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Da ciò che ho detto si comprende come il Barone fosse una di quelle anomalie viventi che ogni tanto si incontrano e pei quali studio e scopo nella vita è il mistificare gli altri. Mentre una facoltà speciale dello spirito gli assicurava l’esercizio di questa scienza della mistificazione, la sua apparenza fisica lo forniva, per praticarla, di agevolezze poco comuni. In verità io credo che nessuno degli studenti, durante la famosa êra del barone Ritzner, abbia penetrato il segreto di quella strana natura, e son certo che nessuno all’Università, all’infuori di me, abbia creduto l’amico mio capace di uno scherzo sia di parole che di azioni. Ma che! Ne avrebbero piuttosto accusato il vecchio bull-dog di guardia al cancello del giardino, o lo spettro di Eraclito, o la parrucca del professore di teologia! E ciò mentre poi le bizzarrie le più imperdonabili erano sempre ispirate, se non da lui, almeno per causa sua, e colla sua complicità.

La bellezza, se così può dirsi, della sua arte di mistificare consisteva nella sua grande abilità (risultato di una conoscenza, quasi d’intuizione, degli uomini e di un sangue freddo sorprendente) per cui appariva che le beffe si facessero suo malgrado, ad onta dei suoi sforzi per impedirle e per salvaguardare il buon ordine ed il decoro dell’Università.

La profonda e solenne mortificazione che, a ciascun insuccesso dei suoi virtuosi tentativi, appariva su tutti i lineamenti della sua fisionomia, non lasciavano nell’animo dei compagni, anche i più scettici, il più leggero dubbio sulla sua sincerità.