due in un tuono e due in un altro, oppure
a metterne i due primi in un tuono,
il terzo in un altro e il quarto ancora in
un altro; lo che tornerà per avventura più
comodo e gradito all’effetto. Potrà finalmente
mettere i quattro corni in quattro
differenti tuoni, e ciò sarà da praticarsi in
que’ casi in cui altri voglia solamente servirsi
de’ suoni aperti. Pel tuono suddetto
di la bemolle ciò potrebbe farsi, ponendo
il primo corno in la bemolle, il secondo
in J’a, il terzo in mi naturale, e il quarto
in do. In questo mezzo, pochi accordi vi
sarebbero ne’ quali non potessero essere
introdotte quattro o tre od almeno due
note aperte dei corni. Ma quando si voglia
(siccome il senso comune detta) servirsi
lodevolmente delle buone note chiuse e
delle aperte insieme, basta scegliere un
tuono pe’due primi corni, un altro pel
terzo, ed un altro pel quarto. D’altra
banda il genere di frasi più o meno melodiche
che debbono essere eseguite dai
corni a due o tre parti, la natura delle
modulazioni, gli effetti da prodursi nel
corso d’un pezzo e la forma degli accompagnamenti,
debbono principalmente considerarsi
dal compositore ed essergli guida
nella scelta de’tuoni ove piantarei corni. Egli
bisogna altresì guardarsi di scrivere i differenti
corni in maniera uniforme, dando
a’ tuoni acuti, per esempio, un’estensione
in alto che solo è accessibile ai gravi tuoni,
e scrivendo pe’tuoni gravi, certe successioni
di rapide note nel basso della scala,
le quali (rispetto alla lentezza delle vibrazioni)
non possono ottenersi che in un
movimento più lento, o sopra un tuono
alto. Si dee altresì sino a certo segno considerare
il mal vezzo che tuttavia regna fra
molti esecutori di dividersi in suonatori di
primo corno e suonatori di secondo corno,
come se si trattasse di due stromenti diversi.
Gli uni si servono d’una imboccatura
o bocchino stretto che ajuta 1 emissione
delle note acute ed hanno tanta
facilità a montare quanta difficoltà a discendere;
onde per essi non bisogna punto
contare quanto alle note dell’estremità inferiore:
questi sono i primi corni. Gli altri
colla loro larga imboccatura, troppo penano
a montare, ed agevolmente riescono nelle
note gravi; a loro sono da affidarsi con
sicurtà i pedali sul sol, il conira-do, e il
contra-sol, bassi: e questi sono i secondi
corni. Da ciò si pare che torna meglio,
quando si pongano in atto più tuoni in
una volta, affidare i tuoni acuti ai primi
corni e i tuoni gravi ai secondi. Un altro
avvedimento non guari avuto da molti compositori
(di che meritano biasimo) è quello
di guardarsi dal far cambiare all esecutore
nel pezzo medesimo un tuono alto assai
con un tuono de’ più bassi, e viceversa.
Al suonatore di corno è d’incomodo, per
esempio, un subitano passaggio dal tuono
di la alto a quello di si bemolle basso:
nè col mezzo che si ha oggidì di quattro
corni nell’orchestra dee mai capitare necessità
di dover ricorrere a cangiamenti così
disparati e lontani.
Io porto opinione che nessuno maestro
abbia saputo trarre dal corno un partito
più originale, più poetico e nel medesimo
tempo più compiuto di Weber. Ne’ suoi
tre capolavori, Oberon, Erjanthe e Freyschiitz,
egli fa loro parlare un linguaggio
mirabile e nuovo, che Meliul e Beethoven
soli si direlibono avere appena compreso
prima di lui, e Meyerbeer, meglio degli
altri, mantenuto in tutta la sua purezza.
