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j) l’arte. 11 suo titolo è: Pradica musicae, jj ed è divisa in quattro libri. Il primo tratta i dell’intonazione, il secondo del canto mi3 surato, il terzo del contrappunto, ed il quarto delle proporzioni musicali. In questi quattro libri si trovano tutti i principii generali della musica. Il secolo decimosesto apre un’era novella alle arti belle. Un gran movimento intellettuale si desta da ogni parte del mondo. In Ispagna il genio di Calderon, e di Lope de Vega apre all’arte drammatica una carriera feconda, e Cervantes produce quell ammirabile capolavoro di buon senso di filosofia, di spinto, di satira, che l’Europa tutta ammira. In Italia Petrarca, Tasso, Ariosto aprono novelli orizzonti alla poesia5 Rabelais, Montaigne trovano in Francia nuove idee originali, pittoresche. E" Inghilterra si scuote alla voce di Shakspeare. Rafaello la divina l’arte della pittura; Brunelleschi fa gigante il genio dell’architettura. In mezzo a tanto maraviglioso agitarsi delle poetiche facoltà dell’umana generazione, in tanto lussureggiare di immaginazione, 1 arte musicale doveva necessariamente subire aneli’ essa una gloriosa metamorfosi, e necessariamente doveva sorgere un uomo di genio, per compire l’opera incominciata da Guido, e mettere 1 ultima mano al già grandioso edilizio.. APalestrina toccò questa gloriosa missione. Aloe Palestrina nacque nel 1512!) a I’aleslrina (l’antica Prenestre) città dello Stalo Romano; ei prese il nome dalla patria. Ei fu allievo del famoso Gondimel, e torna a tutta gloria della Francia, 1 essere stato questa volta un francese che formò un gran maestro italiano. La grandezza del genio di Palestrina non tardò a collocarlo nella prima sfera de’ compositori Italiani. Nato nell’indigenza e nell’oscurità, cominciò coll" accattare elemosina, fu raccolto da qualche pietoso paesano, indi protetto da un signore romano. Spatriò, e fu sua fortuna,giacché abbattutosi nel suddetto Gondimel, questi da uomo lino ed accorto s’avvide dell’ingegno ancor latente del Palestrina, prese ad amarlo, lo educò coi primi rudimenti, e lo fornì a poco a poco di tutte le cognizioni ch’ei si aveva. Ben presto lo scolaro lasciò di lunga mano addietro di sé il maestro. La melodia, lo stile di Palestrina sono tanto perfetti, quanto sono numerose le sue opere, che si possono, per una ben rara eccezione nella storia musicale, chiamare altrettanti capolavori. Palestrina é a buon dritto considerato come il creatore della moderna musica ili chiesa. Egli inori nel 1594. Tutta Roma accorse al suo funerale. La Chiesa di S. Pietro raccolse le sue spoglie, e per prezzo de’ tanti servigi resi alla sua arte, ei fu sepolto ai piedi dell’altare di S. Simone, e S. Giuda. Laborioso quanto sapiente, e fecondo quanto ingegnoso, Palestrina compose gran numero di opere musicali. Numeriamo qui le principali tanto stampate che manoscritte. — La famosa Messa Marcello così chiamata dal nome del Pontefice per ordine del quale la compose, Papa Marcello II. — I dodici libri di messa a quattro, cinque, sei, sette ed otto voci. — Due libri di mottetti a quattro voci. — Due libri di madrigali a cinque voci. — Degli inni per tutto l’anno cristiano, a quattro, cinque e sei voci. — Due libri il’olfertorii a cinque voci. — Magnificat dell’ottavo tono. — un libro di litanie a quattro voci. 95 Le opere di Palestrina, dice Laborile, nei suoi Saggi sulla Musica, sono monumenti della scienza deposti negli archi vii delle principali cappelle d’Europa. Grande armonista e melodista in un punto egli apri all’arte una strada novella, e dopo più di due secoli, le sue composizioni sono ancora udite in tutte le Chiese della Penisola Italiana collo stesso entusiasmo che destarono al loro primo apparire <*’. T. (I) la apposito articolo biografico si daranno più compiate «I estese notizie intorno a I’alestrina.
L’Eslcns.
