tanti dal grande progresso die dal tempi
di Paisiello ai nostri venne facendo lo stromqntale,
e quelle che derivano dall’inoguai
merito dei due drammi, semplice il
primo di una semplicità che confina colla
insipidezza, l’altro ordito con gusto molto
più moderno e per conseguenza sparso di
piccanti incidenze, e pieno di vita e di
interesse. A questo luogo dovremmo dire
alcune cose anche della Nino, del maèstro
Coppola, ma abbiamo le nostre buone ragioni
per tacere su questo particolare argomento.
Ora, per riprendere il filo della nostra
biografica narrazione aggiugneremo, che per
l’assenza di Cimarosa e di Guglielmi, Paisiello
con molta sua soddisfazione si trovò
in Napoli senza competitori, perocché verun
altro compositore di que’ tempi, tranne
i due nominati, poteva osare erigersi a
suo rivale. Tornalo eli ei fu dalla sua dimora
in Russia accettava da Ferdinando IV
P incarico della direzione della sua reai
cappella alla quale andava congiunto 1 emolumento
di mille e duecento ducati.
Nel 1788 il re di Prussia gli fece fare
delle molto larghe offerte per ottenere eli ei
si trasferisse a Berlino, ma Paisiello con
nobile dilicatezza. resistè aduna seduzione
che altre volte aveva signoreggiato il suo
spirito, e rimase fedele all’impegno contratto
colla Corte di Napoli. Indi a poco
invitato a fare un secondo viaggio in Russia
allegò per un rifiuto i motivi stessi
che gli avevano valso presso la Corte di
Berlino. Anche da Londra gli pervennero
delle profferte, ed erano queste si laute
che Paisiello, per non poterle accettar
pienamente, impedito dai vincoli del contratto
col re di Napoli, le accolse almeno
in parte, e mandò all’impresario del teatro
italiano di Londra la partizione delia
Locanda, opera buffa che poi venne prodotta
anche sulle scene di Napoli coll aggiunta
di un nuovo quintetto, e col titolo
Il Fanatico in bei lina.
Nel 1797 il generale Bonaparte proponeva
a concorso la composizione di una marcia
funebre destinata a onorare le esequie del
generale Hoche. Paisiello e Cherubini inviarono
ciascuno il componimento dimandato,
ma Bonaparte facendosi giudice del merito
delle due partiture come se si trattasse di
due piani di battaglia, assegnò di suo ampio
arbitrio la palma all’autore della Nin.a.
pel quale aveva una pronunciatissima prelezione,
e lasciò poco men che inonorata
la composizione di Cherubini, la quale al
dire del sig. Fétis, valea molto più di quella
del suo competitore fortunato.
(Nel prossimo foglio il fine).
B.
DELL’ISTllOMENT.AZIONE
ARTICOLO IV.
(Fediifogli 5, 8, 10, 19 e 21J
Gli sti omenti da fato, di legno, di metallo
o di ottone, a ancia o senza ancia, a
chiavi, a pompa o duttili, si dividono in
numerose famiglie, le quali, quasi tutte,
nello stato in che si trovano oggidì le orchestre,
e in grazia delle molte parti d’insegnamento
neglette nel nostro Conservatorio
di Parigi, sono qual più qual meno
imperfette. Non solo noi qui a Parigi manchiamo
di molte nuove maniere di stromeiiti
che facile sarebbe di creare con poco
di spesa, ina ancora di quelle che in Germania
si usano, di quelle che noi medesimi
conosciamo, di quelle che i grandi
maestri hanno riconosciute e adottate nei
loro capolavori, e di quelle finalmente che
un’orchestra rinomata dovrebbe ad ogni
patto possedere.
Ma, senza troppo andare avanti per ora,
il fatto emergerà chiaro da sè nell esame che
noi ci proponiamo di fare di queste diverse
famiglie di stranienti.
La prima specie si compone degli slromenti
a doppia ancia (oboe, corni inglesi,
fagotti, fagotti per quinta e contraffagotti).
L’oboe manda un suono boschereccio,
pieno di tenerezza e, direi quasi, di timidezza.
Esso nondimeno è adoperato nei tutti,
senza aver considerazione alla virtù del suo
timbro, che in questo caso va fra il rumor
confuso e ni uno effetto speciale produce.
Così è della più parte degli altri stranienti
tutti da fiato. Si vogliono senza più
eccettuare quelli che hanno un’eccessiva
sonorità, o un timbro assai deciso, forte
e potente. Veramente, senza mettersi sotto
piede e l’arte e il buon senso, non si possono
questi impiegare come semplici stranienti
d’armonia. Tali sono i tromboni,
le officleidi, i contraffagotti, e, in molti
casi, le trombe sciolte, e i corni-bassetti. Il
candore, la grazia innocente, la dolce gioia,
o il dolore d’un’anima oppressa, convengono
agli accenti dell’oboe; egli, nel cantabile,
esprime questi affetti a meraviglia.
Àncora male non se gli affa un certo grado
cf agitazione; ma bisogna ben guardarsi di
non ispiugerlo sino ai gridi delia passione,
sino al rapido slancio dell ira, della minaccia
o dell’eroismo, perchè quella sua voce
agro-melata diviene allora insufficiente e torna
in ridicolo. Alcuni de’grandi maestri,
e Mozart fra gli altri, non hanno causato
questo inconveniente. Ne’ loro spartiti si
incontrano certi passi la cui intenzion passionata
o l’accento marziale stranamente
discorda col suono degli oboe che li eseguiscono;
e ne risulta non solo mancanza
d’effetto, ma conlrassenso fra la scena e
l’orchestra, fra la melodia e l’istromentazione.