Di tutti gli stromenti d’orchestra quello
che Gluck meno bene scriveva era il corno:
solo che un’occhiata si dia ad una delle
sue Opere può agevolmente vedersi quanto
poco valesse in questa parte: bisogna però
ricordare come tratto di genio le tre note
del corno che imitano la conca di Caronte
nell’aria d’Alceste» Caron Cappelle!»
Sono dei do di mezzo, resi all’unisono
dai due corni in /’e; ma l’autore avendo
imaginato di fare abboccare le due campane
l’una contro l’altra, ne viene che
esse si servono a vicenda di sordina l’una
all’altra e che i suoni intersecantisi pigliano
un accento lontano ed un timbro cavernoso
di un effetto strano e drammatico quanto
si possa imaginai’e. Io credo però che Gluck
avrebbe ottenuto il medesimo intento col
medio la bemolle chiuso, di due corni
in sol bemolle. Ma forse a que’ tempi gli
esecutori non erano abbastanza sicuri di
pigliare somiglianti intonazioni, e l’autore
ben fece a ricorrere al singolare mezzo da
lui usato per smorzare e rendere lontani i
più aperti e arditi suoni del corno in re.
(Sarà continuato).
NOTIZIE VARIE.
— Milano. 11 sig. Dcssane, di recente si generosamente
encomiato dai giornali di Genova e Torino, quanto prima
si produrrà in una pubblica accademia per farci udire
un nuovo istromento già da qualche tempo conosciuto
in Francia sotto il nome di Melofono, e che ivi ottenne
la piena approvazione di molti insigni maestri, fra cui
basti nominare un Cherubini, un Aubcr, un Paer, un
Halevy. Chi desiderasse esser informato delle particolarità
e de’ pregi del Melofono può ricorrere al N. 14. di
questa stessa Gazzetta, o meglio intervenire al concerto
del sig. Dcssanc, a cui fra noi auguriamo l’esito ottenuto
nelle capitali dello Stalo Sardo.
— Bologna. Domenica 21 scorso agosto in una amena
villa, ad un quarto di miglio da Bologna, fuori di Torta
Castiglione, goduta dal maestro Gioachino Rossini, clic
pochi giorni prima era stato insignito da S. ài. il Re di
Prussia del nuovo ordine del merito, alcuni suoi affezionati,
per festeggiarne il giorno onomastico nelle ore pomeridiane
lo sorprendevano con varj trattenimenti. Consistevano
questi nell’ascensione di un gigantesco globo
areostatico e nella accensione di bellissimi fuochi artificiali.
Poscia da un eletto numero di professori mediante
acconcia riduzione, da stromenti da flato in giardino cseguivansi
le incomparabili melodie colle quali il gran
maestro vestì l’Inno - Stabat Mater. Giovanni Andrò,
celebrato professore di fagotto, ne è stato il riduttore, e
quanto bene egli siavi riuscito non è a dirsi, imperciocché
sì grande ne fu l’effetto, tanta la precisione, sì ingegnoso
l’adattamento delle parli vocali e l’intreccio
degli accompagnamenti, che l’illustre autore ne rimase
soddisfattissimo c gli ascoltanti, in gran quantità colà
accorsi, compresi furono da indescrivibile diletto, e trasportati
da entusiasmo più volte proruppero in strepitose
acclamazioni ed in prolungali evviva, tutti facendo voli
che il genio senza uguali voglia dotare l’Italia di nuovi
insuperabili lavori e per lungi anni possa vivere felice.
— Firenze. Nell’istesso giorno 2t dalla Società che
porta il modesto nome di Conversazione Musicale, in
una delle Sale dell’Accademia delle Belle arti in Firenze,
eseguivasi da circa centoventi parti fra dilettanti e professori
il rinomalo Oratorio - Cristo sull’Oliveto - di
Beethoven, il quale ne’cori di questa sua composizione
trasfuse le meraviglie della sua immaginativa e delia sua
dottrina. Kell’esecuzione in pieno soddisfacente si distinse
il tenore sig. Olimpo Mariotti, abile dilettante.
