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Pöe non vede, non cerca che questa facoltà, il punto culminante dell’essere morale, ed una volta scopertolo vi si aggrappa convulsivamente. Egli elimina tutto il resto, e concerta sovr’esso la sua sorprendente, minuziosa analisi.

Così i suoi personaggi, più che creature viventi, sono veri e propri ossessi, tic nervosi vestiti da uomo, malati assorbiti dal loro male, o, meglio ancora, semplici casi patologici che agiscono e che ragionano.

Quasi tutti finiscono al delitto. Ma nel nostro autore il delitto non è mai la conseguenza della passione o dell’impeto; è il risultato necessario di una deformazione del cervello, di una depravazione del senso morale.

Leggete il Demone della perversità, il Gatto nero, il Barile d’amontillado, il Cuore rivelatore, William Wilson.

Lentamente calcolato, con un orribile sangue freddo, prodotto irresponsabile e pur volontario di uno stato particolare del delinquente, descritto, analizzato nei più minuti particolari, il delitto, quale ce lo dipinge lo scrittore americano, presenta uno spettacolo mostruoso e rivolta; si rimane atterriti di vedere la volontà al servizio della fatalità, la ragione al servizio della pazzia.

Compiuto poi il male, il delinquente prova un immenso sollievo; egli s’è sbarazzato, col