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DE' PROFESSORI D'IMPRESE,
et d'Emblemi ancora. Disc. I.X.


A

SSEGNANO costoro, c'hanno trattato con diligenza, la materia delle imprese, si come è stato Francesco Caburacci, in una diffinitione all'impresa di questa sorte; che impresa non sia altro, che una compositione di corpo dipinto, & di motto insieme, per accennare un particolare proponimento all'huomo, & per questa diffinitione l'impresa si distingue dalle note Hieroglifiche, & dall'arme delle casate, le quali ambe i soli corpi ricevono, & così da simboli, overo Emblemi perchè quantunque essi siano all'impresa assai vicini, havendo pitture, & parole ad uno intento concesse, & legate, tuttavia differiscono, & nell'intentione, & nel modo, perciochè quanto alla intentione altro non vuol rappresentare il simbolo, che un precetto morale nõ determinato à una sola persona, ma à tutte egualmente pertinente, dove l'impresa mostra solo quel determinato proponimento, che il tale imprende a fare, & di che hà nell'anima ferma, & stabile risolutione & quanto al modo il simbolo può comporre come una historia, come si scorge in quello della Dea Iside, nel quale interviene l'asino, l'asinaio, l'effigie della Dea, & una turba d'huomini, che le fanno riverenza, & oltra di ciò l'Emblema si prevale de' corpi humani, ove l'impresa sfugge la moltitudine, & insieme la compositione delle humane figure. E in somma l'Emblema da un particolare cava un precetto universale, ma l'impresa argumenta sempre ad un particolare, & più presto accenna, che compitamente isprima, non lasciando il simbolo cosa adietro da dire, per dichiaratione de' corpi dipinti, nella qual materia è stato felicissimo l'Alciato al giudicio di tutti i dotti. L'impresa adunque fu ritrovata à questo fine principale d'isprimere accennando un proponimento virtuoso, & illustre dell'animo intorno a cosa fatta, ò che far si deve, non importando altro questo nome d'impresa, che cosa fatta, ò cosa volta a farsi, e secondariamente affine di tener memoria delle virtuose, & honeste operationi. I precetti delle imprese universali sono, che l'impresa habbiano un sol concetto che le parole dell'impresa siano ò trovate presso buono Auttore, composte di maniera, che non possano stare, nè significare il concetto dell'Auttore senza la figura, & di quì si conosce l'imperfettione di quelle imprese, nelle quali il motto per se stesso compitamente significa senza l'aiuto della figura, la quale per ciò viene a rimanervi posta di soverchio, come Alessandro Farra nel suo Trattato delle imprese adduce per essempio quella del Signor Mutio Colonna, il cui motto era tale. Fortia facere, & pati Romanum est, il qual motto è riputato troppo espressivo da se medesimo. L'istesso si ricerca nelle figure (ò per parlare secondo l'uso commune) nel corpo dell'imprese, che non spieghino il concetto dell'Auttore in modo, che il moto sia superfluo, perche altramente s'incorrerebbe in tre errori. Il primo, che niuna differenza sarebbe da queste figure a i Hieroglifici, i quali da se stessi naturalmente significano. Il secondo, che le parole sarebbono poste di soverchio. Il terzo che esse parole, che sono l'anima dell'impresa, non verrebbono almeno à far altro ufficio, che servire alla figura, non altro operando, che dimostrare la sola natura di quella cosa, che ella rappresenta, il che non è manco biasimevole, che la vita di coloro, l'animo de' quali priva dello splendore intellettuale, resta tutta ne' sensi corporali immersa; ne' quali errori dice il predetto Autt. esser incorso Mons Giovio primo Scrittore di questa materia, et stimato maestro delle imprese, come nel Venena Pello d'Alviano, et nell'inclinata