porzionata siccome io intendo di avere in
quello e in questo articolo dimostrato, e
come apparecchiato mi offro di sostenere
contro tutti gli argomenti, cornuti o non
che sieno, coi quali in avvenire io fossi
jj provocato a cozzare. Del resto, in qualunque
antipoda regione io sarò fatto dimorare,
nel conforto di questo mio convincimento
troverò pur sempre un’aura di buon
senso che mi renderà dolce e soave ogni
clima.
Ma la non è finita ancor qui. Il sig. Vitali,
nel suo articolo del N. 22, prende a
confutare di proposito una delle mie proposizioni
già sopra accennate, tlattando la
quale egli si propone di venire opportunamente
e progressivamente dilucidando
il soggetto del suo discorso, ed alla qual
rispondendo (perciocché troppo mi trovo
essere in parole trascorso) io mi propongo
di compiere il mio dovere un’altra volta.
C. Meliini.
mm
IMtHtVt) Alili A MUSICA
DA CAMERA.
Se vi è pregio universalmente desiderato
nelle produzioni artistiche e specialmente
nella musica egli è certo quello della novità.
E dessa che assicura agli artisti compositori,
che hanno la potenza di vestirne
i loro concepimenti, i più compiuti ed universali
trionfi, anche quando deviando dai
principii inconcussi del vero bello volgono
allo strano, al barocco. La novità è una
luce che abbaglia se anche effimera, è una
potenza che tanto più strascina dietro di
sé quanto più l’uomo dalla quiete della
vita reale è spirito a chiedere alle arti un
esercizio più risentito di vitalità.
La vita sta nell’esercitarla, ecco il bisogno
di novità, ecco il motivo per cui
si richiedono dalle arti sensazioni forti,
svariate e tumultuose: ecco il perchè trovan
favore gli scritti fantastici, le descrizioni di
fatti orrendi, le storie del barbaro medio
evo: ecco il perchè si volse la musica al
serio, al romoroso, abbandonato quasi intieramente
il giocoso, il burlesco dell’Opera
bulFa e della commedia. La natura dell uomo
è irrequieta ed è ciò stesso che dà vita
alle arti e specialmente alla drammatica ed
alla musica per la facoltà maggiore che
queste hanno di scuotere ed estendere la
loro azione sulla massa delle popolazioni.
Vista la cosa da questo punto, moltissime
sono le riflessioni che ne scaturiscono e le
verità che da sè stesse si mostrano chiarissime
sull’andamento del gusto generale in
ogni ramo di produzioni del genio. Ma
oltreché nè destinale sono queste pagine
a sì generali disquisizioni, nè intendiamo
noi stessi di uscire dai limiti dell arte nostra
alla quale unicamente sono intesi i nostri
deboli studii, lasciando ad altri i più importanti
argomenti, ci staremo contenti di
restringerci alla musica.
A riguardo di questa non si può a meno
di osservare una strana antitesi’ fra l’esigenza
continua di novità e Tessersi ristretto
il gusto del pubblico pressoché ad un sol
genere di musica, la musica drammatica;
5 perduto quasi intieramente l’uso della musica
originale da camera. Ed a tal segno
che nuli’altro più s’ode in pubblico od in
•1 privato che riduzioni teatrali, e quel che
è peggio, le più strane ed inette che nè
immaginare, nè credere si potrebbero da
chi abbia fior di senno. E, ove pur si esca
dalle prette riduzioni, non per anco si
scontra novità, chè i migliori ingegni,
quasi disperati di trovar favore con idee
proprie, altro più non fanno che manipolare
in fantasie, capricci, variazioni, rondini,
ecc. le melodie desunte dalle Opere
drammatiche.
Nò si può non lamentare la perdita della
vera musica da camera da chiunque ricordi
quale gratissimo trattenimento riusciva il
trovarsi riuniti alcuni buoni dilettanti o
professori ad un quartetto di Hajdn, di
Mozart, di Benincori, o alle graziose, ed
eleganti suonate di Clementi, di Kozluch,
di Dussech, e tanti altri che in questo
genere fiorirono immaginosi e dottissimi
scrittori italiani e stranieri. Genere di musica
utilissimo ed acconcio a diffondere il
buon gusto musicale, ed a moltiplicare i
veri intelligenti delle bellezze di quest’arte.
Senza perderci in vane declamazioni contro
un tal fatto crediamo utile il rintracciare
il perchè così avvenisse per conoscere come
vi si possa porre rimedio da chi voglia
tentarlo.
E da osservarsi prima di tutto che nello
sviluppo che di mano in mano andò prendendo
la musica drammatica vennero ad
esserne assorbiti i madrigali, gli scherzi, le
cantate, e così in privato, come in pubblico,
le scene, le arie, i duetti del dramma
si ebbero il primo posto nel!’ universal favore,
benché si continuasse e si continui
tuttora a scrivere cantate, romanze e simili
dai migliori maestri, fra i quali Rossini e
Donizetti.
Due cause a quanto ci sembra concorsero
egualmente a questo effetto il quale,
se pure è un male, ci sembra pressoché
irreparabile. La prima è l’essere la musica
drammatica cantata in pubblico da artisti
per io più di qualche fama, e dal pubblico
stesso lodala, la qual cosa mentre
serve a metterla in moda, serve anche ad
agevolarne l’interpretazione ai dilettanti,
che poi facilmente suppliscono ai difètti
della propria esecuzione colla reminiscenza.
