non hanno nulla creato che sia destinato
ad arricchire il tesoro delle nostre armonie.
È decaduta perché dacché per il teatro italiano
si tacquero Rossini e Bellini, nessuno
denovelli campioni ha dato segno d’aver
ereditato la vena inesauribilmente feconda
dell’uno, e l’anima ed il senno, profondamente
sentimentale dell’altro. E decaduta
perchè Mercadante, Donizetti, Vaccaj e Pacini,
che si adducono come veri onori dell’arte,
e che onori son veramente, si debbono
riguardare come spettanti ad altra
epoca in cui la floridezza della loro mente
produsse i più ispirali loro capolavori.
Già da parecchi anni son essi nati e cresciuti
alla scuola d’Italia. Aneli’essi poco
più, poco meno, son figli del periodo fortunato
che produsse un Rossini, un Bellini,
e noi parlando del decadimento dell’arte vogliamo alludere a que’ maestri
che dopo di loro comparvero sull’orizzonte
teatrale.
Fra queste ragioni avvene una che vale
da sé sola per tutte. Basterebbe dire:
la musica è decaduta, perchè Bellini è
morto e Rossini non crea più opere, e sarebbe
senza dubbio valente chi sapesse
sostenere il contrario. Nè a combattere questo
argomento varrebbe il fare ( come faceste
nel vostro articolo) resuscitato Bellini
e cangiato lo Siabat Mater in un melodramma,
chè a chi usa simili armi per
sostenere il proprio assunto fa uno stesso
che darsi vinto all’inlutto.
Bensì verrò parlando delle altre molte
forme di ragionamento con che voi propugnate
la causa vostra. Avéndo voi affermato
che la musica è oggidì al colmo del
suo fiorire, obbiettate alla prima delle mie
proposizioni con dire che i nomi che reputate
appartenere all’epoca nostra sono
quelli di un Rossini, di un Bellini, di un
Mercadante, di un Donizetti, d uri Pacini,
d’un Ricci, d’un Persiani, d’un Coppola;
e le opere che reputate appartenere alV
epoca nostra sono un Guglielmo Teli,
uno Stabat Mater, una Norma, una Sonnambula,
una Beatrice, un Giuramento, una
Vestale, un Anna Bolena, zz/z Elisir d’Amore,
una Saffo, una Chiara di Rosemberg,
un’Ines di Castro, una Pazza per
Amore. I quali maestri ed opere, soggiungete,
non so se potessero senza onta al
liuon senso ed alla verità chiamarsi ragguai
devóli pei’ numero piuttosto che per
celebrità meritata e per vera bontà di arte
e di magistero melodrammatico.
In primo luogo vi osserverò che qui avvi
una mischianza di cose, la quale non può
tollerarsi da chi non è guari amante del disordine.
Colle prove alla mano io potrei sostenervi
che, con tutta la stima che vuoisi
portare ai loro compositori, Xlnes di Castro,
la Pazza per amore, la Chiara di Rosemberg,
sono troppo onorate dell’essere poste
a drappello col Guglielmo Teli, colla
Norma, col Giuramento, colla Rolena,
colla Saffo, ecc. E per esempio, per trattar
di una sola ed anche della più famosa, la
Chiara di Rosemberg (il M. Luigi Ricci me
lo perdoni) non è tale opera che possa
dirsi di prima bellezza: è delle buone tra
quelle di seconda sfera. Tanto io credo
asserire, senza far onta al buon senso e
alla verità, prima perchè il suo carattere
semiserio la rende di un genere ibrido,
d’ufi genere neutro, e quindi meno peri
fetto perchè meno assoluto: è una creatura
che non è nè uòmo, nè donna. SeS
condo, perchè di esteticamente bello la
) Chiara non ha che il terzetto ed il duetto
de’bassi. Il resto, valutato dal punto dell’eccellenza
musicale di cui noi favelliamo,
è poco più che mediocre. Il M. Luigi Ricci
ha poco gusto, ha poco genio per il serio,
il suo spartito migliore, se non m’inganno,
è l’opera buffa Un’avventura di Scaramuccia,
che tutta è gaja dal principio alla
fine. Non adoperando, quasi come se non
fosse, l’armonia-, e non avendo per lo più
che brevissime melodie, le quali troppo
sovente si risentono della cantilena napoletana,
egli non può grandeggiare nel serio
che si compiace di larghezza di idee e di
magnificenza istromentale. Il suo genere
tutto melodico appare men difettoso nel
buffo, ma è sconveniente e censurabile nel
serio, ne’cui confini riguardata la musica
della Chiara, non è musica che per metà.
Meditate gli ultimi lavori di Mercadante,
di che tanto apprezzate la maniera grave,
declamata, originale, dottissima e vedrete
di quanta differenza d’impasto siano i pezzi
serj della Chiara: parlo col linguaggio del
popolo. 11 M.° Luigi Ricci è divenuto famoso
per il duetto così detto della pistola; il
quale, sebben cominci con una frase sbagliata,
non pertanto ha due o tre idee
melodiche che sono di buonissimo effetto.
Così, come le Opere colle Opere, non
denno egualmente affastellarsi i nomi coi
nomi. L’accomunare, verbigrazia, il maestro
Coppola con Rossini, con Pacini, con
Donizetti, è un comparare uno che ben
incomincia con chi ha trionfalmente terminato.
Aggiungete che il maestro Coppola
non fece veramente bene che la Nina pazza,
e che in progresso non seppe reggersi alla
linea del primo esperimento, e vedrete se
sia una mescolanza tollerabile quella di porlo
in famiglia con chi vide applauditi cinquanta
spartiti. 11 maestro Coppola è un
compositore benemerito e degno di stima,
ma un francese direbbe chacun à sa place.
