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e trascrittala, trasponendo a attribuendola a sè. Questa testimonianza non ha per altro alcun valore, e la critica, come vedremo la distruggerà pienamente; ma intanto il Fontani ed il Favaretti, e forse anche il Nannucci furono sviati dalla verità, ed il Bartoli rimane dubitoso e sospende il suo giudizio, il quale pare che tendesse ad essere favorevole al frate bolognese.

Nel 500 si riparla del nostro autore. In quello splendido secolo della nostra letteratura nel quale lo spirito artistico risorge e vigoreggia nutrito alle purissime fonti della lingua e delle idee nazionali, nel quale con ogni diligenza si dà opera allo studio dei trecentisti, rivive pure frate Guidotto e troviamo essere fatta lodevole menzione di lui nella più eccellente delle opere di filologìa di quel secolo.

Leonardo Salviati, che più d’ogni altro contribuì a rendere stabili e ferme le regole della italiana favella, e che gittò le basi dal grande Vocabolario della Crusca, presentò, negli Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, nel libro II, cap. XII un catalogo completo dei testi di lingua, dai quali dovea trarre chi volesse avere coscienza d’essere buon scrittore. Fra gli altri, a pagina 2391 parlando dell’Etica di Aristotile pubblicata in Lione nel 1568 dice, che le faceva seguito la rettorica del «Padre Maestro Guidotto o Galeotto da Bologna.» Si comprende facilmente che il Salviati, che non si era proposto uno studio particolare su questo scrittore, non s’addentrasse a ricercare le ragioni dei titoli «Padre e Maestro» e ponesse come sinonimi «Guidotto o Galeotto.» Egli aveva avuto alle mani una vecchissima stampa, (oltre a quella di

  1. Ediz. della Società Tipografica de’ Classici Italiani, — Milano 1809.