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altero, e raro mostro ha fatto conto di mostrar al mondo Bacco due volte generato, over Giano bifronte, ò Pan due corna d'avorio in testa; e non Briareo tergemino, l'Hidra da sette capi, ò Medusa monstruosa, et horribile da vedere. Se vi sarà dottrina dentro ò nò questo giudicio tocca ai dotti. Si contenta ben l'Auttore, che il giudicio delle ciancie tocchi a Momo, che s'intende più di queste, che d'altra cosa. Quest'ordine particolare è mò piaciuto ancor'a lui, come tal'hor piace a un pittore d'ordinar le sue figure a modo suo. Però non importa, se l'opera è distinta più a una foggia, che all'altra, pur che non manchi di gratia, et ornamento, et v'ha raccolto dentro i nomi de' più segnalati huomini c'ha saputo, non essendo obligato a tener memoria dell'universo, con tutto che gli comprenda honoratamente sempre nella conclusione de suoi periodi; e non ha fatto almeno come quelli, che ricevendo la penna d'oro, inalzano indifferentemente i sciocchi, e i savii insieme. Non si pigli Momo per vero se l'Auttore copertamente morde alcuno, perché, tacendo i nomi, non vien a imitar Pasquino, ne risentirsi delle bestie, non pon terrore a gli huomini, havendo schermi et ripari contra gli insulti loro in molti modi. Ma sopra tutto non si disperi se questa Piazza è dedicata all'invittissimo Alfonso Secondo Duca di Ferrara, perché non ricerca l'Auttore haver fama, e splendore per l'opra dedicata, ma per le qualità del soggetto, et per la forma delle cose, che in tal compositione si ritrova, sperando, che quell'unico Signore la debba havere accetta, come giovevole ai governi del suo dominio, ai giudicij civili, a i parlamenti dello stato, al regimento della militia, al decoro Signorile, alla forma della corte, et all'intender brevemente quanto sua Altezza vogli ò curiosamente, ò gravemente ricercare; et si contenta solo d'intendere, che la sua Piazza habbia gratificato l'occhio d'un personaggio tale, havendola formata per il suo gusto particolare, senza aspettare il ramo d'oro dalla Sibilla Cumea, come questo furfante di Momo, espressamente tocca nel suo parlare. Ma perché basta à me d'haver difeso a sufficienza presso al collegio di tanti Numi questo Scrittore si impugnato da Momo, et dà suoi pari, porrò fine al mio dire, senza immergermi dentro nelle sue proprie lodi, per non parere, che la cieca passione m'habbia dominato nel celebrarlo secondo i meriti, ma che la sola equità m'habbia spronata, e spinta a reprimer la lingua insolente di questa belva irrationale, che davanti à un tanto concistoro ha gracchiato come un Corvo, e latrato come un Corvo rabbioso contra di lui, fate voi la sentenza, et io m'accheto.
Avendo noi sapientissima Dea, la vera notitia, et conoscenza perfetta della natura di Momo; e conoscendo quanta prudenza regni