Nella successiva domenica poi il già famoso cantante
Nicola Tacchinardi volle prodursi in un trattenimento
musicale dato nel Salone annesso alio stabilimento Goldoni.
Il registro della sua voce ora non è più di tenore:
cantò il duetto della Beatrice Tenda e quello dell’Elisir
di Amore colla signora Irene Secci, giovane dotata dì
bella c forte voce, in ispecie in questo ultimo duetto
generosi applausi gli vennero tributati; in fatti le intenzioni
gaje di Donizetli furono da lui con spirito espresse.
Nell’istessa accademia si ammirarono il valente suonatore
di arpa Marcucci, ed il Corazzi bravo allievo del
Cavaliere Giorgetti, il quale con un zelo il più lodevole
in Firenze dirige una pubblica scuola di violino che gode
molta riputazione ed in quanto a giusto maneggio e regolare
portamento di arco in Italia a nessun’altra è seconda.
— Leggiamo nella Gazzetta Musicale di Parigi:
■ Rossini che colla nota sua schiettezza suol dire di
non volerne più sapere dì comporre, e che ride seco
stesso all’udire i suoi editori vantare il suo Stabat come
una produzione degna di essere messa a Iato al Guglielmo
Teli, Rossini al presente dedica i suoi ozii a rigenerare
i Conservatomi eli Italia.» Crediamo dover notar due
cose in queste poche righe: se è vero che Rossini rida
seco stesso de’ suoi editori perchè pongono lo Stabat
al Pjlro del Guglielmo Teli, non riderà già perchè ei
creda che tra le sue due partizioni corra troppo divario
di merito, ma perchè gli parrà da pigliarsi in
ischerzo il bello spirilo di chi vuol paragonare tra essi
due capolavori di indole tanto diversa che la menoma
approssimazione appare tosto assurda. Poi osserviamo
alla Gazzetta Musicale di Parigi clic è vero bensì che
Rossini si occupa con sufficiente zelo di alcune riforme
nella direzione del Liceo musicale di Bologna, ma per
nulla affatto egli ha clic fare cogli altri Conservatorii di
Italia, i quali se anche abbisognassero di essere rigenerati
non vedrebbero la necessità di ricorrere al grande
maestro. Voler far un merito a Rossini col supporre
ch’ei renda all’arte di cosi fatti servizi, è più che altro
un far torto alla grandezza del suo genio; ovvero è un
modo mollo fino e diremmo quasi astuto di rimproverarlo
del suo proponimento di non più occuparsi a scrivere
pel teatro.
— Si è ultimamente pubblicato a Parigi un opuscolo
intitolato Exposition ilu sgstème de l’écrihtrc musicale
chiffrie, di certo signor Joule. É scopo di questo scrino
una radicale riforma della attuale notazione alla quale
il dotto signor Jeule vorrebbe sostituire uria notazione in
cifre arabiche o numeri, idea non punto nuova, coni’è
nolo, ma che pure l’autore presenta con qualche sua
particolare modificazione. Ci sarebbe da empire un grosso
volume, dice un foglio francese, ove si volessero analizzare
i diversi saggi di questo genere che si sono fatti
da cento anni in poi, e che lutti andarono falliti. Tutti i
sistemi di nuova segnatura proposti in sostituzione delle
note illuso caddero dinanzi l’impossibilità di servirsene
pei pezzi complicali. Quello del signor Jeule pare destinato
alla sorte medesima.
— TI conte Mortimero di Maltiahn, ministro di Prussia,
agii affari esteri, durante una lunga indisposizione di salute,
si occupò di comporre dei pezzi di musica clic dali
alla stampa ebbero molta voga: «È raro, dice un giornale
tedesco, vedere un uomo di slato impiegare di questo
modo i proprii ozii forzati, e la Prussia può vantarsi
d’avere forse la prima offerto un si bell’esempio di
eccezione».
