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(Supplemento alla Gazzetta N. 26) | - 117 - |
conchiudere, cotesti canti mal convenire a quegli a due in cui i personaggi rappresentano potenza reciprocamente avversa, ben inteso che qui trattasi non di qualche frammento di frase sparso qua e colà, ma di intieri periodi così tessuti. L’unità di affetto delle melodie per terza è tale che eseguite a pieno coro acquistano la forza dei grandi unisoni, come il vediamo nel coro "Guerra, guerra" della citata Opera Norma.
XXVII. Ma nelle situazioni drammatiche non sempre i personaggi di una scena sono commossi da un medesimo affetto, o la medesima causa agisce su tutti ad un modo e con eguale intensità, escludendo quelle modificazioni che i diversi temperamenti, interessi e passioni possono produrvi. In tali casi l’unisono o le terze non possono convenire che a quelli che possiamo supporre nell’egual situazione d’animo; per gli altri si dovrà ricorrere a canti totalmente diversi, o ai giuochi d’imitazione rette o inverse, secondo la differenza più o men sentita degli effetti.
Nè da ciò vuolsi argomentare che i cauti doppj in cui primeggiano i moti obbliquo e contrario sconvengano a quelle situazioni in cui due personaggi sono commossi da eguale affetto, che anzi ancorché fosse l’espansione deliziosa del più tenero amore, li riputiamo sommamente acconci a rilevarne l’effetto a quel modo che il pittore atteggia diversamente le figure del suo quadro benché egualmente commosse; perché infatti così veggiamo succedere nelle naturali espressioni, le quali, benché d'un carattere affatto simile, sono infinitamente svariate. Il senso della parola, e 1'accento oratorio unitamente al carattere delle singole melodie determinano l’espressione indipendentemente dall’idea destata dal moto contrario e obbliquo, e questo accoppiamento non ha più altro ufficio che di interessare a maggior attenzione e rendere più profonda l’impressione voluta dall’artista. Fin qui di pochi personaggi.
XXVIII. Se poi una medesima melodia viene a dominare nelle varie parti di un gran coro successivamente ripetendosi in ben disposte imitazioni e secondo le norme della vera fuga, l’espressione di un affetto unico diversamente modificato sarà tanto evidente da non aver bisogno di parola a rischiararla.
La difficoltà meccanica della fuga ha fatto credere che mal si possa colla medesima esprimere qualche situazione drammatica; che questo genere di composizione mal si confaccia col gusto comune tendente al semplice ideale, per la qual cosa (in Italia) più non si scrivono fughe che da qualche Maestro di chiesa zelatore di vecchie usanze; mentre dai più si reputa un avanzo di barbarismo scolastico, da cui tormentati un tempo ora fuggono come dal letto di Procuste.
Ma tale non debb’essere l’opinione dell’artista che ragiona, e vuole arricchirsi di tutti i mezzi che l’arte gli fornisce, non si ristando per fatiche e studio.
Egli è falso che la fuga non possa piacere al pubblico, od essere nulla più d’un noioso capolavoro dell'Arte, come piacque a Rousseau di chiamarla; e il volerlo asserire sarebbe come dire non poter esservi bellezza nel Giudizio di Michelangelo, nella Scuola d’Atene di Raffaello, e in tanti altri grandiosi dipinti perciò solo che contengono molte figure. E la fuga è appunto un quadro di molte figure che qui sono rappresentate dall’incontro simultaneo di più idee melodiche le quali non ponno render difetto ove siano disposte con bell’ordine e senza confusione: possiamo anzi osservarvi lo stesso magistero che in un bel dipinto, nel quale le [sic] bella disposizione fa immaginare ancor più figure di quante in fatti vi sono effigiate. Del pari è falso il credere che non si possa costrurre la fuga con melodie moderne ed espressive, ma solo con cauti e modi antiquati. I canti della fuga vogliono essere semplici e schietti onde vi si possano contrapporre senza confusione altri canti secondarj, e i canti semplici e schietti sono appunto i più espressivi e belli in ogni tempo.
Ma ciò che deve renderla accetta al pubblico (tanto in chiesa che sulla scena) si è che venga adoperata quando e come il sentimento lo esige; e allora sarà intesa ed apprezzata, che costituirà la vera parola espressiva dell’Arte.
Così il pittore non trasceglie già quei soli colori che son belli a vedersi separatamente, ma quelli che possono meglio imitare ciò ch’ei vuole, e quando al giudizio immediato dell’occhio sfuggano le tinte adoperate e si presenti naturale l’obbietto imitato ogni colore diventa bello.
Il vero effetto della fuga, come già si è detto, si ottiene dal pieno coro così come l’effetto dell'unisono, essendo entrambi riferibili ai sentimenti di un intero popolo, epperciò se trattandosi di poche parti, all’unisono sono preferibili! canti per terza, alla fuga del pari potremo anteporre l’imitazione libera ideale, o i canti doppj con bell’intreccio combinati.
Conclusione dell'Analisi.
