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che spigolo di roccia, laggiù, e tu sparpaglieresti deplorevolmente le sante cose del tabernacolo.

Coll’aiuto di un meccanismo, grossolanamente foggiato, il paniere caricato pesantemente era alfine disceso fra la folla; e, dal loro pinacolo vertiginoso, i Gizbarim potevano vedere i Romani stringervisi confusamente intorno; ma l’altezza enorme ed un po’ di nebbia, impediva loro di distinguere distintamente quanto avveniva in basso.

Mezz’ora intanto era già passata.

— Noi saremo in ritardo — sospirò il Fariseo guardando impaziente nell’abisso! — saremo in ritardo ed i Katholim ci cacceranno dal tempio.


— E mai più — continuò Abel-Phittim — mai più potremo regalarci le grascie della terra, mai più potremo profumare le nostre barbe cogli incensi dell’Olibano, mai più potremo cingerci le reni coi finissimi lini del tempio!

― Racca! — bestemmiò Ben-Levi — Racca! Intendono essi forse derubarci del danaro del mercato? Oh! san Mosè! osano essi dunque pesare i sicli del tabernacolo?

— Ecco alfine il segnale! — gridò il Fariseo — ecco alfine il segnale! Tira, Abel-Phittim! tira anche tu, Buzi-Ben-Levi! O che i Filistei si sono attaccati essi pure al paniere, o che il Signore li ha inspirati a mettervi un animale di buon peso!

E i Gizbarin tiravano, ed il fardello ondulava pesantemente nell’aria e saliva attraverso alla nebbia che andava addensandosi sempre più.

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