viaggio ella si ricondusse a Salisburgo, ove
restituito alla quiete della vita ordinaria
il futuro autore del Don Giovanni potè
riprender gli studil di composizione sotto
i dettami del padre suo. Le principali opere
di Handel portate da Londra e quelle di
Sebastiano Bach furono i suoi modelli classici; più tardi aggiunse a questi anche diverse
composizioni degli antichi più stimati
maestri italiani, nelle quali imparò senza
dubbio la preziosa arte di far cantare le
parti in modo facile e naturale perfino nelle
più complicate combinazioni*, e questo lu
in Ini un pregio che gli avrebbe assicurato
un incontestabile superiorità sui compositori
tedeschi di tutte le epoche anche nel
caso che il suo genio fosse stato meno elevato.
Sul finire di questo stesso anno 170/ la
famiglia Mozart fece un secondo viaggio a
Vienna, ove Wolfango allora in età di dodici
anni, suonò di pianoforte alla presenza
di Giuseppe II e tanto lo stupefece, così
pel merito dell’esecuzione come per quello
della composizione, che ebbe a dargli incarico
di comporre la musica di un Opera.
Il giovinetto maestro accettò 1 impegno e
scrisse la Finta semplice che ottenne 1 approvazione
di Ilasse e di Metastasio 0).
Guarito da una breve malattia subita a
Olmutz tornò Wolfango a Vienna ove tutto
l’anno 17G8 si occupò a scrivere molta musica
da Chiesa e per piano, e a dar 1 ultima
mano all Opera-già cominciata. L anno susseguente
ei lo passò in patria ove attese ad
imparare la lingua italiana nell’intenzione di:
fare un viaggio nella nostra Penisola. E in
fatto ei la percorse e non è a dire se trionfalmente.
Verona, Mantova, Milano, Fi-;
renze, Roma, Napoli lo udirono e lo am-!
mirarono. Un entusiasmo che non è sì facile
a suscitarsi altrove come ne paesi
meridionali, lo accolse dovunque. I poeti lo
cantavano ne’loro sonetti e nelle loro odi,
delle medaglie si coniavano in suo onore,
le accademie gli spalancavano le loro porte,
e i più dotti maestri delle severe scuole di
Bologna e di Roma riguardavano attonite
al suo ingegno (-). Ei non aveva compiti per
anco i quindici anni, e l’antifona a quattro
parti <3) da lui scritta per il concorso dell’Accademia
filarmonica era riputata degna dei
bei giorni di Paleslrina, e il musico più
erudito d’Italia, il padre Martini, lo chiamava
illustre maestro; egli non aveva compiti
per anco i quindici anni e udito due
sole volte il Miserere dell’Allegri gli bastò
per scrivere a memoria quel celebre pezzo
del quale era proibito estrar copia; egli
non aveva compiti per anco i quindici anni
e il più gran compositore drammatico del
tempo, Adolfo Ilasse, sopraddetto in Italia
il divino Sassone, dopo aver udito il suo
Mitridate e la cantata Ascanio in Alba,
non esitava ad esclamare «Questo fanciullo
farà dimenticar tutti noi» e il fiore della
popolazione di Milano radunata nel vasto
teatro della Scala gli gridava trasportata
d1 ammirazione: Evviva il maestrino!
(1) Il signor Fólis tace nella sua biografia che quest’opera
non potò rappresentarsi a Vienna.
(•2) A Roma, colla mediazione del Cardinal Pallavicini,
il giovinetto Mozart venne insignito del diploma di Cavaliere
dello Speron d’oro. Però, sebbene delia sola età
di quattordici anni, ci comprese che il più eletto suo distintivo
sociale era il suo medesimo talento, e non voiie
mai decorarsi dell’insegna, ottenuta senza ch’egli personalmente
ne facesse domanda.
(3) Questa Antifona tenne riprodotta dai Pott. Lichlentha!
nel pregevole suo opuscolo di recente pubblicato
col titolo Mozart e le sue Creazioni. Di questo opuscolo
avremo a giovarci nel proseguire la presente biografia.
Da detta Antifona valse a Mozart il grado di membro
dell’Accademia filarmonica di Bologna e di Maestro
Compositore.
Citi voglia osservare le composizioni di
Mozart scritte da lui fino a tutto questo
primo periodo della sua vita, le giudicherà
specialmente notevoli pel poco rapporto
che esiste fra il merito di esse e la adolescente
età dell’autore. Se già vi si rileva
in generale uno studio profondo dell’armonia
e del contrappunto, se dalle fresche
ed eleganti sue melodie e dal sì caratteristico
colorito della sua musica torna impossibile
non ravvisare in lui un1 organizzazione
piena di genio, è pur giuocoforza
convenire che tutte le composizioni da lui
prodotte fino a questa epoca riflettono
d’assai la imitazione delle Opere de’ suoi
grandi modelli, i Bach, gli Haendel, gli
Ilasse. Ma è ormai per lui vicino il giorno
in cui la sua mente, acquistando il vigore
necessario a spiccare voli suoi proprii, farà
pompa della più ricca originalità di ispirazione
e vestirà forme nuove e darà vita
a uno stile mirabilmente classico nella stessa
libertà e varietà de’ suoi sviluppi. B.
(Sarà continuato)
DELL’1STROMENTAZIO NE.
ARTICOLO VII.
(fedi i fogli 5, S, IO, 19, il, 25, 26, 37 e 32/
Il corno è uno stromento d’indole nobile
e melanconica; tali però non sono il
suo timbro e la sua sonorità che egli non
possa riuscire in ogni genere di pezzi. Egli
si fonde agevolmente nel ripieno armonico;
e il compositore eziandio più mediocre,
può a suo agio adoperarlo ed assegnargli
una parte che torni gradila quasi senza
avvedersene.
