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quali, nel caso che l’artista non riesca nella sua vocazione, gli offrono tuttora la possibilità di una esistenza come dotto, come maestro, ecc. Non così nel compositore, se non è contemporaneamente virtuoso su qualche istrumento musicale. Chi dunque crede di aver vocazione a compor musica esamini prima di tutto il vero suo talento musicale e la direzione di tutto il suo essere. 11 più alto uso che possa farsi di tutte le arti, e conseguentemente anche della musica, è il loro impiego al culto della religione. Una fantasia vivace, un talento per inventare melodie gradevoli e brillanti possono, in unione all'abilità e sperienza, formare un valente compositore di camera e di teatro; lo che non basta per un vero compositore di chiesa. Egli deve esser altresì dotato di un animo divoto, di quella mistione di divozione e di puro amore che costituiscono l’indole di un carattere religioso. Chi non ha fede, chi non riflette sul senso del Kyrie, sulle parole del Salve Regina, Requiem e di simili inni sacri, scriva pure de’ walzer, marcie, musiche di camera e di teatro, si contenti del ben meritato applauso popolare, ma non si renda colpevole d’impiegare l’arte sua al culto dell’Altissimo, non avendoci la vocazione.

Ma sento domandarmi, non è egli possibile che nello stesso compositore vi sia unita la fantasia profana e religiosa?.... Può essere, e questo era il caso di Mozart, ma non lo era di Gluck, nè di Beethoven, e nemmeno del grande Sebastiano Bach ed havvi innumerevoli compositori moderni, i quali dovrebbero essere respinti dalla chiesa, e chiamati invece in teatro. E perchè il compositore ha d’essere grande in tutte le specie di musica? Klopstock non scrisse commedie, Raffaele non dipinse paesaggi, e Claudio Lorenese non dipinse ritratti e cose storiche. Se ognuno scrivesse soltanto quella specie di musica a cui ha vocazione, vi sarebbe per verità un minor numero di compositori e maggior vantaggio per l’arte. Sgraziatamente la cosa non è così, e per guadagnare il pane ogni giovine compositore occupa qualunque posto, compone quel che vuole e come si desidera - hinc illae lacrymae!

(Dalla Gazzetta Musicale Universale).


SCHIZZI BIOGRAFICI.

GIOVANNI PAISIELLO.

ARTICOLO II.

(Vedi il foglio N. 24).

La non breve dimora fatta da Paisiello nelle regioni settentrionali dell’Europa avea dato al suo genio un indirizzo novello. Per meglio gradire al gusto dei popoli del nord, più disposti dalla fredda loro natura a compiacersi delle studiate combinazioni della scienza che non delle spontanee emanazioni dell’ingegno, egli erasi vòlto a dar vigore al suo stile con elaborate combinazioni armoniche più di quanto non facesse prima in Italia, ove ancora si avevano principalmente in pregio le cavatine e le arie, nelle quali la voce del cantante è parte assoluta e il resto della concertazione non serve che di lieve e trasparente fondo al ricamo. In vece di dar lode a Paisiello di questo progresso da lui fatto nell’arte della drammatica composizione, il mondo filarmonico italiano di quel tempo, che, a que’ giorni come al presente, non dava prezzo se non a quanto in fatto di musica si conformava meglio ai limitati suoi gusti, accolse poco favorevolmente l’esimio maestro di ritorno dalla Russia, e lasciò che di lui corresse e prendesse consistenza la voce essersi poco men che spento il suo estro tra i freddi ghiacci del settentrione, e poco doversi ormai aspettare da un compositore che osava concepire le sue Opere con un novello ordine di idee e abbandonare il facile e vezzoso stile col quale aveva esordito sul teatro, per adottarne altro più succoso, più maschio, più ricco di tinte svariate e robuste. Ma l’autore dei Filosofi immagianrii e del Mondo della luna, sicuro e confidente di sé stesso non si sgomentò dell’ingiusta prevenzione cbe lo attendeva a Roma ove era stato chiamato a scrivere l’Opera buffa L’amor ingegnoso pel carnevale del 1785.

