo nell’arte nostra, la quale armonia non si può meglio definire che per la perfetta concorrenza della parti a far intendere un tutto. Se in un paesaggio rappresentante un sito umido e paludoso avrà il pittore fatto scelta di un cielo ingombro di nubi, e sparsovi le muffe, i giunchi, e le piante analoghe con una certa squallidezza nelle macchiette, avrà ottenuto l’armonia. Ma se è facile al pittore o statuario, al poeta od oratore lo accorgersi se esista nella sua opera l’unità, non così lo è pel musico scrittore e lo vediamo tutto dì nei primi saggi dei compositori novelli. Crediamo pertanto non inutile il determinare a quale degli elementi di quest’arte misteriosa più si addica il conservare l’unità, o l’introdurre varietà. XL1V. Prendiamo a considerare le opere dei buoni maestri, massimamente nel genere ìstromentale o nella musica sacra, e non dureremo fatica ad accorgerci siccome alla melodia ed al ritmo affidarono l’unità traendo la varietà dalla modulazione e dal contrappunto. E ciò perchè la melodia e il ritmo sono gli elementi che più si distinguono, e si attraggono l’attenzione, come quelli di cui si forma l’argomento del discorso musicale che noi diciamo motivo. E sebbene questo motivo ritragga non poca parte del suo carattere dal tono, tuttavia vediamo col fatto che non si tarda a riconoscerlo fra i ravvolgimenti della modulazione, comechè traslatato a toni di diversa natura. Nè senza ragione l’idea principale di un musicale componimento fu detto motivo, prendendo da questa le mosse lutto il discorso: chè anzi dal medesimo usarono i grandi maestri desumerne tutto il tessuto, spezzandolo, in frasi, in gruppi ritmici, e componendo con tali frazioni nuovi canti, passi d’arte, ed episodii ed accompagnamenti (6) tale artifizio usalo con gusto e senza impronta di stento riesce sempre di buon effetto, e tenendo ferma nella mente la ricordanza della prima impressione, le dà sviluppo ed estensione, mantien vivo l’interesse, e viene a costituire il dramma di un all’etto, di una passione. Ed ogni pezzo di musica debh’essere appunto un vero dramma per riuscire interessante,- cioè deve preparare un affetto, seguirlo nelle sue modificazioni, svilupparne la catastrofe, e toccare gli affetti secondarii da quello cagionali e valevoli a farlo meglio risentire (nel die consiste il vero episodio). XLV. Non si creda però che con questa legge dell’unità si voglia inceppare sovverchiamente il genio astringendolo a troppo angusti confini. All’unità deve accoppiarsi la varietà ed in quel modo islesso che al poeta non disdice abbandonarsi talvolta al dominio della propria immaginazione, non disdice neppure al musico spiegare ardito volo, e trasportare l’uditore a respirare altre aure sotto |iiù caldo Cielo. Queste sono anzi bellezze di primo ordine che però non è dato all" artista di creare che in quei momenti di entusiasmo in cui, piena la mente e il cuore del suo soggetto, esiste intieramente in quello, insensibile all’influenza delle realtà che lo circondano. In quei beatissimi momenti ogni fibra è commossa por lo affetto: chi oserà richiamarlo da quell’estasi? Chi dettar leggi al fe rvido immaginare? Che il più religioso silenzio regni intorno a lui... Egli pon mano all’opera, egli esprime la piena del suo cuore, qual meraviglia s’ei poggia sublime: ■ E muove col pensier l’empireo tutto». E allor che dir puossi: Est Deus in nobis, e che la miglior filosofia è quella di abbandonarvisi intieramente. Ma oltre al non potere l’artista sempre ch’ei vuole riscardarsi a tal segno, questi momenti durano di rado quanto basta ad un intiero lavoro-, die è il bisogno istesso di afferrare l’idea che passa, il tempo sempre troppo lungo di fissarla colla matita o colla penna, richiamano l’artista dall’estasi-, nè è poi sempre facile il riaccendersi al medesimo grado nel medesimo affetto. Che fare allora? Conviene chiamar l’arte in proprio soccorso, e coi dettami di questa sviluppare quelle poche idee che il genio dettò, disporle, condurle, farne un tutto. Talvolta anche accade che, mentre si medita su di un’idea, se ne scoprono meglio le bellezze, e il partito che se ne può trarre, e la mente concentrata in