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mentre Ovidio non avrebbe chiamato peregrine le onde della Sicilia. Ciò non ostante potendosi accordare alcuni caratteri dello storione coll’elope d’Aristotele forse l’elope corrisponde allo storione, molto più che nel porto di Siracusa non sono radi gli storioni, ed Archestrato ivi vuol nato l’Elope.

(25) Lib. 7, cap. 9, pag. 286.

(26) Aten. lib. 7, cap. 22, pag. 327.

Il fagro è del genere degli spari, ed è descritto sotto il nome di pagrus, o pagre da Willoughbi, e da Duhamel.

(27) e (28) Questi due frammenti, che si rapportano separati da Ateneo. (Il primo lib. 7, capitolo 20, pag. 320 e il secondo lib. 7, cap. 21, pag. 325) si possono riunire benissimo come si è fatto.

Non si comprende perchè il nostro poeta faccia a’ Cari l’ingiuria di chiamarli colle gambe storte: ma le parole non si possono volgere altrimenti. Tra le interpretazioni, che non si possono ammettere vi è quella robusti di membra.

(29) Aten. lib. 7, cap. 22, pag. 326.

La mancanza di esatte descrizioni, e la varietà dei nomi, che sortiva il medesimo pesce in diverse contrade, ci rende ad ogni passo dubbiosi nel definire a quali oggi si corrispondono i pesci ricordati da Archestrato. L’Aulopia era chiamata Anthias, Challicthin, Callionyma, e sin anco Ellope. Ma i nomi più comuni erano quelli di aulopia, anthia e pesce sagro. Dorione poi e tanti altri aveano tutti questi nomi come quelli che indicavano non un solo pesce, ma tanti pesci diversi. Ciò non ostante Rondelet ha descritto questa specie d’anthia giusta alcuni caratteri indicati da Oppiano che, secondo pare, non descrive l’anthia d’Aristotele, ed è affatto diversa da quella che ricorda Eliano. Siamo quindi del tutto incerti sull’aulopia d’Archestrato.

(30) Aten. lib. 7, cap. 20, pag. 322.

(31) Aten. lib. 7, cap. 20, pag. 321.

Si è confuso il sargo col sargino, ma pare che siano due pesci differenti. Il sargino, secondo Rondelet è del genere de’ muggini, e al dire di Camus di quella specie, che i Francesi chiamano mugevolant o falcone di mare, e crede così spiegare quel verso d’Ovidio.

.... sargusque notis insignis et alis.

Il sargo poi è comune opinione, dopo ciò che ne ha detto Rondelet, che appartenga al genere degli spari, in cui si comprendono da’ moderni l’orata, la salpa, il dentice, il cromi, il melanuro.

Potrà quindi corrispondere allo sparus sargius di Linneo.

(32) Aten. lib. 7, cap. 5, pag. 178.

In questo frammento descrive il poeta il finir dell’autunno col tramontar delle plejadi, come nel precedente alla descrizione della stagione medesima aveva accompagnato la circostanza del tramontar d’orione. Questo passo concorre con tanti altri passi di Virgilio, Ovidio, Columella, e Varrone Plinio ci mostra non solo essere stato costume degli antichi di descrivere col corso delle stelle le stagioni, e i diversi tempi della medesima stagione come fa in un altro frammento il nostro poeta, ove vuole che il sagro si mangi allo spuntar di sirio, ch’è all’ultimo della state; ma ci fa ancora rilevare, che i Greci si servivano al medesimo oggetto eziandio del tramontar mattutino degli astri, sebbene non fosse visibile al nascere, che succede verso le 8 della sera, e non al tramontare, che ha luogo verso le 8 della mattina, e il tramontare di queste stelle prima di mezza notte non è per noi visibile che in marzo ed aprile. Plin., lib. 18, c. 25: Inter solstitium et aequinoctium autumni fidiculae occasus autumnum inchoat die XLVI, ab aecquinoctio eo ad brumam Vergiliurum matutinus occasus hyemem die XLIV.

Archestrato adunque segna il principio dell’inverno col tramontare mattutino delle plejadi, e d’orione. E però il coco famoso presso Damosseno il comico (Aten. lib. 3, cap. 23, pag. 102) seguendo il nostro poeta dice apertamente, che un buon cuciniere deve sapere quali cibi sien gustosi nel tramontar delle plejadi, o nelle altre mutazioni dell’anno. — L’amia degli antichi, a parere di Rondelet, è il boniton, o sia bonito de’ marinari, che è lo scomber pelamys dell’oceano. Ma questa pelamide non pare che sia la stessa di quella del Mediterraneo, la quale corrisponde alla pelamide di Beloo, o almeno è diversa da quella che si pesca in Palermo. Quel pesce che tra i Siciliani si dice palamita, è lungo un piede e mezzo in circa, ha la testa nera, il dorso al quanto fosco, e il ventre biancastro, ed è stimato più dello scomber alalunga; camminando a torme, si avvicina ai lidi di Sicilia collo scomber thymnus; però in gran copia si pesca nelle tonnare, ove anche si sala. Questa pelamide pare che si convenga ai caratteri, che Matron, il parodo, attribuisce all’amia nella cena attica presso Aten. lib. 4, cap. 5, pag. 135. Egli la chiama di color ceruleo, grande, e che conosce i profondi gorghi del mare. Ciò non ostante il modo con cui l’apparecchia Archestrato c’indi-