Questo spartito accolto sulle prime con freddezza si vide minacciato di una caduta al finale del primo atto e non si rialzò che al secondo. Ferito dall’idea dell’affronto soltanto minacciatogli, Paisiello, avvezzo com’era da lungo tempo a non progredire che d’uno in altro trionfo, fece in sé proponimento di più non iscrivere pei teatri di Roma, e osservasi in fatto ch'ei più non accettò impegni per questa capitale, "È singolare, dice il signor Fétis, che i romani, dopo avere addimostrato sì poca inclinazione per le Opere scritte da lui in Russia, abbiano poi provata tanta simpatia pel suo Barbiere di Siviglia, una tra queste, da voler far espiare a Rossini l’audacia di comporre una novella musica sul medesimo soggetto". E nondimeno, senza nulla detrarre al pregio della composizione paisieliiana, quanta distanza da questa all’Opera buffa per eccellenza dovuta alla mirabile vena del maestro di Pesaro? Nel primo la spontaneità, il garbo, la chiarezza, il vezzo piccante delle idee, l’intreccio delle parti offerte con una maestria irreprensibile, l’impronta insomma di un ingegno elegante, forbito, pieno di piacevolezza e di grazia; il tutto però soffuso di una lieve tinta di monotonia che talora potrebbe tacciarsi di grettezza, se a salvare in parte da questa condanna il compositore di Napoli non gli giovasse la data dell’anno in cui scrisse il suo Barbiere: nell’altro Barbiere all’incontro, il mirabile potere di una fantasia che si spiega con tutte le più svariate tinte, che pare si riaccenda nella medesima esuberanza degli effetti; le melodie più pure, più originali e bizzarre, profuse senza detrimento della chiarezza e della spontaneità delle modulazioni e della unità nel concetto; la verità comica, il giuoco teatrale recati a un punto di evidenza che mentre credi udir conversare naturalmente quei personaggi, sì vivamente posti in contrasto fra essi, per un prestigio tutto singolare t’accorgi che cantano d'un canto perenne, ineffabile, ecc... Il Barbiere di Paisiello è il lavoro d’una mente ordinata, chiara, precisa, sicura e conscia de’ propri mezzi e pronta ad accorrere cogli aiuti della scienza ai menomi stenti della fantasia; quello di Rossini è il miracolo dell’arte in cui tutto è vinto dall’onnipotenza del genio! è un modello di perfezione che emana dalla imaginazione più sfarzosa quasi ignara o non curante delle sovrane bellezze della sua creazione!

Napoli, ove dopo la semicaduta dell'Amor ingegnoso dato a Roma fu chiamato Paisiello per invito del medesimo re, ottenne quasi sola i prodotti della sua fantasia che col crescere dell’età pareva andasse ritemperandosi più viva e feconda.

Tredici anni egli visse in questa Capitale, nel corso dei quali compose le sue più belle partiture, quelle cioè nelle quali sono più evidenti una toccante sensibilità e una rara eloquenza del cuore "pregi la cui sorgente, al dire del sig. Fétis, Paisiello non trovò che nella sua testa." Le Opere di cui qui intendiamo parlare sono: La Molinara, La Nina pazza per amore e i Zingari in fiera le quali videro la luce appunto in questo felice periodo della vita del grande compositore napoletano.

Modello di grazie musicali e di maliziosa leggiadria è la tanto famosa cavatina "Chi vuol la Zingarella" nei Zingari in fiera, e il finale di quest'Opera si svolge con un fare sì largo e con un sì ingegnoso intreccio di parti che pochi pezzi concertati della vecchia scuola hanno maggior merito di invenzione e di composizione. Anche l’aria comica nell’atto primo di questo medesimo spartito "Te che alla linea - Formi il pentagono" è grandemente lodata da quanti nello scrivere buffo apprezzano, non l’accavallamento imbarazzato delle frasi, nè la ostentata eleganza dello stromentale (che spesso è indizio di estro fiacco eccitato per isforzo) ma la sobrietà e la semplicità de’ pensieri e il naturale svolgersi di uno o due di essi guidati con maestrevole giro a tutta intessere la chiara e nitida orditura.

La Nina o La pazza per amore è stimata, a giudizio d'ognuno, il capolavoro di Paisiello. È mirabile in essa la pittura di una passione profonda che gittatasi nell’anima di una giovinetta piena di ardente sentire, sì la signoreggia e la invade che la misera ne perde il senno. In poche musiche moderne, o forse in nessuna l’espressione del dolore morale, il linguaggio degli affetti più profondi del cuor femminile son recati a maggior punto di verità. Nel porre il Barbiere di Siviglia di Paisiello a raffronto con quello di Rossini, abbiamo data un'incontestabile superiorità al maestro de’ nostri giorni, ma per lo stesso sentimento di giustizia dobbiam aggiugnere ch'egli non arrivò mai a dipingere i moti più teneri del cuore, e ad essere così semplice e a un tempo così effettivo nel patetico, come vediamo addimostrarsi Paisiello in questa Nina che veramente può essere proposta ad istudio di quanti mirano all’eccellenza nella musica che noi chiameremmo intima, prendendo questo vocabolo nel senso col quale è usato a indicare una specie di poesia e di romanzo destinati all’analisi e alla pittura dei più reconditi affetti e ad offrire l’imagine di quelle lunghe lotte psicologiche onde son combattuti i cuori in preda alla passion dell’amore e a tutti i tormenti morali che a questa si accompagnano.

Fra i compositori de’ nostri giorni o ci inganniamo, o ne pare che il solo Bellini, nella meravigliosa sua Sonnambula abbia molto bene addimostrato lo studio ch’ei fece dello stile della Nina di Paisiello, pieno di appassionatezza e di soave melanconia, e a giusto momento svarieggiato e rallegrato da tinte più vive, e da più animati disegni. Se i limiti di una biografia non cel vietassero vorremmo ora qui istituire un confronto fra la Nina del vecchio maestro di Napoli e la Sonnambula del contemporaneo siciliano, e far chiaro quanta analogia di genio artistico riscontrar si possa in questi due spartiti, salve per altro sempre le differenze risul-