Un tema di marcia, sia pur egli il
più belio, il più diciso e il più nobile, perderà
tutte queste qualità ove sia affidato
agli oboe; alcun poco ne conserverà se si
assegni ai flauti; quasi tutte le conserverà se
ai clarini. Nel caso in cui, per cagion di
dare maggior ripieno all’armonia, e maggior
forza alle masse degli slromenti da fiato
messi in opera, s’avrà indispensabile necessita
degli oboe in un pezzo delia natura
di quelli che ho sopra accennati, sarà bisogno
almeno allora di scriverli in modo
che il loro timbro, sconveniente a un tale
stile, vada interamente confuso ed assopito
fra quello degli altri stranienti in guisa da
non potere essere osservato. I suoni gravi
dell’oboe, di cattiva tempera e spiacevoli
quando sieno scoperti, possono convenire
in certe strane e gemebonde armonie, uniti
alle basse note de’ clarini e al re e mi
bemolle medio de’flauti e de’corni inglesi.
I tuoni acuti quasi tutti striduli e penetranti
poco sono dilettevoli; solo i mediani sono
deliziosi. Questo centro medio sta fra il
sol in seconda riga e il do sopra le righe:
e dentro questo spazio vogliono essere
scritte le frasi melodiche, da chi ama che
l’oboe le canti con tutta l’espressione e
purezza di che è capace. I passi diatonici
(toltine pochissime eccezioni) poco convengono
agli oboe, e meno ancora loro si
addicono i rapidi arpeggi. Gluck e Beethoven
hanno inteso a meraviglia come ®
debba essere usato questo timbro prezioso. y)Z
L’uno e l’altro di loro debbono all’oboe pf
le profonde emozioni prodotte da molte yj
delle loro belle pagine. Basti, quanto a
Gluck. citare il solo dell’oboe nell’aria
di Agamennone nell’Ifigenia in Aitiide:
«In cor suonar già sento»; que’ pianti d una
voce innocente, quelle supplicazioni incessanti
e ognor vive potrebbero elle convenire
ad altro straniente che all’oboe?... E
il famoso ritornello dell’Ifigenia in Tauride:
«Sventurata Ifigenia!» E quell’altro
grido ingenuo dell’orchestra quando Alceste,
nel colmo dell’entusiasmo e tutta compresa
del suo magnanimo sagrifizio. per la tenera
rimembranza de’suoi figliuoletti, interrompe
fieramente la frase del teina: a Senza te
viver potrei?!» per rispondere alla commovente
reminiscenza istromentale colla straziante
esclamazione:» O finii miei!» E
la dissonanza di seconda minore nell’aria
d Armida, sotto il verso: «Deb! toglietemi
all’amor!» Tutte queste cose sono
sublimi non solo quanto a! pensiero drammatico,
alla profondità dell’espressione,
alla copia e bontà della melodia, ma ancora
quanto alla istromentazione e alla mirabile
scelta che l’autore ha fatto degli
oboe in fra tutti gli altri stranienti, inetti
o poco atti a produrre somiglianti impressioni.
Beethoven ha richiesto ancora di più
dal festevole accento degli oboe: ne sieno
esempio il solo dello scherzo della sinfonia
pastorale, quello dello scherzo della
sinfonia con cori, quello del primo pezzo
della sinfonia in si bemolle, ecc.; ma egli
non ne ha tratto minore partito, loro assegnando
tristi accenti di desolazione. Ciò
può vedersi nel solo minore della seconda
ripresa del primo pezzo nella sinfonia in
/n, nell’andante episodico del finale della
sinfonia eroica, e specialmente nell’aria
del Fidelio, quando Floristano, morente
di fame, si crede, nella sua delirante agonia,
avere intorno la sua famiglia piangente,
e mesce i suoi lamenti angosciosi agli
interrotti gemiti degli oboe.
Il corno inglese è il contralto dell’oboe;
ciò imporla che egli ha, partendo una quinta
al di sotto della sua nota più grave, la medesima
estensione dell’oboe. Il timbro del
corno inglese meno penetrante, più velato
e grave di quello dell’oboe, non si presta,
come l’altro, alle festevoli melodie agresti.
Egli non potrebbe nè anco piegarsi a
strazianti frasi; e gli accenti a un vivo
dolore quasi si direbbe gli fossero interdetti.
La sua è una voce melanconica, mistica,
e sempre nobile, la cui sonorità
esprime lo scomparire, la lontananza M;
e ha un non so che di sfumato. direi
quasi come di voce lontana; per il che
esso va anteposto ad ogni altro istromènto, quando si traili di commovere
col rimembrare -le imagini e i sentimenti
del passato, e quando il compositore vuol
toccare la corda secreta delle tenere ricordanze.
11 sig. Halevy se n’è servito molto
lodevolmente nell’accompagnamento della
sua bella cavatina di Rachele nel secondo
(.i) Parni forse a qualche lettore die il sig. Beriioz in
questi suoi articoli sulla varia indole degli stromcnti
rechi una finezza di sentimento poetico che sa talora di
astruseria; ma questi sfoghi ili una mente troppo inclinala
a recare l’analisi metafisica in argomenti clic noi italiani
siamo avvezzi a considerar un po più materialmente,
vogliono essergli perdonati in grazia delie molto savie c
originali rificssioui in che ce li offre avvolti, c delia non
comune dottrina onde i suoi pensieri sono sempre opportunamente
avvalorati.
L’Eslms.