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V.


Pöe, tanto nelle sue prose, quanto nelle sue poesie, ha sempre scelto temi melanconici. La sua vita avventurosa, la sua miseria, le sue sofferenze, eccitate dall’alcool, ed ingrandite anche più dallo spirito d’analisi, innato in lui, non potevano suggerirgli altro.

I suoi scritti non hanno una grande estensione, e si comprende! Componendo egli quasi sempre sotto l’impero di un’eccitazione nervosa, la cui durata non poteva essere prolungata al di là di un certo limite, l’eccitazione diveniva necessariamente la misura della inspirazione.

Le sue novelle hanno appunto la lunghezza bastante per agire sulla nostra immaginazione colla più grande intensità possibile, ed in esse l’emozione segue un crescendo così rapido, così continuo, che, nostro malgrado, ci troviamo costretti a seguire palpitanti, ad occhi sbarrati, senza riflettere, la fantasia dell’autore.

Con Pöe, nessun contrasto. Mai egli dipinse un carattere.

Un carattere, infatti, si compone d’una folla di elementi contraddittorii amalgamati e dominati da una facoltà più forte. Ora Edgardo