se non quando il senso poetico delle parole
il comporti, il che per altro accade
ben di rado.
Venuto Alessandro alquanto in vecchiezza,
poco più scrisse di cose profane
e solo attese a comporre per Chiesa, nè
mai lasciò il suo prediletto suono dell arpa
nel quale fu sempre valentissimo esecutore:
e attesta il Quanz di averlo udito
a suonare in principio dell anno 17i;U, che
fu anche quello della sua morte: alla quale
si sottopose il di 2-4 ottobre dell anno
medesimo, con gran compianto de suoi
discepoli e di tutta la città. Fu dato onorato
sepolcro alle sue spoglie nella cappella
de’ Filarmonici palatini dedicata a
santa Cecilia nella Chiesa de’soppressi Carmelitani
di Montesanto, ove ancora si legge
un pomposo epitafio latino che tutte commemora
le virtù dell’illustre defunto.
Il cav. Domenico Scarlatti, figlio di Alessandro,
riuscì eccellente compositore e del
pari che suo padre valentissimo suonatore
di arpa. Dimorò in Venezia, in Roma ed
in Madrid ove ammaestrò nella musica la
principessa delle Asturie che fu poscia regina
di Spagna. Sono ben note le sue suonale
per cembalo, alcune cantale, e il
dramma la Merope. Morì egli nel 1757.
Ancora Giuseppe Scarlatti, figlio di Domenico,
nato in Napoli intorno all’anno
4718 riuscì buon compositore e molti
drammi italiani serii e burleschi pose in
musica pel teatro di Vienna ove morì nel
1776. Il suo stile molto è lodalo per grazia
e facilità.
C. Melimi.
CRITICA MELODRAMMATICA
I. R. TEATRO ALLA SCALA
OSSERVAZIONI VARIE.
Nel Giuramento di Mercadante, riprodotto
dopo tre o quattro anni sulle scene
della Scala, e infelicemente riuscito per
cagioni che vano ora sarebbe l’enumerare,
si è distinto il tenore sig. Guasco. Egli è
lodato per un porgere naturale, scevro di
affettazione e di manierismo nell’espressione
degli affetti, e nondimeno a sufficienza
sentito, ed ove la situazione il comporta,
caldo ed animato. Nei modi di canto
del sig. Guasco, dotato di buona e omogenea
voce di tenore ch’1 egli non guasta
con isforzi di cattiva scuola, è anzi tutto
gradita una tal quale spontaneità che non
lascia scorgere nè la fatica né lo studio. A
questo scopo debbe tendere principalmente
ogni arte consecrata al diletto e alla
comozione. Un altro pregio del sig. Guasco
è 1 intonazione, alla quale egli è fedele
per abitudine; che se talvolta qualche voce
non gli esce precisamente misurata, non è
egli certo l’ultimo ad accorgersene, come suol
troppo spesso accadere anche a molti cantanti
che si dicono o sono detti di primo
cartello; non è egli l’ultimo ad accorgersene,
dicevamo, e tosto se nè raddrizza ed
impedisce così que’ tremendi effetti che
suol cagionare l’imperturbabilità e la perseveranza
del cantare stonato, venuto sì bravamente
di moda ai nostri gloriosi giorni
musicali. Ci par singolare cosa di dover
compartire elogi ad un primo tenore della
Scala per la buona intonazione! è uno stesso
come se lodassimo un valente letterato già
autor di lodati scritti, perchè sa bene l’ortografia, ovvero perchè non inciampa nella
sintassi grammaticale!
La buona e sicura intonazione dovrebbe
essere il primo elemento di chi comincia
a far prova di sè nel canto al cospetto
del pubblico; al modo stesso che il primo
elemento di un ballerino è il saper star
ben ritto e in bilico sulle gambe. Siamo
sicuri che il sig. Guasco è deila nostra opinione,
e forse sorride in sè dell’importanza
che abbiam data alla sua abilità nell intonare.
Però rifletta che non fu senza un
perchè se insistemmo a lodarlo per questo,
in molti casi è duopo volgere un complimento
ad uno, onde indirettamente l’altro
0 gii altri vicini ci capiscano dentro un rimprovero
per sè stessi, e facendo, come si
suol dire, l’indiano, ne profittino alla bella
e meglio, se pure ciò sta in loro facoltà.
Un altro encomio che vogliamo dare al
sig. Guasco si volge alla sua azione, non
punto di maniera accademica, ma giusta,
ma sobria, ma naturale. Abbiamo udito
taluni accusarlo di poco animato e anzi freddo
porgere drammatico. Noi non facciamo
gran contò di simili rimproveri, perchè sappiamo
che è spesso facile nel giudicare così
di canto come di azione, il confondere i.1
fare smaniato e l’esagerazione per calore,
e intensità di sentimento. L’impostura è
odiosa in tutto, ma nelle arti è insopportabile.
