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Cominciamo pertanto dal passare in rassegna tutte le notizie che altri scrittori ci hanno date sia intorno all’uomo, sia intorno all’opera sua ed esaminiamole; seguendo per quanto ci sarà possibile l’ordine cronologico.
In ordine di tempo adunque noi ci dobbiamo rifare da quel frate, di cui ignoriamo il nome, il quale, trascrivendo un codice della rettorica di Guidotto, omette il terzo trattato, scusandosi col dire, che l’autore in esso ripete, trasponendo le parti, ciò che ha già scritto nel secondo, e con linguacciuta insolenza dà dell’ubbriaco e dell’ignorante, non pure a Guidotto, ma a quei lettori, che dalla sua sentenza dissentendo, volessero difendere il bolognese, dicendo che essi non sanno l’a, b, c, e il Deus in nomine. Qual conto si debba fare di questa breve ed acerba critica ragioneremo a suo luogo; ma qui importa notare che, ritrovandola noi già scritta in un codice della fine del secolo XIII, ci dimostra in quel tempo essere già l’opera che noi studiamo assai divulgata.
Per due secoli l’opera si sparge nelle parti più culte d’Italia, il che possiamo rilevare dalle numerose copie che ne furono fatte, d’onde si deduce che tale volgarizzamento era studiato e tenuto assai in pregio, ma non troviamo notizia alcuna di giudizii scritti, enunciati dagli uomini dei secoli XIV e XV; tranne che sulla fine del secolo XIV abbiamo un codice della libreria Riccardiana segnato col N. 2338 nel quale è trascritta l’operetta di fra Guidotto, dicendosi nella intitolazione, che essa fu recata a certo ordine da messer Bono di messer Giambono ed in fine una nota del copista ser Geri da Rabatta, dalla quale parrebbe che Guidotto da Bologna avesse rubata l’opera al Giamboni,