quella meditazione a poco a poco si riscalda di un fuoco, che se non giunge all’entusiasmo è per compenso più durevole. Allora allo scrittore, se fu educato a buona scuola, se ha bene studiato i buoni modelli, se ha fatto veramente sua l’arte, la filosofia sarà soccorrevole, trarrà l’ottimo partito delle sue idee, e sentirà con giustezza i limiti entro cui lo ristringe quel memorando precetto. li e quid nimis, limiti che il solo buon senso può additare, e che perciò sì facile è oltrepassare. XLVI. Egli è qui da osservare una distinzione necessaria fra i diversi generi di musica a proposito appunto dell’unità, poiché se è vero che questa conviene a tutti i generi, è vero altresì che deve intendersi in diverso grado secondo lo scopo di ciascuno. Si è detto l’unità arrestare in qualche modo la somma fugacità delle impressioni, e facilitare la classificazione dei sentimenti dalla musica espressi. Ognun vede dunque di leggeri doversi applicare con diversa proporzione nella musicale composizione, secondo che trattasi di soli istromenti, o di musica vocale, e questa ancora doversi distinguere nei due generi sacro e drammatico. La musica Ìstromentale non ha parola che la dichiari, ogni pezzo deve dunque proporsi un unico affetto, un tema unico. Ogni salmo, ogni inno, ogni preghiera della Liturgia non contiene per lo più che un solo sentimento o la contemplazione di un dato mistero. Oltre a ciò la lingua ne è molto men generalmente intesa. Questi due generi richiedono dunque maggior unità e intrinseca potenza musicale che il genere drammatico il quale, oltreché dichiarato da una lingua più nota, giovasi ancora e della scena, e della personificazione dei soggetti, ed ha poi per primo e principal dovere di seguire le modificazioni e il passaggio dall’uno all’altro all’etto che la progressione del dramma presenta. L’unità del dramma, per quanto riguarda la musica, deve consistere in una certa uniformità di stile, che intiero Io abbracci, e nel carattere particolare di ciascun personaggio che il musico deve al pari del poeta conservare anziché nel ritorno dei medesimi motivi. Ciò che diciamo del dramma cantato s’intende del pari del dramma mimico, sebbene il linguaggio dei segni sia men chiaro (7>. Abbiamo infatti esempi bellissimi (specialmente del celebre Mayr) di opere in cui ben pochi motivi sono ripetuti, nè il sono che quei pochi i quali cadendo sui punti principali dell’azione e di più risentito affetto, era ragionevole di fermarvi l’attenzione dell’uditore. In tutti gli altri generi le idee principali debbono ritornare e ripetersi, altrimenti l’esperienza ne dimostra che il loro effetto è pressoché perduto. R. Bouchei on. DELL’ISTROMENTAZIOXE. ARTICOLO Vili. (Fedi i fogli 5, 8, 10, 19, 21, 25, 26, 27, 32 e 38;. Rossini nella caccia dell’atto secondo del Guglielmo Teli, ha avuto l’idea di far eseguire un tratto diatonico a quattro corni in mi bemolle all’unisono. Ciò torna molto originale. Quando si vogliono così riunire i quattro corni, sia sopra un canto sostenuto, sia sopra una rapida frase che richiegga indispensabilmente fuso de’chiusi suoni e degli aperti, meglio è senza comparazione (fuor solamente se si tratti d’uria idea derivante dalla differenza medesima e disuguaglianza di questi suoni) mettere i corni ili tuoni differenti-, le aperte note degli uni, compensando così la poca sonorità delle chiuse che a quelle corrispondono presso le altre, ristabiliscono l’equilibrio, e danno all’intera scala de’ quattro corni una tal quale omogenea convenienza ed unione. Così mentre che il corno do dà il mi bemolle (chiuso), se il corno in mi bemolle dà il do (aperto), il corno in fa il si bemolle (aperto), e un corno in si bemolle basso il fa (meno aperto), da questi quattro differenti timbri risulta un quadruplo mi bemolle di ottima sonorità; e si vede che quasi altrettanto è per essere delle altre note. Un vantaggioso trovato per l’uso di un corno, del che un solo esempio io conosco, consiste nel fare che tre o quattro corni in differenti tuoni si succedono nell’esecuzione di un solo cantabile. Ciascuno d essi pigliando così nella frase quelle note che corrispondono a’suoi aperti suoni,