Ecco decomposta l’Arte ne’ suoi elementi, e trovato siccome non si dà suono di cui non si conosca la causa materiale senza che siamo portati ad ascriverlo ad un essere vivente; che il tono è l'immagine della forza morale; che il ritmo ha rapporto con tutti i movimenti epperciò si riferisce allo stato, all'azione della forza fisica; che la melodia sta invece dell’accento, e delle inflessioni della voce nell’espressione degli affetti, mentre l’armonia rappresenta le potenze urtanti, o per meglio dire, il sentimento dell’urto che una vitalità riceve dalle potenze esterne o dalle proprie passioni. Abbiamo veduto di più che questo elemento produce in noi un misto di memorie di prove piacevoli o dolorose, di previdenze e di sorprese, vere immagini dei sentimenti di cui s'intesse l’umana vita; che perciò ne porge il mezzo di far conoscere quasi riflessa in uno specchio l’interna commozione della vitalità annunciantesi colla melodia; e di descrivere contemporaneamente l’affetto di più vite, o personificare i più intimi sentimenti. Abbiamo ravvisato del pari come ogni istromento musicale ha relazione con sensi diversi ed un'altitudine particolare a particolari espressioni; per la qual cosa l'orchestra ha una vera potenza pittrice, e concorre all’espressione colle voci.
Dalle quali cose ci sembra poter conchiudere essere la musica vera arte d’imitazione il cui tipo, meno che nelle circostanze che naturalmente rendono suono, è riposto nel più intimo fonte della sensibilità e dell’affetto.
XXIX. Egli è perciò che il vero bello musicale consiste nell’evidenza dell’espressione, così come accade nella pittura. Che se si voglia opporre esservi moltissime Opere dal comun sentimento riputate bellissime senza che perciò dirsi possano vere imitazioni, come un motivo, una sinfonia, un concerto e simili, e vogliasi conchiudere, la musica essere più spesso e per propria natura produttrice di un bello sui generis astratto, ideale, che al solo senso dell’udito, si può riferire, risponderemo col far osservare 1.° Che il linguaggio musicale è rappresentazione di sentimenti sommamente generici, non già della causa individuale che li produce, epperciò stesso comuni a molte circostanze della vita in apparenza disparatissime. 2.° Che perciò ove la musica è divisa dalla parola che ne individua il senso (e lo è non solo quando non vi è canto, ma ogni volta che la poesia non parla di sentimenti o circostanze imitabili) difficile riesce tradurre in parole il vero effetto musicale, benché non perciò meno provato, ed è questo il caso di un bel motivo, di una bella sinfonia, e simili. Dal che nasce che tanto prevale il gusto per la musica drammatica, e la si vuole ridotta in ogni maniera da chi, poco avvezzo a giudicare della natura delle proprie sensazioni, o poco sensibile al bello musicale, ha duopo del sussidio della parola letta, o sentita, o ricordata per diffinirle. Risponderemo per ultimo non essere vero bello in quelle opere, in cui solo si cerca di abbagliare coll’idea di bravura e di difficoltà vinta, se a queste non si associ lo scopo di commovere; ammirarsi in tali casi l’ingegno e la insistenza di chi ha superata la difficoltà ma con cuore freddo, ozioso.
Ma se noi non siamo dell’avviso di quell'autore che pose 1'espressione musicale au grès des chiméres, non pensiamo neppure come colui che disse, Donnez mo la Gazette d’Hollande, et je la metterai en musique. Tutte le arti sono circoscritte da limiti fissati irrevocabilmente dalla natura dei loro mezzi ed elementi, ed ogni tentativo per oltrepassarli o dilatarli non può altro produrre che mostruose ed oscure goffaggini. Così la pittura, essendo assolutamente immobile, non può di ogni fatto che imprende a rappresentare esprimere che un punto unico; e se ella volesse esprimere alcuna di quelle mosse che si possono naturalmente supporre ripetibili o durevoli, sarebbe lo stesso che avvertire il risguardante non essere colore ciò ch’ei vede sulla tela. Tale effetto facevano nel celebre quadro di Bruloff: L’ultimo giorno di Pompei le due statue squilibrate e cadenti dall’alto, pericoloso disinganno che ne toglie a quei sentimenti che il dipinto pieno di interesse e condotto con somma perizia doveva destarci di compassione e di terrore. Le mosse di un essere animato così come il ripiegarsi di una pianta per impeto di vento si possono benissimo rendere dalle arti immobili appunto perché ripetibili, e costituiscono anzi un fonte principalissimo di bellezza. Questa mobilità di alcune Arti e immobilità di alcune altre è poi il gran motivo per cui tante bellissime descrizioni poetiche non offrono al pittore che soggetti meschini.
Ci si perdoni se poniamo piede nell’altrui terreno in qualche digressione. Esiste fra le Belle Arti un tale legame, che le massime radicali dell’una sono presso chè tutte applicabili alle altre. Né altrimenti può essere, non avendo esse di diverso che il mezzo materiale, ma tutte avendo l’uomo per tipo primitivo ed ultimo scopo.
(Sarà, continuato).
R. Boucheron.