— Ti Monde Musicale si lagna forse a ragione, clic
la nuova direzione del teatro italiano di Parigi, avendo
fallo proporre una scrittura a Rubini, gli mettesse per
patto la rinunzia ad alcune parti importanti del suo repertorio
come quelle della Lucia, della Sonnambula,
del Pirata, de’Puritani. Rubini ricusò di assoggettarsi
a questa condizione, probabilmente per non volere ricomparire
ad un secondo posto sopra uno teatro ove per
tanto tempo brillò come astro primario. Però non possiamo
acconsentire a quanto dice il prenominato foglio
clic lasciando a Rubini fra le altre, la parte di Don
Giovanni, nell’Opera di questo nome, sia un limitarlo
all’impiego di tenore leggiero. La parte di Don Giovanni
è di tanta importanza, sia musicalmente, sia drammaticamente,
che con essa sola può un artista procacciarsi
la più splendida celebrità, ove sappia debitamente
investirsi dello incomparabili ispirazioni di che è ridondante
quel capolavoro mozartiano.
Il detto giornale aggìugne le seguenti parole:
«D’alcun tempo in qua dello voci assurde da noi
già smentite continuano a spandersi, intorno alla pretesa
alla croce d’onore, che si attribuisce a Rubini.
Rubini è uomo troppo ragionevole e savio per aver voluto
imporre, come si dice, questa condizione al suo
contralto; Rubini sa dei pari che la croce d’onore non
si dà se non se agli artisti che definitivamente rinunziarono
a comparire sul teatro».
— Dresda. La gran festa vocale ebbe luogo nello
scorso mese d’agosto, alla quale prendevano parte circa
570 cantanti, fra cui anche un deputato dell’Unione de’
Cantori di Francoforte sul Meno. Il primo giorno fu dedicato
alla gita sull’Elba. 35 gondole ornate festivamente,
distribuite in 7 divisioni (la prima, composta di cinque
gondole era l’unione de’ Cantori di Dresda; la seconda
era quella di Gottleub, la terza della Bassa Elba, la
quarta dell’Erzgebirg, la quinta del Voigtland, la sesta
della Lusazia, la settima quella de’ contórni di Dresda)
veleggiavano a Blascvitz e Loschwitz, eseguendo una
serie di canti eccellenti. Nel secondo giorno, circa 350
cantori si recarono alla pianura di Plauen ove, distribuiti
in varj luoghi, facevano risuonare i loro canti, e
quelli eseguiti sui monti produssero un magnifico effetto.
Trattali a lauta mensa dal sig. barone Burk, tornarono
lietamente a Dresda. Il miglior ordine regnò in
questa festa.
— Salisburgo 5 seilcmbre. La prima giornata della
festa di Mozart è passata, e ci lasciò in dietro una sublime
impressione. S. ài. l’Imperatrice madre, LL. MM.
il ile e la Regina di Baviera col principe Luilpohl ed
ambe le principesse Ildegarda c Alessandra, arrivati da
Berehtesgaden, furono testimonj dei momento dello scoprimento
della statua del Maestro, il cui nome qui è
sulle labbra di tutti e svolazza sur ogni vessillo. Il nobile
ed illustre arcivescovo Ladislao Pyrkcr c’inviò già
da Monaco un saluto festivo con un inno popolare, il
quale messo in musica dal maestro Ncukomm, venne
cantato alle 10 di sera presso l’illuminato monumento
di Mozart. Alle ore II il corteggio colle torcie accese
recossi al convento di S. Pietro’, ove abitava il canuto
patriarca, e vi ripetevano un’altra volta l’inno.
(Dalla Gazz. Univ.)
GIOVAMI RICORDI
EDITORE-PROPRIETARIO.
Dall’I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato
di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale ili GIOVAMI RICORDI.
Contrada degli Omenoni IV. 1720.