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così il poeta volle ficcarli a tutto costo quella pagina di righe rimate, e il maestro dovette pensare a musicarla. E ciò in che modo? — Dal più al meno, il solito recitativo, il solito andante, la solita volatina che va a legarsi alla cabaletta proposta, dagli stromenti da fiato, poi la cadenza finale e il pezzo è bell'e fatto. Pensieri aggraziati, felici periodi melodici non ve ne mancano, ma novità nel concetto, niente. E né più né meno una bella cavatina come ormai ve ne ha tante e tante; e quanto al Donizetti state pur certi che, ove il vogliate, ve ne schicchererà di simili con tutta facilità. — La signora Abbadia la cantò con bel garbo, e con cara accentazione, e ne ebbe meritati applausi. Quanto al piantarsi ch’ella fa dinanzi alla ribalta e il non moversi dal posto preso finché la cavatina è finita, fate conto che non sia sua niente affatto la colpa, ma tutta della natura delle cose che dice, per le quali in verità sarebbe fatica gettata il darsi troppo pensiero del movimento scenico. Quando piacerà al nume protettore de’ signori librettisti e maestri il liberarci da questi eterni pezzi accademici che in quasi tutti i primi atti delle Opere nuove d’oggidì ci si regalano, e che tanto varrebbe cantarli seduti al piano-forte, in cuffietta o cappellino di paglia e coi cori in frak nero e guanti bianchi, quanto il venir sfoggiandoli in costume storico e coll’apparato teatrale.
Sarà un po’ più mite la nostra critica per quel che riguarda l’aria di bravura colla quale si presenta a fare la nostra conoscenza la protagonista del dramma, stanteché cominciamo ad osservare che la musica di questo pezzo è colorita in gran parte con bella intenzione. Lo stato dell’animo di una fanciulla innamorata, che mentre vorrebbe esultare alla gioja di un’amata sorella non può vincere un tal qual senso di mestizia, e sentesi forzata a confidarle le proprie ambasce segrete, è dipinta con molta verità in un recitativo magistralmente tessuto e con bel garbo ricamato di soavissime modulazioni. E ciò a che cosa è dovuto se non se all’essere animata la breve scena da una felice idea drammatica che al maestro fu feconda di belle e spontanee ispirazioni?
La signora Löwe indovinò con rara finezza il pensiero dominante nella prima parte di questo pezzo. Gli atti della persona e del volto, la dolce serenità degli accenti temperata di un non so che di patetico e di soave, e interrotta ad ora ad ora da qualche slancio di felici note destinate ad esprimere il presentimento di un incerto avvenire, tutte queste varie tinte ella colse molto bene e le fuse in guisa da conservare la speciale impronta della composizion musicale. Viene poi la stretta o cabaletta che voglia dirsi, a rapidissime scale, a salti di voce, a gorgheggi, a trilli lunghi non so quante battute; ma tutte queste gemme tanto care a molti, ed eseguite con rara abilità dall’attrice cantante, noi non le gustiamo gran fatto, e le ragioni crediamo averle già abbastanza indicate. Aggiugneremo solo che questa seconda porzione dell'aria è a parer nostro interamente fuori di carattere e guasta e rompe in mal punto la molto bella unita di stile con cui in tutto il corso del melodramma ne sembra concepita l’intera parte di Maria. Queste nostre teoriche forse a taluni parranno troppo rigide, ma noi non sappiam che farci. Ne basta che le sieno desunte da’ principii inconcussi, e per ciò solo abbiamo protestato di volerle professare inalterabilmente senza darci fastidio del voto contrario di chi non la pensa come noi.
Siamo alla terza scena. La governante delle fanciulle viene ad annunziare una visita del Conte Mendez, nient’altro che il re travestito. È egli introdotto con tutto onore, ed entra accompagnato da un picchetto di guardie le quali (e nota bene che il re è in istretto incognito) vanno a schierarsi nel fondo della sala e stanno là colle picche alzate a udire tutte le belle frasi galanti che il loro signore sfoggierà colle due vezzose damigelle. Ciò è fuori del costume storico, e della convenienza.
È molto lodevole la perspicacia colla quale il maestro seppe tessere il canto di sortita di don Pedro in modo che mentre molto bene si esprime in esso la nobile galanteria, traspare ad un tempo il segreto della sua passione amorosa per Maria. Ronconi è attor cantante troppo esperto perché ci fosse dubbio che non sapesse molto finamente investirsi di questo pensiero e animarlo di tutto il prestigio delle sue spontanee e ben accentate modulazioni. È un vero peccato che nel melodramma intorno al quale ci occupiamo sia toccata a questo distintissimo artista una parte al tutto passiva. A nostro giudizio il poeta doveva o rinunziare interamente alla pretesa di ritrarre il don Pedro della storia, (1) severo, inesorabile nella giustizia, crudele nell’impeto della collera, per pigliar a dipingere invece un carattere molto meno odioso; ovvero propostosi una volta di foggiarlo a quel modo, doveva improntarlo di tutto il fuoco, di tutta l’ardenza superba che meglio convenivasi ad un’indole eccezionale decisamente appassionata. Ma sembra a noi che il don Pedro del melodramma sia troppo sdolcinato e paziente ove dovrebbe essere tutto impeto e bollore, e all’opposto inesorabile e bassamente crudele ove ne piacerebbe vederlo magnanimo e forte della sua sovrana grandezza. Il maestro troppo ligio alle intenzioni del poeta non adoperò forse quanto avrebbe potuto a temperar meglio le tinte di questo carattere, a nostro dire, sbagliate.
