Pagina:Gavuzzi - L'Adramiteno e le Favole di Esofago, Torino, Fontana, 1828.pdf/86

FAVOLA VIII.




LE RANE, ED IL RAGNO.


Nel regno di Cappadocia un nobile signore possedeva una superba casa di campagna vicino ad una deliziosa palude. Stava in quelle cristalline acque una antica prosapia di Rane Illustrissime, che erano tenute in grande stima presso i popoli del primo secolo. Poichè alcune di esse avevano regnato; altre avevano insegnato il canto fermo ai popoli dell’Alsazia; altre avevano inventato l’orologio a ganascia; alcune avevano manipolato un raro secreto contro la sordità dell’Esagono; molte avevano scritto sulla materia difficile del feudo Bigio 10; ed alcune per gran dottrina non pisciavano più, ma solo attendevano alla vita ecumenica. Or queste Rane avevano tutti i giorni avanti loro un oggetto di grande invidia, e così di fiero tormento, ed era, che quando s’aprivano i balconi di quel palazzo, vedevano un gran Ragno impinguato, che con superbo incesso passeggiava gli angoli di quelle alte superflue pareti, e dominava il soffitto maggiore dell’arcicamera 11 dell’udienza: e, quel che è peggio, sovente si portava nei rettangoli dell’atrio in vicinanza della loro famosa palude, e con termini improprj ingiuriava le stesse Rane, dando loro del Chi .... Tu ...., e dicendo loro, che pel troppo star nel fango era loro marciata la coda, ond’erano divenute brutte femmine ignude, e che