TEORICHE MUSICALI. DEXI/ ISTROME TA/.I«li. Atrr. in. (*). La viola ili amore è uno stromento di suono debile e dolce, al tutto originale. Ella ha un non so che d’angelico, e tiene della viola e de’ suoni armoniosi del violino. Se non fosse il signor Urban che solo a Parigi la suona, questo strumento sarebbe ora atlatto sconosciuto. Mayerbeer se n è servito felicemente nel recitativo precedente la romanza di Raul nel primo alto degli Ugonotti. Ma quello è l’effetto di un solo-, qual sarebbe in un andante di carattere estatico l’effetto di molte viole d’amore cantanti a più parti, o accompagnando il canto de’ violoncelli colle loro armonie! Ecco pure uno stromento che si lascia perdere! E veramente una gran miseria! 11 baritono, lo strumento prediletto del principe d’Estherazy, e pel quale Ilayiln scrisse tanti pezzi bellissimi, non era, paragonalo al violoncello, se non quello che è la viola d’amore paragonata alla viola. Non vi è alcuno che Io suoni: egli è affatto perduto. I contrabbassi una volta eseguivano quasi la parte medesima che il violoncello; cassai di rado questi si facevano suonare mentre tacevano i contrabbassi. Oggi non pure accade ili spesso di assegnare la parte dei bassi ai soli violoncelli, ma più sovente ancora, come detto è di sopra, si scrivono per questi una o più parti distinte. Talvolta essi raddoppiano con tremalo una nota tenuta de’contrabbassi; talvolta fanno sentire la terza o la quinta della nota grave, ovvero eseguiscono un movimento mentre i contrabbassi percuotono solo le note buone dell’accordo, od anche da sé eseguiscono un accompagnamento cantante. Queste diverse maniere (dalla prima infuori) sogliono sempre portare debilimento alle note fondamentali dell’armonia. La parte del basso così abbandonata dai violoncelli, torna sorda, rozza, durissima, e mal si collega colle parti superiori per cagione della enorme distanza di estensione che è fra le parti acute e quella del contrabbasso. Questo difetto non si può in certo modo render meno spiacevole aiutando le parti dei contrabbassi con fagotti, officleidi, tromboni, o con clarini; questi timbri non troppo si confanno a quello del contrabbasso, e quasi sdegnano di accoppiarsi con lui. Oggidì è invalso l’abuso di scrivere pel più pigro di tutti gli strumenti passi di tanta rapidità che a fatica potrebbono eseguirsi dai violoncelli. Grande inconveniente ne risulta: i contrabbassi per loro natura inetti ad affrontare queste difficoltà, ove vengali loro incontrate, le schifano, ed aliti Vediinum. 5, S, tO c IO di questa Gazzetta Musicale. tro non fanno che semplificare il passo. Ma la semplificazione dell’uno non essendo quella degli altri, poiché tutti gli esecutori non sono idonei d’un modo a rilevare l’importanza armonica delle diverse note onde il passo è composto, ne segue disordine e orribile confusione. Questo caos ondeggiante pieno di strani suoni e di fluttuante l’avviluppaménto di note, s’accresce per cagione degli altri contrabbassi più zelanti, o più nel loro valor confidenti, che fanno pur di tutto, ma inutilmente, per eseguire tutto ciò che veggono scritto. I compositori dovrebbono guardarsi dal non richiedere dai contrabbassi che cose loro possibili, e la cui esecuzione possa impromettersi perfetta. Al presente è riprovato e sbandito il vieto sistema dei contrabassi semplificatori, sistema generalmente adottato nella vecchia scuola ili strumentale esecuzione. Se il compositore non ha scritto che cose confacenti alla natura dell’islronienlo, l’esecutore deve farle sentire come esse sono, senz’altro aggiugnere o levare. Quando poi il male venga dal compositore, desso, e gli uditori ne debbono sopportare le conseguenze; l’esecutore in tal caso non è tenuto altrimenti a risponderne. Ora v’ha uno scisma fra i contrabbassisti sul modo di accordare e di armare il loro strumento. Gli uni continuano a tenere il contrabbasso a tre corde accordato in quinte, sol, re, la (ili grave in acuto); gli altri s’adattano all’uso invalso, si dice, in quasi tutta la Germania, di quattro corde accordate in quarte, mi, la, re, sol. Quest’ultima disposizione ne pare a preferirsi, prima per la facilità d’esecuzione, non richiedendo l’accordatura in quarte le smanie alare tanto frequenti; poscia per l’utilità inestimabile dei tre gravi suoni mi, fa e fa diesis che mancano ne’contrabbassi a tre corde, il cui difetto ad ogni poco disturba, e sconvolge l’ordine de’hassi ben messi, obbligandoli ad una spiacevole e inefficace trasposizione in acuto. Quando io mi sono levato declamando contro i passi complicati del contrabbasso, non ho avuto altrimenti in animo di proscrivere certi gruppi veloci di note, però di poca estensione: anzi cinque o sei note diatoniche figurate per esempio in fusee, poste innanzi o dopo la percussione del vero basso non sono di ardua esecuzione, e l’effetto ne può tornare felice. Si ponga mente alla furiosa scossa che danno all orchestra i contrabbassi che pigliano il fa acuto preceduto da tre note piccoline do, re, mi, nella scena infernale dell’Orfeo, sotto i versi: «E lo spaventino pii urli di Cerbero». Questo rauco scombuiamento, una delle più elevate inspirazioni di Gluck, tanto e qui più terribile perché 1 autore lo ha affidato al terzo rovescio dell’accordo di settima diminuita (fa., sol diesis, si. re) e perché per dare al suo pensiero tutto il rilievo e tutta la possibile veemenza, ha raddoppiati all’ottava i contrabbassi non solo coi violoncelli, ma colle viole e colla massa de’ violini tutti. Un altro esempio non meno luminoso dell’effetto che danno i gruppi di queste rapide note nei contrabbassi, si trova nell’uragano della sinfonia pastorale di Beethoven. Niente può.rendere meglio idea del cedere e rinforzarsi furiosamente del vento, che mena dirotta piova, e romba soffiando con impeto grandissimo. Talvolta, ma assai di rado, torna molto (ÌÈfffi K SÉ