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sembianza. Veggasi in fatto con quale ampiezza di stile ei ci si appresenti nel recitativo e nel largo della sua grande aria di sortita: la forte anima dell’esule che torna a rivedere la patria col cuor lacerato dal dolore dell’onta gettata sul nome dei Padilla da una figlia colpevole, si riflette nei caldi suoi accenti or lamentevoli ora impetuosi, secondo che sono diverse le idee che si alternano e turbano la sua mente.

Il secondo tempo di questo pezzo si svolge con un bell'effetto di felici modulazioni e si epiloga sapientemente in una cadenza finale nodrita di qualche felice armonia. Solo che siamo ora a notare di nuovo il guajo già osservato in altri pezzi, vogliam dire la poca o nessuna originalità nella forma generale. Quest'aria è felicemente tratteggiata nei dettagli, ricca di colorito, ma ordita con tal disegno che dal più al meno la fa essere somigliante nel tutt’insieme a tant'altre arie di comparsa.

Il sig. Donzelli, attore di fama già ampiamente consolidata, deve molle obbligazioni al maestro il quale con particolare accortezza ottenne di porre in bella evidenza i suoi speciali mezzi di cauto, non alterando mai il carattere della scena e congegnando in modo i suoi numeri che certi sfoghi di voce, lungi dal sembrare incomposti aggiugnessero forza or più or meno alla drammatica espressione. Solo ci sarebbe piaciuto che il signor Donzelli, pensando alla natura della situazione morale in cui si trova in quel particolar momento il personaggio da lui rappresentato, avesse studiala la sua azione scenica e misurata l’intensità della musicale declamazione in modo da far comprendere che i suoi scoppj di dolore ed ira erano effetto momentaneo della irrefrenabile ardenza del suo animo anziché il prodotto di certe maniere di canto in lui abituali e quasi diventate ingenite. A taluno degli spettatori al sentire il vecchio proscritto, che di soppiatto si innoltrò nelle stanze del palazzo regio, prorompere con tanta foga in parole di minaccia contro il medesimo don Pedro, potrebbe sembrare più che strana la sua imprudenza, ove pensasse al luogo in cui si abbandona senza ritegno al suo furore, e alle persone che per caso potrebbero udirlo e mandar a vuoto il suo disegno di vendetta.

Queste nostre critiche osservazioni sono sempre dettate dal proposito di occuparci anzi tutto della ragion drammatica e della possibile verosimiglianza scenica. Noi siamo intimamente persuasi che in fatto di rappresentazioni sieno musicali o nol sieno, debbasi anzitutto rispettare l’illusione: violate questa e la tanto bramata impressione morale è tradita: voi vi aspettate di commovervi, e se siete uomini di buon senso non fate che indispettirvi: i vostri affetti si tacciono in voi, o tutto al più, una passaggera soddisfazione materiale vi è data in iscambio di quelle vive impressioni che avrebbero dovuto scuotere il vostro spirito e toccare il vostro cuore.

(Sarà continuato.)


UN DUELLO ALLA PISTOLA, melodramma semiserio di F. Regli, musicato dal M. Degola (1).

Troppo più di frequente di quanto vorrebbero gli imparziali accade che le nostre platee si affrettino a dar contraria sentenza di uno spartito nuovo, massime se dovuto a compositore di fama nascente, senza tener giusto conto della parte di colpa che nell’esito infelice di esso spartito è dovuta all’esecuzione. Di solito si giudica cattiva o pessima la povera musica e non si bada più che tanto se a farla sembrar tale contribuirono la trascuratezza e la insufficienza di que' signori cui fu dato offrirla per la prima volta al pubblico giudizio.

Ben è vero che talora il disgraziato spartito, per la migliorata esecuzione, vien in seguito a poco a poco rimettendosi nel generale concetto; ma intanto, e poiché esso fu condannato le prime sere, la prima voce che ne corse contraria si divulgò, corse per la posta alle città più vicine, venne propagandosi alle principali piazze teatrali, e prima che l’opera, colpita da questa sorte infelice, si rimetta, ci vuol del tempo molto, e il povero maestro esordiente ha un bell’aspettare che sorga per lui il giorno della giustizia e della verità! A rimediare in parte a questo male che di grandissimo danno può talfiata riescire per l’arte, o disanimando un ingegno nascente o anche spegnendo del tutto il suo estro e il suo amore allo studio, devono adoperarsi per quanto è da essi i fogli più propriamente dedicati al progresso musicale, procurando di far un giusto riparto dei torti coll'indicare imparzialmente quali di essi siano dovuti al compositore e quali alla esecuzione. Se il caso del maestro Degola, l’autore del Duello alla pistola, non è proprio accennato tal quale nelle poche righe or premesse, certo è che in parte toccò anche a lui il mal destino cui abbiamo alluso nel breve nostro esordio. E fatto innegabile che riguardata nel tutto insieme l’opera del signor Degola venne male interpretata dagli attori cantanti, e che la mediocre sua riuscita è più che tutto da attribuirsi a ciò. Intanto cominciamo a riscontrare in questo spartito una tal quale unità di colorito che molto bene si presta a ritrar l’indole famigliare del dramma e ne conserva il carattere in un giusto mezzo, non alzandosi di troppo al serio nè cadendo nel buffo deciso. Codesta temperanza nelle tinte ingenera forse un pochin di monotonia e dà luogo a giudicar di grettezza l’invenzione del maestro; ma anche qui è il caso di esser giusti nella retribuzion della colpa, osservando che egli dovette forse adeguare gli slanci del proprio estro alla misura di quelli del poeta, che per verità non furono nè arditi nè peregrini.

