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»E vorresti, ch’io stessa
» Diventassi (ahi che orror!) la tua tiranna:
» Ah! seconda, ben mio,
» L’affannoso desìo, che il cor mi preme.
» Torna, deh! torna, o Prence ai Roman colli;
Vanne trionfator, e lieto vivi
A Roma, all’Asia doma, all’urbe intero:
» Lasciami pure, e il mio buon cuor ti basti:
» Quest’atto aumenterà li nostri fasti.
Adr. Anima grande in pastorella umile! ec.
» Ecco, che mentre intanto
Già mi spoglio, e depongo il regal manto ec.
In alto di ritirarsi in un fosso per cominciare a deporre civilmente i calzoni.
Cib. » Meglio è dunque, che a tempo
» Uno sforzo si faccia.
» Orsù, coraggio, via lasciami in pace.
Dà un urtone a Adramiteno.
Adr. Cedo alla tua virtù, ma ti sovvenga
Dell’infelice amor d’Adramiteno...
» Per carità, Ciborra, ah ti rammenta,
» Che ti fui caro un dì! Sospirando enfaticamente.
Cib. Deh! non parlar così.
Tu mi vuoi far morir; già vengo meno.
Scolorisce, e cude supra un letamajo.
Adr. Apri le luci belle... Scuotendola per le gambe, e poi slacciandole il busto.
» Già l’opprime il dolore. Inique stelle,
» Uccidetemi almeno. Con trasporto arrabbiato.
» Ma che più mi trattien, che più pavento?