Spieghiamoci meglio con un pochin di analisi.
Nella scena quarta ei va a dare la scalata alle finestre di donna Maria. Costei ne è avvisata prima ch’ei siasi calato nella camera di lei, ed ella non so con quanta prudenza, non ordina già che si chiuda il balcone e che la governante si fermi a tenerle compagnia; ma al contrario lascia spalancate le imposte e manda via la buona vecchia col solo farle vedere un pugnale che si tien lì presso in un astuccio, e darle a capire che se ne servirà quale salvaguardia! La situazione, sebbene un po’ forzata, non manca di calore drammatico ed è fin qui sufficientemente rapida e decisa. Il concitato e incalzante movimento della musica molto opportunamente dipinge ad un tempo la natura del punto scenico, la trepidazione della fanciulla e l’ansia agitata ma repressa del giovine innamorato. Ma poi non ne piace allo stesso modo l’atto troppo comunemente teatrale di D. Maria, la quale al primo affacciarsele di don Pedro gli mostra alzato il pugnale e fa il gesto di volersene uccidere. E colui che altro trova a dirle di meglio per placarla se non se queste poche parole «Non temete... perdonate all’amore...» ed ella con disprezzo: «quale amore!» Poi subito per parte di Maria rimproveri amari e proteste d’innocenza, per parte del re avventuriero espressioni giovanili di tenero affetto e gemiti. O ci inganniamo o la situazione voleva essere presa con molto maggior calore e contrasto più animato di affetti, e prestarsi quindi più opportunamente ad uno sviluppo musicale ardito, vigoroso, incalzante. Ma forse il poeta anche qui fu servo delle solite regole librettesche e volle dare al compositore la stoffa da svolgere il solito largo di prammatica che si premette a tutt’i duetti. Manco male che questo di cui parliamo è lavorato con rara finezza e garbo di frasi e dai due cantanti mirabilmente interpretato. — Don Pedro promette a Maria di sposarla; anzi non solo promette ma giura; e allora la fanciulla si placa; ed ecco quindi susseguirne naturalmente la stretta o secondo tempo del pezzo in cui i due amanti, un istante prima separati dalla punta di un pugnale, ora si gettano in braccio l'un dell'altro (2) e si giurano felicità e fede eterna. Or domandiamo francamente: è ella questa una situazione che abbia della novità e della vera forza drammatica e innalzi il carattere dei due personaggi posti di contrasto d'affetto, o non serve anzi a rimpicciolirli l’uno a fronte dell’altro? Maria corre rischio d’essere creduta una scaltrita che sa molto bene le arti colle quali toglier di mezzo le indecisioni di un innamorato esordiente; Don Pedro fa la figura d'un buon giovinetto inesperto che si spaventa delle tragiche minacce dell’amorosa, e per torsi dalla paura s’affretta a giurare con tutta solennità un patto al quale mancherà quanto prima con una disinvoltura tutt'altro che eroica. Non sarebbe stato molto meglio ordire la scena in modo che, investito con severe ma vigorose invettive dalla forte donzella spagnuola, indarno l'ardente don Pedro opponesse le calde sue proteste, e da ultimo si vedesse volgere da lei con nobile disdegno le spalle, ed egli se ne rimanesse col cuore compreso di un misto di sdegno e di meraviglia, e più che pria rinfuocata la sua amorosa fiamma? Ma per una scena cosi svolta voleasi non già un pezzo di musica diviso nei soliti due tempi e coi soliti riempitivi strumentali e i ritornelli e la cabaletta d'uso; ma bensì tutto fuso di getto in un solo movimento, tessuto di modulazioni ora passionate e tenere, ora agitate e divampanti secondo il vario fluttuare degli affetti. La fantasia vivace di Donizetti non gli sarebbe mancata al bisogno, e il suo molto sapere gli avrebbe prestate le tinte necessarie a dar caldo risalto alla scena, la quale, o ci sbagliamo, o concepita nel modo da noi supposto riusciva di effetto indubitato. I modelli di così fatte magistrali composizioni non mancano; ma è duopo anelar a cercarli ne’ capolavori dei grandi maestri troppo a’ dì nostri trasandati. Però il duetto di Donizetti tal qual sta nella partitura, e considerato meramente come lavoro musicale, è un pezzo di bella fattura, e riuscirà gradito ogni qualvolta lo interpretino attori cantanti della portata di un Ronconi e della Löwe.
Tiriamo innanzi. — il carattere di Ruiz, il vecchio spagnolo superbamente geloso del proprio onore, è il meglio delineato in tutto il melodramma; ed ecco quindi il maestro che felicemente ispirato non esita punto a trovare- le locuzioni musicali e i colori
convenienti a ritrarne la fiera e passionata