Ciò sia detto per altro con una riserva. Ad alcuni pezzi e principalmente ai cori de’ soldati, non iscarsi nel libro, ben poteva dare il compositore un’impronta più viva e militare, e di questo modo far ispiccare maggiormente l’altra tinta affettuosa e gentile, per la quale il maestro ne sembra più naturalmente inclinato, tanto che la coltiva con amore e ne riesce con buon effetto. Con questa particolare ispirazione stimiamo dettati i pezzi che il pubblico potè gustar meglio appunto perchè affidati a migliori interpreti. Accenneremo due arie dei soprano, un duetto a soprano e basso e un altro a soprano e tenore. Un’aria del buffo ed un duetto dei due bassi, la cui esecuzione passiamo sotto silenzio, sembrarono a noi ben congegnati nello stromentale che il signor Degola svolge con accurata eleganza senza uscire dai limiti dello stile piano e melodico. Ciò però non possiamo dire del fare ricercato o preteso ricercato di due brani, ne’ quali cercando e non trovando il compositore, perde sé stesso e insiem con lui smarrisconsi i cantanti e l’orchestra. Il sig. Degola si attenga dunque a coltivare la melodia semplice e abbandoni un campo non suo.

Nel farci a tener discorso di questa nuova opera ne abbiamo sentenziata senza complimenti per cattiva l’esecuzione; ma ciò fu detto stando sulle generali e parlando dell’insieme. Ora vediamo se mai siavi alcun che di buono da spigolare nei dettagli.

Da quanto abbiam potuto rilevare la signora Tavola ha un metodo plano e netto; buon gusto ed accento nelle fioriture; una accurata interpretazione dei canti, la quale però, o ci inganniamo, ne sembra un prodotto della mente anziché una vera ispirazione del cuore. Ma por carità non insistiamo su queste astruse distinzioni che per caso non avessimo a pigliar qualche granchio!

Certo è intanto che la signora Tavola possiede una bella voce di mezzo soprano; ed è peccato vero che od ella od il maestro, od ambidue insieme, abbian voluto spingerla fino alla tessitura del soprano deciso con danno notabile nell’effetto, perché appunto le note più elevate di questa artista appaiono secche e calanti se prese a mezza voce, stridule e nasali se di forza; il che accade ogni qual volta si voglia far violenza all’organo vocale per ottenere un’elevatezza maggiore di quella del naturale registro. Le sue note di petto e quelle di mezzo sono di un bel timbro, ed appunto di esse deve valersi la signora Tavola con ispeciale cura pel miglior effetto del suo canto. Abbiamo liberamente manifestato su di lei il giudizio che ci venne dettando la nostra poca dottrina pratica; e ci indurremo a credere di esserci ingannati quando altri più di noi esperto varrà a farcene persuasi.

Il tenore Caggiati fa sentire qualche bella nota ed anche un giusto accentare, ma difetta di eguaglianza nella tessitura vocale, nè può dirsi educato a felice scuola, perciò che riguarda la pronunzia. Ne sembra però che altre pareti più vaste che non son quelle del Re potrebbero giovare all’effetto della sua voce che ha bisogno di essere spinta con sicurezza. laddove al contrario pare a noi ch’egli si creda costretto a rattenerla continuamente.

Il signor Zucchini, basso, dice molte cose con bel garbo.

Rimarrebbe a por fine a questa rassegna col far qualche parola del buffo: ma che cosa dire sul conto di lui? - Atteniamoci ad una considerazione generale.

I buffi degli anni addietro si credeano sciolti affatto dall’obbligo di cantare, per poter attendere più liberi a far ridere il pubblico; quelli d’oggidì per non cadere nell’antiquato, si stimano sciolti anche dall’obbligo di far ridere. Or, dimandiamo noi che cosa rimane? - Davvero che la critica musicale dovrebbe adoperare a porre un qualche riparo a questo guaio dell’arte moderna! Alla peggio, e finché non sorgano artisti che soddisfino all’attuale bisogno di buoni bassi comici, sarebbe il caso, per così dire, che i più inetti si limitassero a recitare a misura di musica, rinunziando in buona pace per fino all’idea di incaricarsi delle frasi melodiche che i poveretti troppo barbaramente manomettono.

Ci resterà a dir molto male dei cori quantunque forniti di alcune belle e sicure voci, bene al contrario dell’orchestra quando rinunzia alla vanagloria di sopraffare le voci dei cantanti.

A. M.



GIOVANNI RICORDI

EDITORE-PROPRIETARIO.


Dall'I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato

di Colcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVANNI RICORDI.

Contrada degli Omenoni N. 1720.

  1. Prodotto in Milano sulle scene del Teatro Re. la sera del 20 dicembre 1841, e cantato dalla signora Tavola e dai signori Raggiati, Zucchini, Cavisago, ecc