Quanti artisti cantanti, a chi li vede
sul palco contorcersi, scarmanarsi, cacciar
occhi a dritta e a sinistra, dimenar le braccia
incessanti con atti da esorcizzatori, pajono
gli esseri più passionali e sentimentali
del mondo, c a conoscerli dappresso,
sono le anime più fredde e lasaguoue! Tutto
quel contorcersi e scarmanarsi, tutto
quel spingere di voci a mo di singhiozzi
e di gemiti, non sono che cose di artifizio,
malizie studiate, finzioni per ingannare il
pubblico e buscarsi degli applausi. E al1
opposto quanti cantanti-che a riguardarli’
sulla scena, avari di gesti e di movimenti,
composti della persona, non facili a contrazioni
di volto, ad occhiate da spiritati,
si direbbero freddi e passivi, e invece sentono
moltissimo, e ne danno prova a momento
opportuno, e non sciupano l’espressione
e il far tragico ad ogni più insignificante
punto dell’azione. O ci inganniamo
o ne pare che il bravo sig. Guasco sia da
porsi in questo novero. Se avverrà ch’egli
abbia a prodursi in qualche Opera che nel
complesso dell’esecuzione riesca più felicemente
di quel che sortì la riproduzione mal
consigliata del Giuramento, ci occuperemo
di lui con più deliberala attenzione, e
faremo di esaminare più per dettaglio il
suo valore non solo, ma anche i difetti
che per caso ci verranno in lui osservati.
Chi ami sapere come la pensiamo noi
intorno al merito della musica di questa
bella partizione di Mercadante voglia dare
una scorsa all’articolo messo in capo al
presente foglio, ove il nostro valente collaboratore
il maestro R. Bucheron offre
l’analisi del miglior pezzo dell’Opera. Però
per conto nostro aggiugneremo che ne
sembra dovere osservare nello spartito alcune
ineguaglianze di stile, il quale talora
accenna alla maniera betliniana, talora sa
del fare più rifiorito e ritmizzato, proprio
della scuola di Rossini, talora infine,
e specialmente nella concertazione e nello
stromentale, rivela lo studio de’ grandi modelli
oltremontani; il tutto però temperato
e fuso con un’arte e con una finitezza veramente
degna di quel dotto compositore
che è Mercadante.
Intanto accenniamo di passaggio che errano
a nostro credere coloro i quali, nel
lamentare in Mercadante l’abuso degli effetti
stromentali, accusano di questa menda»2
una lai quale sua tendenza a imitare troppo
dappresso la musica tedesca. Se codesti signori
critici si dessero la pena di osservare
le partiture dei grandi compositori
alemanni si persuaderebbero di leggieri che,
come è falso il credere che il merito loro
principale stia nella complicazione contrappuntistica
e nella scientifica astruseria, così
ingiustamente si appongono coloro che si
credono essere carattere principale di quella
scuola, non che della scuola francese, il soverchio
fragore della istromentazione. A
persuadersi di ciò basterebbe un’occhiata
che ei gettassero ai capolavori musicali di
Ilavdn. di Mozart, di Weber, di Beethoven,
di Meyerbeer, di Auber, di Onslow, ecc.
Ma d’ordinario coloro i quali scagliano le
loro sentenze di condanna sulla musica
drammatica d’oltremonte, non fanno altro
che far eco pappagallescamente a certe vecchie
pregiudicale opinioni, e dei pregi
veri o dei difetti di quella musica nulla
all’atto ne sanno, perch’essa è tra noi poco
meno che sconosciuta, come quella che da
troppo lungo tempo dorme sepolta ne’ magazzini
de" nostri editori, per lasciar (ulto
il posto alle Operueeie più fàcili, più gustose
per gli orecchianti, e quindi più popolari,
de’ molti maestri indigeni. E fuor di
dubbio che Mercadante ha studiato e molto
seriamente studiato i capolavori musicali
tedeschi ed anche i francesi, ma da quell’artista
insigne ch’egli è, gli ha studiati
per impararne ben altra cosa che non le mere
ricercatezze armoniche o i modi da far
molto fracasso con una piuttosto che con
altra data combinazione di slromenti. In
Mozart, in Beethoven e in Weber, l’autore
del Gitili amento e della P estale, avrà bensì
osservato la grand’arte di essere veracemente
inspirato nell’invenzione, sicuro e
ardito nella espressione degli affetti e nel
linguaggio delle passioni, libero dai ceppi
deile forinole nella imitazione pittoresca,
e lutto ciò con semplicità, con spontaneità,
con sobrietà dei migliori mezzi della scienza
e dell’arte, ovvero con solo quel tanto di
quella e di questa che basta alla verità relativa
e giustezza dell’effetto.
Il biasimo che può darsi a Mercadante
per avere, nelle ultime sue Opere (e principalmente
nel Bravo e nelle Illustri Rivali),
abusato dei mezzi stromentali, ed essersi
addimostrato troppo povero di spontanee,
geniali ed espressive ispirazioni melodiche,
è al tutto indipendente dalla sua predilezione
allo studio dello stile melodrammatico
de’sommi tedeschi, ma vuoisi accagionarne
in parte la falsa tendenza del gusto del
pubblico, in parte la penuria di cantanti
della vera e buona scuola, ecc., in parte
il genere bislacco delle così dette tragedie
liriche ultimamente venule in voga e per la
più parte consistenti in forzate e strampalate
situazioni drammatiche, per rendere
musicalmente le quali è bisogno al maestro
di dare nell’esagerazione e nel falso, per non
mostrarsi da meno del poeta. E quest’ultima
causa (unita a una tal quale stanchezza
di fantasia, forse momentanea) è, a parer
nostro, quella che maggiormente influì a
modificare l’ingegno melodrammatico di
Mercadante, e lo trascinò a deviare, nelle
ultime sue produzioni, dalla bella strada
sulla quale ei s’era messo e alla quale,
se non è tornato col Proscritto, saprà ridursi
a prima occasione. B.