Il corno ha due maniere di suoni mollo
fra loro differenti, i suoni aperti i quali
spontaneamente escono dall’istromento senz
altro mezzo o trovato che quello delle
labbra e del fiato dell1 esecutore, e i
suoni chiusi che si ottengono turando più
o meno colla mano il buco della campana.
Gli antichi maestri sortosi generalmente accontentali
dimettere in opera i suoni aperti;
e questi scrivevano, bisogna pur dirlo, assai
puerilmente. Beethoven medesimo è grandemente
riservato nell’uso de’ suoni chiusi,
quando non tratti il corno in solo) gliesempj
nella sua orchestra assai rari ne sono, e
quando pur v’abbia ricorso, quasi sempre
gli è per ottenere un effetto risentito: onde
possono notarsi il la bemolle grave del terzo
corno in mi bemolle, nello Scherzo della
Sinfonia eroica, e il /à diesis grave del secondo
corno in re nello scherzo della Sinfonia
in la. Questo sistema è certo incomparabilmente
migliore del contrario metodo
adottato oggidì dalla più parte de’ compositori
francesi e italiani, il quale consiste
nello scrivere i corni come si fa i fagotti
e i clarini, senza aver considerazione alla
differenza grandissima che v’ha fra i suoni
chiusi e gli aperti, e del pari fra certi suoni
chiusi e certi altri, senza punto badare come
sia malagevole all’esecutore il pigliare una od
altra nota ove quella che la precede naturalmente
non l’agevoli e spiani, senza considerare
la difficoltà di ottener precisione,
e la poca sonorità, o il rauco suono di
cattiva intonazione che si lia dal chiudere
per due terzi o tre quarti del buco della
campana; e senza finalmente essere da tanto
di supporre che una profonda conoscenza
della natura dello stromento, il gusto e il
buon senso possano aver che fare alcun
poco coll’uso de’ suoni che questi maestri
scolari gettano così alla inconsiderata nell’orchestra.
La grettezza degli antichi è
da preferirsi a questa profusione. Per cagione
di un effetto speciale non si scrivono
altrimenti i suoni chiusi, e quando
ciò pur si faccia, bisogna almeno causare
quelli che danno troppo debole suono
e troppo diverso da’ suoni naturali del
corno. Il mi bemolle, il la naturale, il
si naturale, di mezzo, il fa diesis di
mezzo (preparato da un sol)., il fa naturale
di mezzo (preparalo da un sol o da
un mi), il re bemolle di mezzo (preparato
da un do) il si naturale basso (preparato
da un do) il la bemolle, il fa diesis e il fa
naturale basso (preparati da un sol),’ il
la bemolle alto (preparato da un sol) debbono
bastare all’uso de’corni nell’orchestra.
Gli altri suoni chiusi, come il re bemolle
e il re naturale sopra le righe; il
la naturale basso, il si bemolle basso e il
la bemolle di mezzo, non dovrebbono mai
èssere adoperati come note di ripieno, ma
Solamente per cagione di ottenere effetti
comportati dal loro timbro sordo, rauco
e selvaggio. Per un disegno melodico nel
quale acì ogni patto si convengono queste
note, io non indicherei da potersi usare
che il la bemolle di mezzo. 11 si bemolle
basso è stato scritto una volta da Weber
nella scena del Freyschiilz in cui Gaspard
congiura Samiel; ma questo suono è di
tal sorte chiuso e per conseguente di tal
sorte sordo che punto non si sente; nè potrebbe
altrimenti farsene caso se non quando
l’orchestra tutta si tacesse ed egli solo rimanesse
alla scoperta. Così il la bemolle
di mezzo scritto da Mcyerbeer nella scena
delle monache del Robert le Diahle, quando
Roberto s’avvicina al sepolcro per carpirne
il ramo incantato, attrae l’attenzione così
viva solamente in grazia del silenzio di
lutti gli altri strumenti; e intanto questa
nota è assai più sonora clic non il si bemolle
basso. In certe scene di silenzioso
orrore può ottenersi grandissimo effetto da
queste note chiuse messe a più parti: Meliul
è il solo (per me) che n ha tratto partito
nella sua Opera Phrosine et Mélidore.
La famiglia di questo stromento è completa.
Egli ci ha de’ corni in tutti i tuoni,
come che il contrario sovente si dica. Quelli
che sembrano mancare nella scala cromatica
si ottengono per mezzo di una giunta
che abbassa lo stromento di un mezzo
tuono. Noi abbiamo corni forniti di lutti i
pezzi in si bemolle in do, in re, in rnibemolle,
in mi naturale, tu fa, in sol, in la bemolle,
in la naturale, in si bemolle alto, e in do
acuto; ma, apponendo l’aggiunta ai tuoni
di si bemolle e di do basso, si ponno
avere quelli di la basso e di si naturale,
e per questo mezzo medesimo tramutare
il tuono di re in re bemolle (o do diesis)
e il tuono di sol in sol bemolle (o fa diesis).
Ora quantunque le antiche orchestre solamente
avessero due corni, oggi i compositori
tutti ne scrivono quattro. Nel primo
caso, quantunque s’abbia ricorso a’ suoni
chiusi, le risorse dello stromento saranno
assai limitate, quando si tratterà di uscir
modulando dal tuono onde è il corno piantato;
nel secondo caso invece, quando ancora
non si vogliano impiegare che i suoni
aperti, collo scambio de’pezzi che costituiscono
i tuoni ciò è agevole a farsi.
Laonde in un pezzo scritto, per esempio,
in la bemolle, il compositore può
impiegare quattro corni nel medesimo tuono;
ma meglio farà ancora a metterne