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tra i siciliani vopa. Ma questo pesce non ha qualità per cui alcuni lo possano apprezzare, secondo che dice Archestrato, nè può avere la grandezza, che egli desidera. Pare che il pesce asino callaria del nostro autore sia più presto il gadus merluccius di Linneo in siciliano miruzzu, che sebbene sia delicato, pure ha una certa carne spugnosa come lo descrive il nostro poeta. Per altro il pesce asino degli antichi fu anche tra loro chiamato gado; Aten. lib. 7, cap. 18, pag. 316, e la forma del gadus merluccius è simile a quella del merluzzo, o baccalà.

(17) Aten. lib. 7, cap. 15, pag. 305.

Il pesce cinghiale κάσπρος de’ Greci, sappiamo essere ad aspra pelle, e che era, al dir d’Aristotele, nel fiume Acheloo, che separa l’Acarnania dall’Etolia; ma ignoriamo a quale pesce possa oggi corrispondere. Il carattere che ne dà Aristotele, è quello che grugnisce, ma questa è una qualità comune a molti pesci. Si ricava solamente da Archestrato, ch’era assai rado e molto gustoso, e che si trovava in Ambracia.

Dal verso 5, del testo sino al fine di questo frammento non pare che si possa trarre un senso chiaro; gl’interpreti si dividono in varie opinioni. Noi abbiamo seguito quella di Casaubono, la quale sta soggetta a meno difficoltà, pensando egli, che si dice poter avere un tal pesce solamente i ricchi, i quali sono rappresentati ne’ banchieri, e li dipinge pel costume, che aveano, di tenere i denari nei cestelli di giunco da’ Latini poi detti fisci.

Non possiamo poi convenire con Casaubono e cogli altri, che vogliono riunire l’ultimo verso ai precedenti. Questo dovea senza dubbio essere principio di nuovo discorso. E così da noi si è interpretrato.

(18) Aten. lib. 7, cap. 20, pag. 321.

(18) Aten. lib. 7, cap. 18, pag. 313.

La parola σπλωτή, che vuol dire fluitans ad aquae superficiem, o pure ondeggiante era riserbata in Sicilia per la murena, la quale anche allora vi era assai celebre.

Marziale, lib. 13:

Quae natat in siculo grandis muraena profundo

e Giovenale, sat. 5:

Vironi muraena datur, quae maxima venit
Gurgite de siculo.

(19) Aten. lib. 7, cap. 13, pag. 299.

Nell’ultimo verso l’edizione di Due Ponti se-

guendo Coray legge ἀπήρινος, privo di parti genitali, ma tutti i codici leggono ἀπύρινος, che vuol dire tutto polpa senza nocciolo. E poichè l’anguilla non ha altre spine fuor che quella del dorso, però abbiamo seguito la comune lezione.

(20) Aten. lib. 7, cap. 20, pag. 322.

Il sinodonte si convien da tutti, che corrisponde al dentice.

(21) Aten. lib. 7, cap. 14, pag. 301.

Pare che la Lebia fosse stato il nome antico, e poi si fosse a questo pesce dato il nome di Epato, giacchè Aristotile non fa mai menzione della Lebia, e cita soltanto l’Epato. La descrizione di questo pesce non si trova ne’ libri, che ci restan di lui, e solamente sappiamo da Ateneo, che era un pesce da scoglio simile al fagro, che vivea solitario, carnivoro, co’ denti a sega, e di color nericcio. Rondelet descrive un pesce, nel quale riunite ha trovato tutte le qualità indicate da Ateneo, ma non sa assegnargli nome alcuno volgare.

(22) Aten. lib. 7, cap. 16, pag. 307.

È qui da notare, che il muggine secondo la testimonianza di Filemone, che parla de’ fiumi di Sicilia, si chiamava ancora πλώτες.

(23) Aten. lib. 7, cap. 5, pag. 286 e cap. 12, pag. 295.

Questo pesce corrisponde allo squalus vulpecula di Linneo. Era chiamato cane da’ Siracusani ed è in verità una specie de’ cani marini. Secondo Rondelet in Linguadoca si chiama peis paso, e si rassomiglia in qualche modo a quel pesce, che da’ marinai in Sicilia si chiama pesce sorcio. Ateneo crede che questo pesce di Archestrato corrisponda allo acipensor de’ Romani, che al dire di alcuni è lo storione.

(24) Aten. lib. 7, cap. 12, pag. 310.

Molta è l’incertezza de’ naturalisti sull’elope. Alcuni credono che non il galeo volpe d’Archestrato, ma questo pesce sia l’acipenser, cioè il nostro storione; ma Plinio crede di no, appoggiato a quel verso d’Ovidio.

Et pretiosus Helops nostris incognitus undis;

giacchè lo storione non è incognito ne’ mari d’Italia e particolarmente di Sicilia. Forse vi ebbe chi chiamò l’acipenser de’ Romani col nome di Elope; ma il certo è che l’Elope d’Archestrato non è quello d’Ovidio, perchè quegli vuole che nasca in Siracusa e che vi sia abbondante; e di non esser lo stesso si rileva pure da quel verso d’Ovidio:

Tuque pereginis acipenser nobilis undis;