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Defoë non prende ai suoi lettori nessuna delle loro idee. Robinson le ha tutte.

La potenza che ha fatto il miracolo è dimenticata a cagione dell’effetto del miracolo stesso.

Noi leggiamo con intenso interesse, poi, chiuso il libro, siamo convinti che l’avremmo potuto scrivere noi stessi senza alcuna difficoltà.

Quest’impressione è la conseguenza della magica verosimiglianza dell’opera.

L’autore di Crusoë ha dovuto possedere al più alto grado quella che si dice la facoltà di identificazione, quell’impero della volontà sulla fantasia, che gli impose di perdere la propria individualità per assumerne una fittizia.

Questa facoltà contiene il potere di astrazione, e con una tale chiave, noi possiamo in parte comprendere l’ascendente misterioso che ha, per tanto tempo, esercitato su noi il suo volume.

Ma con ciò non è ancora completa l’analisi del nostro interessamento.

Defoë deve moltissimo allo stesso suo soggetto.

L’idea di un uomo che vive assolutamente solo, benchè spesso intravveduta, non era ancora stata messa in opera in modo così perfetto.

XLIV.

Qualche volta mi sono compiaciuto di immaginare quale sarebbe la sorte di un uomo dotato, per sua sventura, di una intelligenza di gran lunga superiore a quella dei suoi contemporanei.