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in mezzo agli adoratori del vitello d’oro, ove alla sua miseria non mancò certo lo sprezzo dei ricchi, alla sua dottrina ed al suo ingegno le basse e velenose contumelie degli ignoranti e degli impotenti.

Egli voleva che la sua produzione letteraria segnasse nettamente la sua personalità.

Il plagio era per lui in letteratura il più grande dei difetti; era una colpa. Egli ambiva sopratutto ad essere detto scrittore originale.

In una sua nota marginale, in cui stupendamente parla delle fantasie impalpabili, imponderabili ed inesprimibili che si producono nell’animo, più che nella mente, durante l’attimo che passa tra la veglia ed il sonno, egli, quasi imprecando al mondo che non lo voleva riconoscere, dice:

«Quello che è certo è che il racconto, anche imperfetto, di tali visioni farebbe balzare l’intelligenza del mondo per la novità assoluta delle cose descritte e pei pensieri che suggerirebbe, come è certo che se io giungessi a trattare un tale soggetto, il mondo sarebbe obbligato a riconoscere che, finalmente, ho scritto un’opera originale.»

E con parole roventi, stimmatizzava quelli che predicano contro l’originalità:

«Le ingiurie contro l’originalità provengono da uomini allo stesso tempo volgari ed ipo-