Basta a persuadersene il vedere come tutti
che alcun poco canticchiano, o iniziali o
orecchianti, si fanno a ripetere quel passo,
quell* aria in cui un artista seppe cogliere
gli applausi. Se non l’avete sentito, e ne
fate discorso con chi vi fu, tosto ci si farà
a cantarellarvelo persuaso in sé stesso potervene
dare un’idea, e che dobbiate intenderlo
e inebbriarvene colla stessa facilità
con la quale ricorda egli stesso l’effetto
provato.
La seconda causa è l’interessamento destato
dall’intiero dramma che facilmente
si ridesta ad ogni brano del medesimo;
interessamento inavvertito, ma che é sempre
maggiore di quello può destare un
breve componimento poetico, quale fornisce
per lo più materia ad una romanza,
aria, o cantata isolata. Infatti un brano
d Opera non può essere perfettamente interpretato
da chi ignora il rapporto che
ha col fatto intiero costituente il dramma.
A ben gustare la bellezza di un pezzo di
musica vocale è necessario entrare pienamente
nel senso morale che ne forma la
base, e conoscere, direm quasi, la storia delle
circostanze che ne mossero l’affetto; al che
di rado possono condurre i pezzi isolati.
È necessario che l’argomento sia preso
da un fatto interessante e noto al quale
ritorni facilmente il pensiero.
Molti chiarissimi scrittori lamentano la
mancanza di canti nazionali in Italia. Senza
indagarne la causa, che non ci sentiamo
da tanto, lamentiamo noi pufe la mancanza
di poesia lirica veramente italiana, la quale
potrebbe sola fornire materia a simili canti.
Le stesse cagioni operarono sulla musica
puramente strumentale (perdutasi quasi
intieramente in Italia, un po’ più stimata
in Francia; ancora in fiore in Germania)
colle quali altre particolari si combinarono.
Da una parte la popolarità e, direm pure,
la maggiore euritmia a cui pervenivano i
motivi teatrali, facili a ritenersi e ad eseguirsi,
facevano lusinghevole invito ai dilettanti
già proclivi a preferire questo genere
ad una musica che, sebbene ripiena di
bellezze, incominciò a tendere troppo al
difficile, ed a richiedere uno studio più
lungo e metodico.
Fu in quel torno di tempo che applicatosi
il sistema di semplificazione all insegnamento
pratico, e perfezionati molti
stromenti, fra i quali il Pianoforte’, si
trovò necessario di far passare gli alunni
per uno studio preliminare di sole difficoltà.
Eccellenti melodi sortirono di mano in
mano, cd opere utilissime di studii clic
produssero abilissimi esecutori non prima
sentiti; ma questi metodi e sludii troppo
aridi di diletti resero sempre più schivi i
più dei dilettanti, i quali d’ordinario non
sanno intendere, che a veramente divertirsi
coll’arti è duopo uno studio assiduo e
regolare, e non mediocre perizia.
Dall’altra incominciarono le riduzioni ad
innondare, fatte da prima da ottimi e giudiziosi
maestri (fra i quali ricordiamo Dussech)
a favore e comodo dei dilettanti non
per anche capaci di accompagnare sulla partitura,
e fors’anche per facilitarne loro lo
studio. Vi si aggiunsero altre riduzioni a
quattro, cinque, o sei istromenli di intieri
pezzi vocali. Le riduzioni moltiplicarono,
la musica istromentale originale ne restò
1 sommersa. La minor colpa ve l’ebbero per
avventura gli editori, i quali, per compensarsi
delle molte Opere, giacenti inutile ingombro
negli scaffali, si rivolsero alle riduzioni
di poco costo e di sicuro smercio
e fecero d’ogni mala erba fàscio.
Che ne avvenne? I maestri mancarono
di un mezzo di ispirazione tanto più utile
quautochè nella musica istromentale il genio
più libero spazia, e in quella da camera
minori mezzi di esecuzione richiedendosi
più facile riesce il sentirla. Mancarono di
un facile mezzo di prodursi quelli tutti
che avrebbero pur potuto riuscirvi eccellenti.
Ristrettosi ad un sol genere T immenso
campo musicale, quella rimasta a
forza di essere cantata, suonata, e in mille
guise deturpata, invecchia a pochi mesi di
vita nelle capitali, nè molto tarda a morire
decrepita nelle provincie, diremmo quasi
uccisa dal bisogno di novità non soddisfatto.
I più dei nostri dilettanti divennero meu
buoni giudici che non erano un tempo
delle produzioni musicali, perché non conoscendo
che un sol genere, nè avendo
l’abitudine della vera musica istromentale,
non sanno spiegare a sé stessi le proprie
sensazioni.
La musica ha un genere di espressione
a sè proprio, indipendente dalla parola,
e che da questa non riceve altro vantaggio
fuorché dell’applicazione ad un caso
particolare: Se quest arte si vuol chiamare
una lingua bisogna dirla una lingua d affetto
ma sommamente astratto, generico,
che a ben gustarne le bellezze richiede
abitudine e una particolare educazione che