Oltredichè, come ho già notato, la sua
Nina non è opera che possa stare coi capolavori:
aneli’essa è di secondo rango.
Tuttoché più leggiadra e ragionata nelle
cantilene che la Chiara, non può collocarsi
tra i capolavori, perchè essa pure
è povera d’armonia, e troppo sente 1 imitazione
del tipo melodico belliniano, senza
averne l’originalità.
Simili distinzioni intendo preporre onde
vediate quanto opportunamente venisse corredata
d’una postilla dell’estensore della
Gazzetta quella vostra parentesi, ove troppo
sicuramente sentenziate che questi spartiti
sono riconosciuti eccellenti di tutta l’Europa
e tali da oscurare nell’opinione dei
popoli ogni piecedente esemplare di musica
di genere drammatico. Questa eccellenza
di tutti non è da tutti ravvisata egualmente.
Non mi riesce inaudito che chi
vuol esaltare l’odierna superiorità musicale,
vanti le mediocrità come monumenti
d’immortale rinomanza; ma i giudizj son
diversi secondo i gusti e gl’intendimenti
degli uomini, e in questo vostro son certo
che non rinverreste gran numero d’intelligenti.
Tolto così dall’essere sesto fra cotanto
senno chi non può esserlo, riprendendo
l’argomentazione vi chiederò in secondo
luogo, signor Meliini, qual nuova legge di
logica può insegnare a sostenere che la
musica è ora al colmo del suo fiorire adducendo
a prova che le Opere che appartengono
all’epoca nostra, cioè al tempo
che corre presentemente, perchè cangiando
l’espressione si cangiano le cose, sono il
Guglielmo Teli, la Nonna, la Sonnambula,
la Beatrice, X Anna Bolena, l’Elisir,
ecc. tre delle quali appartengono ad
autore morto dieci anni addietro? Per Volgere
la nave a seconda de’vostri venti avete
bensì procurato di cangiar la questione
cangiando le parole; ma concedete ch’io
vi ricordi che quando stampaste che la
musica era al sommo di sua floridezza non
diceste, come ora dite, all’epoca nostra;
ma sibbene ora, oggi, oggidì che è quanto
dire, se non erro, nell’anno di nostra salute
-1842. Che se mutando l’espressione
intendeste far risalire il ragionamento a
dieci o quindici anni innanzi per comprendervi
il vero miglior tempo dell’arto, io
dirò che a niun fine possono riescire i vostri
mutamenti, dacché il vostro primo articolo
non aveva raccolto in un solo ’periodo
l’era musicale di Rossini, quella di
Bellini, con quella di tutti i maestri venuti
dopo; ma l una e l’altra e l’altra
aveva benissimo diviso con segni caratteristici:
della prima poco dicendo di bene,
della seconda facendone il miglior tempo,
della terza ora facendone l’età degl’indizi
di decadenza, ora del colmo del fiorire
dell’arte. Che se per fine fu vostro intendimento
di confondere tutti questi tempi
in un solo per crearne la gl and’epoca melodrammatica,
permetterete allora ch’io vi
dica che foste storico di assai poca perspicacia
nel non ravvisare quanta inferiorità
di frutti distinguesse il periodo del -1840
da quello del 1830, e quanta differenza
corresse dall’epoca di Bellini e di Rossini
a quella de’ loro successori. Voi medesimo
fornite una prova di questa disparità avvalorando
la vostra lesi con esempi che
risalgono per la più parte a dieci o dodici
anni di vita, nella qual cosa, senz’avvedervi,
convenite che da parecchi anni la
musica è decaduta. Ove si potesse affermare
che la musica è oggi in fiore, sorreggendo
l’affermativa con Opere di dodici
anni fa si potrebbe egualmente sostenere
che oggidì è lo stesso che dodici anni sono.
Se una differenza di dodici anni è cosa di
sì lieve momento che si possano confondere
in un unum-et-idem, una fanciulla da
ventènni sarebbe lo stesso che un’altra da
trentadue. Ma non credo che molti sarebbero
di quest’avviso. La musica era a grand’auge
quando Bellini dettava la Dorma,
Rossini il Guglielmo Teli, Mercadante i
Normanni, Donizetti XAnna Bolena. Da
quell’epoca oltre non furono più udite musiche
eli tanto pregio: da quell’epoca adunque
la musica è decaduta. No: non è strano
presumere l’asserire che Bellini, Rossini,
Mercadante e Donizetti appartengono ad
al Ir’epoca musicale anteriore alla nostra.
Due non iscrivono più, gli altri son sul
finire. Quando anch’essi avranno cessato, il
che non può essere lontano, nessuno, per
ciò che pare oggigiorno, saprà occuparne
il vuoto. E siccome dopo di loro è venuta
una nuova generazione, la quale è ornai
adulta, e siccome da questa nuova generazione
uscì una schiera di novelli scrittori,
de’ quali niuno seppe uguagliare nè dar segno
di volerli uguagliare, così nulla di più
consentaneo al vero, nulla di più naturale,
nulla di più logico, che il dedurne il decadimento
dell’arte. Non direbbe dunque
male, signor Meliini, chi asserisse essere
assurdo e temerario il proclamare il contrario
anziché una tale conclusione. Rossini
e Bellini fecero salir la musica; Bellini
e Rossini la fecero discendere: questa
è una verità che non può essere contraddetta
senza dare in assurdità. - Del